Com’è finito il caso degli insulti razzisti a Romelu Lukaku
Per evitare che l’attaccante dell’Inter rimanesse squalificato dopo essere stato vittima di razzismo è intervenuta la Federazione
Il 4 aprile l’attaccante dell’Inter Romelu Lukaku era stato espulso per somma di ammonizioni durante la semifinale di andata di Coppa Italia contro la Juventus perché l’arbitro aveva frainteso la sua esultanza. Dopo aver segnato il calcio di rigore del definitivo 1-1 era rimasto fermo sul posto — quindi di fronte alla porta e al pubblico della Juventus — con gli occhi chiusi facendo il saluto militare e il gesto del silenzio con un dito, come è solito fare da un po’ di tempo a questa parte per motivi di natura personale.
Il fraintendimento, comprensibile dal punto di vista dell’arbitro in campo, che poteva non conoscere il modo di esultare di Lukaku, era stato poi ampiamente accertato a fine partita. Ma due giorni dopo il giudice sportivo della Serie A aveva ugualmente confermato la squalifica del giocatore per la gara di ritorno applicando alla lettera il regolamento che prevede l’ammonizione in caso di comportamenti provocatori nei confronti del pubblico.
La vicenda ha continuato a far discutere — anche all’estero, visto il profilo internazionale del giocatore — perché oltre a fraintendimenti e procedure disciplinari seguite alla lettera senza tenere conto delle circostanze, nel corso della partita Lukaku aveva subito plateali insulti razzisti da parte del pubblico, in particolare durante e dopo il calcio di rigore. E a questi insulti aveva risposto, dopo l’esultanza, rivolgendosi agli spettatori che urlavano contro di lui.
Era quindi sembrato ancora più ingiusto e assurdo che un giocatore vittima di insulti razzisti rimanesse squalificato per un fraintendimento, o per essersi difeso, a maggior ragione considerando che tra i provvedimenti presi dal giudice sportivo c’era anche la chiusura per una partita del settore dello stadio della Juventus (il primo anello della “Tribuna Sud”) indicato come quello da cui erano provenuti gli insulti razzisti.
L’Inter aveva dunque presentato ricorso contro la squalifica di Lukaku e nel frattempo la Juventus aveva collaborato con la Digos all’identificazione di due spettatori fra quelli responsabili di cori e insulti razzisti (la questura di Torino ha successivamente imposto il Daspo a oltre 170 tifosi). Vista questa collaborazione, la Juventus aveva presentato anche lei un ricorso, contro la chiusura totale del settore in questione.
Gli esiti dei ricorsi presentati dalle due squadre hanno avuto esiti opposti. Quello dell’Inter è stato respinto per mancanza di attenuanti, quello della Juventus accolto. La chiusura del settore è stata quindi sospesa in attesa di una decisione definitiva della Corte sportiva d’appello della FIGC, che mercoledì scorso ha dato per buone le motivazioni della Juventus e annullato definitivamente la chiusura del settore.
L’Inter aveva risposto al respingimento del suo ricorso scrivendo in un comunicato di «manifestare grande dispiacere nel prendere atto che la vittima sia l’unico colpevole». Di fronte al possibile epilogo di questa vicenda è però intervenuto direttamente il presidente della FIGC, Gabriele Gravina, che sabato ha “graziato” Lukaku rimuovendo la sua squalifica dopo aver considerato «gli inequivocabili insulti razzisti» di cui è stato oggetto e «l’impegno dell’ordinamento sportivo nella lotta ad ogni forma di razzismo».
Il giocatore potrà quindi disputare la semifinale di ritorno, in programma mercoledì, e insieme all’Inter ha ringraziato la FIGC per la sensibilità mostrata. Non ci sono stati invece ripensamenti da parte dell’Associazione arbitrale (AIA), che tramite il suo presidente ha fatto sapere: «Da parte nostra non cambia nulla, continueremo a prendere le decisioni secondo le regole. Chi andrà a zittire il pubblico dopo essere stato insultato sarà ammonito, lo prevede il regolamento».
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