La Commissione europea vuole cambiare le norme sui bilanci nazionali
Si parlava da anni di come aggiornare il cosiddetto Patto di Stabilità: ora c'è una proposta, di cui si discuterà parecchio
Mercoledì la Commissione europea ha presentato una proposta di riforma del Patto di Stabilità e Crescita, l’insieme delle regole europee per la gestione coordinata e prudente dei conti pubblici da parte degli stati membri dell’Unione europea.
In linea generale servono a far sì che ciascun paese tenga i conti pubblici in ordine e senza fare troppo ricorso al debito, in modo da evitare problemi che possano ricadere sul resto dell’Unione. Le vecchie regole erano state sospese nella primavera del 2020 a causa della pandemia, per dare modo agli stati di spendere miliardi di euro in aiuti a famiglie e imprese senza troppi problemi e vincoli burocratici sul debito: erano comunque oggetto di discussione da diversi anni perché ritenute da alcuni troppo stringenti, e anche la stessa Commissione aveva detto più volte che dovevano essere riviste e aggiornate.
Le vecchie norme sarebbero dovute tornare in vigore a gennaio del 2024, ma negli anni erano state criticate da diversi paesi per la loro rigidità, per il fatto che fossero piuttosto disfunzionali e perché prevedevano il rispetto incondizionato di parametri giudicati da molti fuori dal tempo. La riforma proposta dalla Commissione dovrebbe superare alcuni di questi problemi, anche perché prevede un sostanziale rilassamento delle vecchie norme: ma prima bisognerà trovare un accordo all’interno del Consiglio dell’Unione europea, cioè l’organo in cui sono rappresentati i governi dei 27 paesi membri, e non sarà facile.
Per motivi culturali e politici le posizioni tra i governi sono da sempre piuttosto polarizzate: c’è chi vorrebbe regole più flessibili e lasche, come i paesi europei che hanno già un grosso debito e un’alta propensione alla spesa pubblica (l’Italia e la Spagna ad esempio). E c’è chi invece vorrebbe leggi più rigide per contenere i rischi economici legati a un indebitamento eccessivo, ossia il gruppo di paesi conosciuti come “frugali”, tra cui Germania, Austria e Paesi Bassi. La proposta dovrà poi essere approvata dal Parlamento europeo, altro passaggio non scontato.
In estrema sintesi la riforma proposta dalla Commissione prevede una semplificazione delle regole, trattamenti diversi a seconda della condizione economica “di partenza” degli stati e un rafforzamento delle procedure di infrazione.
Cosa prevede il Patto di Stabilità e Crescita
La versione in vigore del Patto di Stabilità e Crescita risale al 1997 e prevede da parte degli stati membri dell’Unione europea il rispetto dei cosiddetti parametri di Maastricht: il deficit, ossia la differenza tra le uscite e le entrate dello stato, non deve superare il 3 per cento del PIL ed eventuali scostamenti sono ammessi solo in circostanze eccezionali; il debito pubblico non deve essere oltre il 60 per cento del PIL e se lo è il governo deve impegnarsi per un processo di riduzione al ritmo di un ventesimo all’anno.
Il Patto di Stabilità e Crescita prevede anche che in generale l’obiettivo degli stati sia quello di arrivare nel medio termine al pareggio di bilancio: questo impegno è stato inserito nelle Costituzioni degli stati per renderlo più vincolante. La Costituzione italiana lo prevede all’articolo 81: fu un comma inserito nel 2012 ai tempi del governo di Mario Monti, in un periodo in cui l’Italia doveva dimostrare grandissima prudenza nella gestione della sua spesa pubblica.
Le regole per il contenimento del debito servono per tenere al minimo i rischi di instabilità finanziaria di un paese. Sebbene non manchino tra gli economisti quelli che sostengono che il debito non sia un problema così gravoso, un alto rapporto tra debito pubblico e PIL è preoccupante per almeno due motivi. Primo perché, come affermano diversi studi, tende a ostacolare la crescita economica nel lungo periodo: il governo potrebbe aumentare le tasse per ripagare il debito, scoraggiando così gli investimenti privati. Secondo, perché aumenta il rischio che il paese non riesca a ripagare le proprie obbligazioni e perda la fiducia dei creditori che a quel punto chiederebbero tassi molto alti per prestargli altri soldi, peggiorando ancora di più la situazione.
