Un gruppo di azionisti di Nestlé vorrebbe che facesse meno cibo spazzatura
Sostengono che l'azienda, una delle più grandi del settore alimentare, dovrebbe puntare di più su prodotti salutari
In occasione dell’assemblea annuale degli azionisti, un consistente gruppo di investitori di Nestlé, una delle più grandi multinazionali del settore alimentare, ha formalmente espresso la sua preoccupazione sul fatto che l’azienda sembra basare troppa parte del suo business sul cosiddetto cibo spazzatura, tra cui merendine, dolciumi e surgelati. Secondo questi investitori il problema non è solo di natura etica e relativa a questioni di salute, ma soprattutto finanziaria: l’azienda potrebbe perdere quote di mercato visto che i consumatori sembrano gradualmente preferire sempre di più prodotti più salutari.
L’amministratore delegato di Nestlé Mark Schneider ha detto che la società ha comunque fatto progressi nel ridurre la presenza di sodio, zuccheri e grassi saturi tra gli ingredienti dei suoi prodotti. Tuttavia c’è comunque un limite a quanto alcuni dei suoi prodotti possono essere resi salutari: è l’azienda che produce i KitKat, le Smarties, i Maxibon, tutti prodotti che non hanno mai avuto la pretesa di essere sani. Proprio recentemente Nestlé aveva ammesso con un’inedita operazione di trasparenza che meno della metà dei suoi ricavi deriva da prodotti considerati salutari.
Il gruppo di azionisti, composto principalmente da grosse società finanziarie e fondi pensione, ha dunque chiesto all’azienda di aumentare la quota di ricavi che proviene dalla vendita di cibo e bevande meno dannose per la salute. Dietro le proposte degli azionisti di Nestlé ci sono anche considerazioni di carattere pratico: molti paesi stanno introducendo tasse sui prodotti ad alto contenuto di zuccheri e restrizioni sulle pubblicità. In entrambi i casi si tratta di decisioni che potrebbero danneggiare i profitti dell’azienda.
La mossa degli azionisti di Nestlé si inserisce in una tendenza sempre più diffusa nel mondo della finanza, che ha cominciato a considerare rischi finanziari quelli legati a dimensioni non strettamente economiche, come nel caso delle variabili ESG (Environmental, Social and Governance, ossia ambientali, sociali e legate alla gestione dell’impresa). L’idea è che oltre all’aspetto finanziario di un investimento bisogna anche considerare altri elementi, come l’etica e l’impatto ambientale, e che sul medio-lungo periodo investimenti più etici potrebbero diventare anche più redditizi.
Per esempio ottennero molta risonanza le dichiarazioni di Larry Fink, l’amministratore delegato della più grande società d’investimento al mondo, BlackRock, che è convinto del fatto che considerare questi fattori etici alla pari delle valutazioni finanziarie sia una questione di buon senso quando bisogna decidere come investire. Nella sua lettera annuale del 2020 ai dirigenti Fink scrisse che “il rischio climatico è un rischio di investimento”.
Su queste teorie ci sono comunque molte polemiche, e alcuni ritengono che l’insistenza dei grandi operatori finanziari sugli investimenti “etici” sia soprattutto di facciata.