Gli sceneggiatori americani non se la passano bene
I cambiamenti portati dallo streaming nel settore della tv e del cinema li hanno impoveriti e hanno peggiorato le loro condizioni di lavoro, tanto che potrebbero scioperare
di Gabriele Niola
Da diversi mesi l’associazione di categoria che rappresenta gli sceneggiatori che lavorano a Hollywood, la Writers Guild of America (WGA), è in trattativa con i rappresentanti dei produttori cinematografici e televisivi (AMPTP), cioè il complesso dei produttori e distributori più importanti che include Warner Bros., Disney, Universal e Sony Columbia, ma anche con le principali piattaforme di streaming come Amazon Prime Video e Netflix, per ridefinire i nuovi contratti e salari minimi per i prossimi anni. È una negoziazione difficile che sembra potrebbe portare ad uno sciopero, un’eventualità molto temuta in un settore che si sta lentamente riprendendo dal periodo di chiusura delle sale dovuto alla pandemia da COVID-19. Uno sciopero potrebbe ritardare moltissimo la consegna di film e serie, creando un buco di contenuti e quindi di guadagni per tutto il settore. Anche se per certi versi proprio la particolarità della situazione attuale potrebbe finire per portare anche alcuni vantaggi agli studi di produzione: insomma, è una situazione intricata.
Le ragioni di un possibile sciopero dipendono dal fatto che il modo in cui film e serie tv sono sfruttati è cambiato profondamente negli ultimi anni. Si è modificato sia come gli sceneggiatori lavorano, sia i modi con cui viene valutato il successo dei prodotti e quindi come sono calcolati i proventi del diritto d’autore. La causa dello stallo nelle trattative è che gli sceneggiatori sono stati molto impoveriti da questi cambiamenti, per via di contratti vecchi e inadeguati, ma le loro richieste di una maggiore partecipazione al successo delle loro produzioni vanno contro i fondamenti della nuova economia dell’intrattenimento, nella quale stabilire il successo di un contenuto è molto più complicato.
Il termine ultimo delle negoziazioni è il prossimo primo maggio e gli incontri che le due associazioni hanno avuto negli ultimi mesi non hanno portato a risultati significativi. Sembra tuttavia scontato che ci sarà una piccola estensione del contratto di qualche settimana, dunque se davvero dovesse esserci il temuto sciopero partirebbe più o meno a metà maggio. Nonostante tutto suggerisca che lo sciopero possa verificarsi, è vero anche che storicamente gli accordi tra sceneggiatori e studios sono stati raggiunti spesso senza preavvisi, rapidamente e all’ultimo momento.
L’ultima volta che gli sceneggiatori americani scioperarono fu nel 2007-2008, allora le rivendicazioni avevano a che vedere con le retribuzioni spettanti dalle vendite e dai noleggi dei DVD. Lo sciopero durò 100 giorni e le conseguenze si avvertirono per almeno tutto l’anno successivo. Ci furono ritardi nelle produzioni e copiose cancellazioni di serie e film, anche importanti come era all’epoca Lost, la cui stagione tardò ad andare in onda. Oggi l’industria è in una fase di difficile ripresa dopo le chiusure e i lockdown dovuti alla pandemia, e un blocco paragonabile a quello del 2007-2008 potrebbe portare molti più danni.
Le nuove condizioni di lavoro degli sceneggiatori americani
Negli ultimi cinque anni circa, lo spostamento di molta della distribuzione e della produzione di film e serie sulle piattaforme di streaming (che agiscono da distributori ma spesso anche da produttori) ha cambiato i ritmi e le condizioni nelle quali vengono scritte le sceneggiature. Le piattaforme hanno esigenze diverse rispetto agli studios tradizionali, che fino a pochi anni fa erano i principali interlocutori sia di chi scriveva per la televisione sia di chi scriveva per il cinema. Nel tempo perciò anche gli studios tradizionali si sono adattati al modo di produrre delle piattaforme. Inoltre il diverso funzionamento della fruizione e della distribuzione online di serie e film comporta anche un diverso calcolo della retribuzione per gli sceneggiatori.
I “residuals”, che sarebbero più o meno quello che intendiamo con “compensi derivanti dal diritto d’autore per sfruttamenti successivi al primo” (quindi quando una serie è trasmessa in replica o un film noleggiato o programmato da una tv), sono ancora calcolati in base alle repliche. È il vecchio sistema: più una serie o un film viene acquistato per le repliche, più significa che ha successo e ogni volta che c’è un nuovo acquisto gli sceneggiatori hanno diritto a dei proventi. In questo modo a uno scrittore bastava azzeccare un grande successo in carriera per garantirsi una rendita stabile.