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Per rendere operativi i principi del Patto di Stabilità e Crescita sono previsti due meccanismi particolari, che sono proprio l’oggetto della riforma: il cosiddetto “braccio preventivo”, cioè il fatto che le leggi di bilancio degli stati devono essere presentate con anticipo alla Commissione europea , che poi le valuterà; il cosiddetto “braccio correttivo”, che prevede la procedura da applicarsi in caso in cui il deficit superi il 3 per cento del PIL. In questo caso, il Consiglio dell’Unione europea indica le misure correttive da mettere in campo e un periodo entro cui il deficit deve rientrare. Se queste raccomandazioni non sono rispettate lo stato può incorrere in sanzioni monetarie, che possono andare dallo 0,2 allo 0,5 per cento del PIL. Tuttavia la procedura per deficit eccessivo non è mai stata applicata formalmente – nessun paese è mai stato sanzionato, insomma – e pure l’obbligo di riduzione del debito di un ventesimo all’anno non è mai stato preso davvero sul serio da parte degli stati con un alto debito pubblico.
Dopo la crisi dei debiti sovrani del 2011, che ha quasi portato la Grecia al fallimento e che ha messo a rischio la sopravvivenza stessa dell’euro, queste regole sono state aggiornate varie volte per rendere più efficace e stringente sia il meccanismo di coordinamento delle politiche economiche degli stati che quello di sorveglianza da parte della Commissione europea. Le regole attuali sono quindi il risultato di un processo di stratificazione durato anni, che le ha rese molto complesse anche per gli stessi addetti ai lavori.
Tra gli economisti inoltre non c’è un consenso sull’efficacia delle regole del Patto di Stabilità. È vero che il braccio correttivo non è mai stato attivato e che le sanzioni per il deficit eccessivo non sono mai state formalmente applicate, ma il sistema nel suo complesso ha contribuito prima della pandemia a una riduzione complessiva del debito pubblico all’interno dell’Unione europea. Allo stesso tempo è vero che la riduzione del debito pubblico è avvenuta a discapito soprattutto degli investimenti pubblici, un ingrediente fondamentale della crescita economica che negli ultimi anni si è contratto, secondo alcuni proprio per una interpretazione dogmatica del Patto di Stabilità e della necessità di ridurre il debito per ottenere una economia in salute.
Cosa prevede la riforma della Commissione
Gli obiettivi della riforma sono quelli di armonizzare le regole esistenti, rendendole anche un filo meno stringenti, e al contempo di rendere più credibili e praticabili le procedure per deficit e debito eccessivi. Il monitoraggio per i paesi sotto procedura sarà poi fatto, semplificando molto, sulla sola spesa pubblica, provando a capire quanto sia efficace, in modo che non si scoraggino gli investimenti.
La riforma conferma i vincoli di Maastricht: ogni paese dovrà avere come obiettivo quello di tendere a un 60 per cento massimo di rapporto tra debito e PIL e del 3 per cento del rapporto deficit e PIL. Per la procedura per disavanzo eccessivo, sotto forte pressione della Germania, la riforma prevede che gli stati saranno obbligati a ridurre il debito pubblico di 0,5 punti percentuali all’anno finché il deficit rimarrà sopra la soglia consentita. Questo è il punto più controverso della riforma, perché manterrebbe una delle rigidità che sono state molto criticate negli anni.
Sarebbe però ammorbidita rispetto alle vecchie norme. Le nuove regole prevederebbero infatti maggiore considerazione delle condizioni economiche specifiche degli stati. I paesi con debito superiore al 60 per cento del PIL non sarebbero più obbligati a ridurlo di un ventesimo all’anno: per esempio di circa 7 punti all’anno, per un paese che come l’Italia ha un rapporto fra debito pubblico e PIL arrivato intorno al 144 per cento.
Era una regola che valeva per tutti, per questo era considerata troppo rigida e non è stata mai davvero rispettata. Con la riforma i paesi con un debito importante devono però proporre un proprio piano di quattro anni – estendibile a sette in casi eccezionali – di riduzione del rapporto tra debito e PIL, la cui credibilità viene valutata dalla Commissione europea. Una volta passato questo esame, su proposta della Commissione, il piano viene approvato dal Consiglio, in modo che ogni paese prenda un impegno politico di fronte agli altri paesi.