Non si sa ancora cosa voglia fare il governo con lo stato di emergenza sui migranti
Lo ha dichiarato due settimane fa ma non ha ancora pubblicato la delibera, e il commissario non è riconosciuto da cinque regioni
Lo scorso 11 aprile, al termine di un Consiglio dei ministri, il governo italiano ha dichiarato uno stato di emergenza di sei mesi per gestire i flussi migratori, in conseguenza dell’aumento degli arrivi di migranti via mare registrato nei primi mesi di quest’anno. A due settimane da quell’annuncio però – come ha fatto notare Openpolis – la delibera sullo stato di emergenza non è stata pubblicata da nessuna parte, e in generale si sa pochissimo del provvedimento e di come funzionerà.
Lo stato di emergenza è un atto di tipo amministrativo che consente al governo di adottare ordinanze in deroga alle leggi vigenti, per affrontare più efficacemente una situazione di emergenza: permette insomma di agire molto più rapidamente e senza dover completare passaggi burocratici a volte piuttosto lunghi. In base alle norme in vigore sulla trasparenza, però, le pubbliche amministrazioni che adottano provvedimenti urgenti e straordinari come lo stato di emergenza dovrebbero pubblicare sia «i provvedimenti adottati, con la indicazione espressa delle norme di legge eventualmente derogate e dei motivi della deroga», sia «i termini temporali» di quei provvedimenti, cioè dello stato di emergenza.
Al momento invece non si sa con esattezza quando sia entrato in vigore lo stato di emergenza né quando finirà, e l’assenza di un documento pubblico fa in modo che non sia chiaro nemmeno cosa possa e voglia fare il governo in virtù del provvedimento. L’unica informazione esplicita è stata diffusa nel comunicato stampa del Consiglio dei ministri dell’11 aprile: il governo dice di aver stanziato 5 milioni di euro «per l’attuazione degli interventi maggiormente urgenti». In queste due settimane però non ha fatto sapere quali siano.
Per avere un confronto su un caso noto, la delibera sullo stato di emergenza dichiarato dal governo di Giuseppe Conte per affrontare la pandemia fu pubblicata in gazzetta ufficiale il giorno successivo a quello in cui fu adottata (ovviamente il contesto e l’urgenza erano molto diversi). Da esponente dell’opposizione, peraltro, nel 2020 la presidente del Consiglio Giorgia Meloni fu molto critica con quello stato di emergenza, e accusò apertamente il governo di usarlo per potersi permettere una minore trasparenza nelle decisioni.
In ogni caso lo stato di emergenza sui migranti dovrebbe essere già in vigore: nel frattempo infatti il governo ha nominato anche un commissario all’emergenza, il prefetto Valerio Valenti, una cosa che senza lo stato di emergenza non sarebbe stata possibile. Valenti era già a capo del dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, perciò era già responsabile di alcuni dei compiti che gli sono stati assegnati in quanto commissario, che ora però dovrebbe poter svolgere con minori incombenze burocratiche. Si sa pochissimo di quali saranno esattamente i compiti di Valenti: il governo ha fatto sapere informalmente che dovrà occuparsi della gestione dei migranti una volta sbarcati a terra, ma non è chiaro se dovrà ampliare i centri per l’accoglienza esistenti oppure i controversi centri di permanenza per il rimpatrio, i cosiddetti CPR.
Anche sul suo ruolo ci sono alcuni problemi e diversi aspetti da chiarire, perché cinque regioni italiane non hanno accettato il commissariamento: stando all’ordinanza con cui è stato nominato, Valenti potrà esercitare i propri poteri solo sulle altre 15 (16, se si considera la divisione tra le province autonome di Trento e Bolzano). Le cinque regioni che si sono opposte al commissariamento sono quelle governate dal centrosinistra: Valle d’Aosta, Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Puglia. Lo hanno potuto fare perché Valenti è stato nominato con un’ordinanza della Protezione civile, il dipartimento della presidenza del Consiglio che si occupa di crisi ed emergenze, che in base all’articolo 117 della Costituzione è una materia concorrente tra stato e regioni (cioè sono chiamati a lavorare insieme sul tema e entrambi possono fare leggi al riguardo).
Non è chiaro come questa forma di opposizione si combinerà col fatto che lo stato di emergenza era stato dichiarato su tutto il territorio nazionale, né se potrà realmente impedire al governo di prendere provvedimenti sull’immigrazione in quelle regioni, visto che le politiche migratorie competono solo allo stato. Peraltro Valenti, come detto, al ministero dell’Interno gestiva già diverse competenze che gli sono state assegnate con la nomina a commissario. Il presidente di regione della Puglia (una delle cinque regioni che hanno rifiutato il commissariamento) Michele Emiliano ha espresso dubbi sul fatto che il rifiuto del commissariamento delle cinque regioni possa avere conseguenze concrete. Su queste questioni in ogni caso il governo non ha dato alcun chiarimento.
In queste settimane la decisione del governo di gestire l’immigrazione come un’emergenza è stata messa molto in discussione, e la tendenza a esagerare le stime sugli arrivi – comune a molti governi – è stata vista da molti addetti ai lavori come pretestuosa: un modo per tenere alta l’attenzione su un tema che interessa a molte persone, e affrontarlo esclusivamente con una gestione improntata alla sicurezza, trascurando molti aspetti umanitari.
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