Oggi la maggior parte delle produzioni è pensata per una distribuzione sulle piattaforme streaming e anche gli studi come Warner, Universal o Disney hanno la propria. È online che avviene la grande parte della vita di serie e film e il sistema di calcolo basato sulle repliche non funziona più, perché i film rimangono a tempo indefinito sui cataloghi delle piattaforme e non devono più essere riacquistati periodicamente. Questo cambiamento ha quasi azzerato una fonte di reddito molto importante, senza contare che come noto è politica delle grandi piattaforme non divulgare i dati di fruizione. Non ci sono società terze come l’americana Nielsen (o l’italiana Auditel) che rilevano quanti ascolti o quanti click o quanti minuti visti faccia un certo film o una certa puntata di una serie, quindi anche il calcolo dei proventi che spettano agli sceneggiatori in caso di “successo” è nelle mani degli stessi soggetti che devono fare quei pagamenti.
Alla newsletter specializzata The Ankler la sceneggiatrice Brittani Nichols ha spiegato che per la serie Abbott Elementary (una produzione di successo per Disney) riceve 70 dollari all’anno in residuals, quando in precedenza le repliche in prima serata di un suo copione potevano fruttare anche 13.000 dollari l’anno. In media la contrazione di questi pagamenti, sempre secondo The Ankler che si è molto occupata del possibile sciopero, è di cento volte. Gli sceneggiatori guadagnavano mediamente tra i 10.000 e i 20.000 dollari l’anno per le repliche di un singolo copione (quelli che non sono i più importanti e pagati possono aver anche scritto una sola puntata di una sola serie di grande successo o una stagione di una serie di medio successo) mentre ora guadagnano tra i 100 e i 200 dollari.
Tutto questo ha creato un forte risentimento nella categoria, che recentemente ha ottenuto una vittoria importante da un’altra negoziazione dura e senza compromessi, quella con il sindacato degli agenti, e quindi ha fiducia nelle proprie forze. Anche in quel caso era una questione di pagamenti: gli sceneggiatori hanno ottenuto che gli agenti non si sostituissero come prima ai produttori pre-confezionando i film in pacchetti, cioè mettendo insieme i loro assistiti (tra attori, sceneggiatori e attori) per proporli tutti insieme, esattamente come fossero un unico pacchetto, per un film. La cosa li portava a curare più i loro interessi (visto che erano pagati per questa pratica) che quelli delle paghe degli sceneggiatori. Una settimana fa, quando il sindacato sceneggiatori ha votato per autorizzare i suoi sindacalisti a indire lo sciopero qualora gli studios non aderissero alle loro richieste, a esprimersi a favore di un’agitazione è stato il 97,8% dei votanti.
Oltre al problema dei pagamenti successivi al primo sfruttamento c’è anche un grosso problema sulla retribuzione principale, cioè il guadagno dato dall’aver scritto dei copioni, ed è un problema che riguarda soprattutto gli sceneggiatori delle serie. Fino alla seconda metà degli anni 2000 una serie tv era composta normalmente da 22 episodi per ogni stagione, ognuno di circa 45 minuti se drammatica e 22 minuti se commedia, e uno scrittore poteva mantenersi con un ingaggio in esclusiva per lavorare a una serie per un anno e non accettare altri lavori.
Da quando le stagioni hanno iniziato a diventare da circa 10 episodi, e anche la paga si è dimezzata in proporzione, non è scomparsa la clausola di esclusiva da molti contratti: non possono cioè lavorare contemporaneamente a più progetti. In più, in caso ci sia del lavoro aggiuntivo di riscrittura da fare, cosa molto frequente, non è prevista una retribuzione extra come in precedenza, perché le piattaforme non pagano più a settimana di lavoro, come era abitudine, ma a obiettivo. Uno sceneggiatore è quindi compensato per la scrittura di una stagione a prescindere dal tempo che richiede o dal lavoro aggiuntivo che fa, non può lavorare per altri ed è pagato la metà.
Inoltre in un periodo in cui c’è un forte aumento di produzione e le piattaforme sono in forte competizione tra loro per gli abbonati, agli sceneggiatori è chiesto anche un gran lavoro in fase di proposta. In precedenza la necessità di realizzare un episodio pilota, cioè una prima puntata o le prime due puntate di prova, comportava una buona paga per il lavoro di ideazione e impostazione di tutta una serie, anche se poi questa non entrava in produzione. Ora invece le serie vengono ordinate per intero dai committenti, senza episodi pilota, dunque servono più riunioni e molto più lavoro di scrittura preparatorio, che è retribuito molto poco. In buona sostanza uno sceneggiatore scrive più di prima per proporre una serie, per una paga più esigua (più un progetto è articolato e immaginato dettagliatamente, più ha speranze di essere approvato): poi se la serie entra in produzione lavorerà annualmente per meno tempo, per una paga dimezzata, senza poter accettare altri lavori. In più, come sempre, è richiesto anche un gran lavoro sul set, per quanto riguarda l’aggiustamento dei copioni e le consulenze.
