L’evacuazione di italiani ed europei dal Sudan
È stata completata domenica, con l'intervento di reparti speciali militari: nel paese restano 38 medici e infermieri italiani di Emergency
Domenica la gran parte dei cittadini europei che avevano richiesto di lasciare il Sudan è stata evacuata con operazioni militari coordinate da vari stati europei. Circa 150 italiani hanno lasciato il paese dopo nove giorni di intensi scontri, grazie a due aerei da trasporto militare C-130 e all’intervento di alcuni corpi delle forze speciali dell’esercito che hanno partecipato all’operazione.
L’evacuazione è stata resa più complessa dall’inagibilità dell’aeroporto internazionale di Khartum, danneggiato durante gli scontri dell’ultima settimana: i voli sono partiti dal piccolo aeroporto di Wadi Sednia, circa 16 chilometri a nord della capitale: per raggiungerlo però i convogli scortati dai militari italiani hanno dovuto compiere un viaggio più lungo per evitare il centro della città, dove gli scontri fra le due fazioni in guerra sono frequenti.
La guerra in Sudan è cominciata sabato 15 aprile, con scontri violenti tra l’esercito regolare, comandato dal presidente del paese Abdel Fattah al Burhan, e un gruppo paramilitare noto come Rapid Support Forces (RSF), che di fatto è un esercito parallelo ed è comandato dal vicepresidente Mohamed Hamdan Dagalo, noto anche come Hemedti. Finora negli scontri tra i due gruppi sono morte più di 400 persone e ci sono migliaia di feriti.
Oltre all’Italia, anche Francia, Spagna, Germania, Belgio e Paesi Bassi hanno evacuato i propri cittadini: i voli spagnoli ospitavano anche persone da Irlanda, Portogallo, Polonia, Argentina, Colombia, Messico e Venezuela, quelli italiani alcuni svizzeri. Stati Uniti e Regno Unito erano stati i primi a procedere alle evacuazioni, occupandosi inizialmente del personale delle ambasciate, seguiti dal Canada. Anche la Giordania ha organizzato voli di rimpatrio per i propri cittadini presenti in Sudan. Circa 150 persone provenienti soprattutto dal Golfo Persico, ma anche da Egitto e Pakistan, avevano invece lasciato il paese via nave sabato, diretti verso il porto di Gedda, in Arabia Saudita.
Sono invece rimasti in Sudan 38 medici, infermieri e personale di Emergency, organizzazione non governativa che gestisce tre ospedali in Sudan (Khartum, Nyala e Port Sudan): hanno scelto di rimanere per continuare ad assistere i pazienti ospitati nelle strutture. Emergency ha evacuato solo 7 persone: quattro facevano parte del personale amministrativo, tre erano sanitari arrivati alla fine del loro periodo nel paese ma che erano rimasti bloccati dalla guerra.
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I 150 italiani arriveranno a Roma oggi, ma già ieri sera erano approdati tutti a Gibuti, piccolo stato del Corno d’Africa che è diventato il centro dell’operazione internazionale di messa in salvo degli stranieri in Sudan: gli italiani, fra cui otto bambini e nove anziani, erano prevalentemente personale diplomatico, della cooperazione allo sviluppo, delle ong e imprenditori.
Nella mattina di domenica la gran parte degli italiani ha raggiunto l’ambasciata, che ha sede nei quartieri centrali di Khartum e da qui i convogli, scortati da mezzi militari, hanno cominciato il complesso trasferimento verso l’aeroporto, passando da alcuni altri punti di raccolta: un primo volo con 107 italiani è partito in serata, intorno alle 19 (ospitava anche cittadini svizzeri e spagnoli), gli altri 40 sono partiti alcune ore dopo su un C-130 dell’aviazione spagnola. Non si segnalano incidenti durante i trasferimenti, mentre un convoglio francese è stato colpito da alcuni proiettili, probabilmente trovandosi al centro di uno scontro fra le due fazioni.
Le autorità italiane ed europee avevano ottenuto rassicurazioni sia dal presidente al Burhan che dal vicepresidente Dagalo che le operazioni di evacuazione si sarebbero potute svolgere in relativa sicurezza. Le parti in causa avevano lasciato intendere venerdì di poter organizzare una tregua negli scontri di tre giorni, ma questa non aveva retto. Molti civili sudanesi continuano a essere bloccati nelle proprie abitazioni, soprattutto nella capitale Khartum, dove i combattimenti sono più intensi.
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