Le conseguenze sono un impoverimento sensibile della categoria degli sceneggiatori. Non è un problema che colpisce i più noti, pagati e di successo, che proprio in virtù del loro status negoziano contratti diversi, ma la maggioranza, quelli al lavoro su serie o film di medio successo. Combinato con l’aumento dei prezzi e degli affitti di Los Angeles, città in cui risiede la gran parte di loro e in cui una casa non grande e in una zona non particolarmente richiesta può costare anche un milione di dollari e il cui costo della vita è proporzionato, questo ha portato moltissimi a non riuscire effettivamente a mantenersi. Alcuni si sono trasferiti e non vivono più a Los Angeles, ma questo comporta minori opportunità; altri hanno smesso di fare solo quel lavoro e ne hanno altri part time che non hanno a che vedere con la scrittura; altri ancora continuano a scrivere in condizioni che non vogliono accettare. Tutto per un mestiere che, al pari di tutti gli altri nell’industria del cinema, è composto quasi esclusivamente da contratti brevi e quindi non ha garanzie, e che prima compensava quest’assenza con buoni guadagni e buone rendite.
La difficile situazione degli studios americani
L’ultima rinegoziazione del contratto tra studi e sceneggiatori è stata tre anni fa, prima della pandemia e prima quindi dell’ultima grande fase di espansione dello streaming. A rendere questo nuovo accordo complicato è il fatto che avvenga in un momento di grandissima difficoltà per i grandi studios. Un anno fa il calo in borsa di Netflix, dovuto al fatto di aver perso abbonati per il secondo trimestre di seguito, aveva provocato una crisi nel settore. Tutti gli studi maggiori, che si erano mossi molto in fretta per aprire le loro piattaforme di streaming, ipotizzando fosse quello il futuro del settore, avevano dovuto rivedere le strategie.
Uno dei più grandi, Warner Bros., ha avuto perdite ingenti, è stato acquistato dal gruppo Discovery e sta recuperando 600 milioni di dollari di debito. Non solo quindi non sono nelle condizioni di aumentare le paghe o versare quote maggiori di diritti d’autore, ma sono in una fase di tagli. Nell’ultimo anno quasi tutti hanno licenziato, cancellato film in produzione e annullato progetti in approvazione. Paradossalmente lo sciopero, se ci sarà, aiuterà queste società a tagliare i costi, cosa che eviterà un crollo dei loro titoli in borsa (anzi si dice che possa essere approntato un fondo speciale per sostenere gli studios durante lo sciopero).
In caso di sciopero infatti si attiva per molti contratti (quelli stipulati con i soggetti meno potenti) una clausola speciale chiamata Force Majeure, che annulla il suddetto contratto di produzione per causa di forza maggiore come può essere lo scoppio di una guerra, una calamità naturale o per l’appunto uno sciopero. Quindi gli studios, che al momento già accettano di tagliare e annullare produzioni pagando delle penali, grazie a quella clausola potrebbero arrivare allo stesso risultato senza pagare niente. Era successo già durante lo sciopero del 2007-2008. In una prima fase le case di produzione avevano rescisso tutti i contratti che da tempo giudicavano non più in linea con i loro obiettivi e usato la scusa dello sciopero per chiudere le produzioni di cui erano meno convinte. In questo caso addirittura alcuni studi come Warner Bros. Discovery e Paramount, i più bisognosi di tagli, potrebbero vedere un rialzo delle loro azioni.
Inoltre la rinegoziazione degli sceneggiatori anticipa quelle del sindacato dei registi (DGA) e di quello degli attori (SAG), i quali la stanno seguendo molto attentamente per regolarsi di conseguenza. Anche registi e attori, sebbene colpiti meno degli sceneggiatori, hanno il medesimo problema di diritto d’autore che si è fortemente ridotto. Aumentare la quota da versare agli sceneggiatori o cambiare la maniera in cui questa viene calcolata significherebbe sicuramente doverlo fare anche per registi e attori. In molti ipotizzano peraltro che per evitare meccanismi di solidarietà gli studi potrebbero accordarsi prima con registi e attori, le cui pretese sono minori perché le loro condizioni di lavoro e retribuzione sono migliori, e solo dopo farlo con gli sceneggiatori.
Il principale ostacolo ad un calcolo più efficace e realistico dei proventi da sfruttamenti successivi sono le piattaforme. A partire da Netflix, queste ritengono che il mantenimento di una certa segretezza riguardo i dati di fruizione dei loro prodotti sia una chiave del proprio successo. Non è possibile sapere in modi ufficiali quante persone abbiano visto una certa serie su Prime Video o Disney+ a meno che non siano le piattaforme stesse a divulgare l’informazione, con tutti i limiti che può avere un soggetto che racconta i suoi stessi successi e nasconde come può gli insuccessi. Netflix ha anche un sito in cui ogni settimana pubblica la propria top10 dei prodotti più visti, ma sono dati molto parziali e relativi solo alle produzioni di maggiore successo.
Esistono società che hanno elaborato sistemi di rilevazione non ufficiali, ma per l’appunto non è nulla di così affidabile da poterci basare un contratto. E senza una rilevazione non è possibile retribuire correttamente gli aventi diritto, è un problema che viene fatto notare da anni in tutto il mondo, recentemente anche in Italia dall’associazione Artisti 7607. Infine andrebbe anche stabilito come calcolare un certo successo. Le piattaforme oggi misurano il gradimento in modi diversi, il principale è quanti minuti vengono visti di un film o una serie, ma ce ne sono altri che rispondono solo alle loro esigenze e potrebbero non essere buoni per calcolare i proventi per gli sceneggiatori. Ai principali analisti sembra scontato che gli studi siano tutti d’accordo a non cedere sulla divulgazione dei propri dati per nessuna ragione, e che quello sia un punto su cui gli sceneggiatori non possano spuntarla.
Cosa succederebbe in caso di sciopero
Nei 100 giorni in cui tra il novembre del 2007 e il febbraio 2008 si fermarono gli sceneggiatori americani ci fu un’interruzione immediata dei programmi in onda tutti i giorni come i talk show serali, che hanno squadre di autori al lavoro quotidianamente, ci fu un blocco di produzione delle serie tv più note e importanti e un ritardo nella scrittura di molti film annunciati. L’effetto quindi si sentì prima per i programmi dal vivo, poi per le serie tv i cui tempi di produzione sono più stretti e che in certi casi saltarono un’annata, e infine circa un anno dopo per i film, alcuni rimandati e in altri casi scritti in fretta e furia per poter iniziare a girare prima dell’inizio dello sciopero.
Tra i casi più noti di film la cui scrittura fu affrettata perché i copioni fossero chiusi in tempo ci fu quello di X-Men – Le origini: Wolverine (che fu poi un grande insuccesso) e quello di 007 – Quantum Of Solace, film che seguiva il grande successo di Casino Royale (il primo dei film di James Bond con Daniel Craig) ma la cui scrittura fu giudicata da tutti scadente. Tra i casi di film che non poterono avere un supporto sul set degli sceneggiatori per riscrivere alcune scene e dovettero arrangiarsi invece c’è il primo film di Star Trek diretto da J. J. Abrams.
Non è questa la situazione attuale. Non c’è stato nessuna accelerazione per chiudere le sceneggiature in fase di scrittura prima del possibile sciopero, perché in questa fase di forte rivalità tra piattaforme di streaming ogni studio di produzione ha molte più serie tv e film le cui sceneggiature sono pronte, anche in virtù del periodo di pandemia (quando si è scritto molto e si è girato girato poco). Negli ultimi anni, avendo l’esigenza di mostrarsi capaci di avere cataloghi ampi, le piattaforme hanno distribuito in grandi numeri produzioni dalla realizzazione più rapida e non di grande qualità, dunque non sarebbe difficile per loro rallentare il ritmo e gestire quello che già hanno con maggiore oculatezza. Secondo l’analista Rich Greenfield è possibile per tutte spostare al 2025 quelle produzioni previste per il 2024 che si fermerebbero dopo lo sciopero, e compensare la mancanza sul 2024 distribuendo lungo quell’anno alcune uscite del 2023 che sono in ritardo.
Rispetto al 2008 infine il mercato americano ha visto una grande crescita in popolarità dei contenuti stranieri. Serie come Squid game, Lupin o La casa di carta hanno fatto da apripista e dimostrato che c’è un pubblico disposto a seguire anche produzioni non americane. Questo offre una nuova alternativa agli sceneggiatori di Hollywood: gli sceneggiatori del resto del mondo. Benché non valga allo stesso modo per i film stranieri, che più facilmente vincono premi come gli Oscar ma non hanno lo stesso successo di quelli americani, per le serie esiste la possibilità di aumentare le acquisizioni o le produzioni straniere in modo da compensare la mancanza di quelle nazionali. Lo stesso Ted Sarandos, co-CEO di Netflix, ha detto a Deadline che in caso di sciopero la sua società, che è quella con i legami più forti con le produzioni non americane, avrebbe il resto del mondo come bacino a cui attingere.