Alcuni Democratici americani vogliono far dimettere una loro senatrice
Dianne Feinstein ha 89 anni ed è molto malata: la sua assenza blocca i lavori del Senato, ma ci sono polemiche su cosa fare
Da alcune settimane noti esponenti del Partito Democratico americano stanno chiedendo a una loro collega, la senatrice Dianne Feinstein, di dimettersi perché non sarebbe più in grado di svolgere i suoi compiti da senatrice a causa dell’età e di una malattia che da febbraio le impedisce di votare di persona al Senato.
L’assenza di Feinstein, unita al fatto che la maggioranza in Senato del Partito Democratico è estremamente ridotta, ha fatto sì che alcune procedure legislative siano bloccate da mesi: per questo la politica americana si sta dividendo tra chi ritiene che Feinstein dovrebbe dimettersi e chi ritiene che sia ingiusto e perfino sessista chiederle di farsi da parte.
Dianne Feinstein, senatrice della California, ha 89 anni ed è una delle più note senatrici degli Stati Uniti tra quelle attualmente in carica. Ha avuto una carriera politica lunga ed estremamente importante. Alla fine degli anni Settanta era presidente del consiglio comunale di San Francisco quando il sindaco George Moscone e il consigliere comunale Harvey Milk (il primo politico eletto dichiaratamente omosessuale della storia degli Stati Uniti) furono assassinati in un omicidio politico. Come presidente del consiglio, Feinstein divenne a quel punto sindaca di San Francisco, carica che mantenne per dieci anni.
Nel 1992 fu eletta per la prima volta nel Senato degli Stati Uniti, e da allora è stata sempre rieletta: ha assunto numerosi incarichi importanti, tra cui quello di presidente della commissione Intelligence, e nel 2012 divenne la senatrice americana a ottenere più voti in una singola elezione al Senato (7,7 milioni).
Da alcuni anni, tuttavia, la salute di Feinstein si è deteriorata piuttosto gravemente. La senatrice ha noti problemi di memoria che vanno avanti almeno dal 2018, e in alcune occasioni pubbliche è parsa poco lucida.
A febbraio di quest’anno Feinstein è stata ricoverata per un’infezione di herpes zoster, che l’ha lasciata gravemente debilitata: sarebbe dovuta tornare in Senato a marzo, ma ha rimandato più volte il suo rientro, e ancora non c’è una data precisa per quando tornerà. Su 82 voti tenuti al Senato quest’anno, Feinstein è stata assente a 60. Questo è un problema per l’attività legislativa, perché il Partito Democratico ha una maggioranza molto risicata al Senato, di 51 senatori a 49 (e al momento c’è un altro senatore democratico assente per malattia, John Fetterman, che è stato ricoverato per curare una depressione).
Soprattutto, Feinstein fa parte della commissione Giustizia del Senato, che ha il compito di approvare le nomine giudiziarie fatte dall’amministrazione di Joe Biden: negli Stati Uniti i giudici federali di tutti i livelli, dalla Corte Suprema alle corti distrettuali, sono scelti e nominati dal presidente in carica, ma per ottenere la nomina devono prima ricevere l’assenso della commissione Giustizia del Senato, e poi del Senato intero. Senza Feinstein, però, i lavori della commissione non possono proseguire, e questo sta bloccando la nomina di decine di giudici.
Da tempo nella politica americana la nomina dei giudici è diventata un elemento molto importante per un presidente, perché significa riempire i tribunali del paese di persone ideologicamente allineate che possono difendere i princìpi e le leggi della sua presidenza. Donald Trump in un solo mandato aveva nominato 226 giudici, Barack Obama 320 (ma in due mandati), George W. Bush 322 e così via.
Se paragonato a Trump, Biden è piuttosto indietro: è al suo terzo anno di presidenza (su quattro che compongono un mandato) e finora ha nominato 119 giudici. L’assenza di Feinstein sta ritardando ulteriormente decine di nomine.
Per questo, dopo mesi di assenza, alcuni parlamentari Democratici hanno cominciato a chiedere pubblicamente le dimissioni di Feinstein. Il primo è stato Ro Khanna, che ha scritto su Twitter che Feinstein si dovrebbe dimettere perché «non è più in grado di adempiere ai suoi doveri». Altri senatori gli hanno dato ragione.
It’s time for @SenFeinstein to resign. We need to put the country ahead of personal loyalty. While she has had a lifetime of public service, it is obvious she can no longer fulfill her duties. Not speaking out undermines our credibility as elected representatives of the people.
— Ro Khanna (@RoKhanna) April 12, 2023
Secondo il sistema americano, quando un senatore si dimette il suo sostituto temporaneo deve essere nominato dal governatore dello stato che rappresenta. Feinstein rappresenta la California e il governatore Gavin Newsom, che è un Democratico, ha già detto che se Feinstein si dimetterà lui nominerà al suo posto una donna afroamericana.
A questo punto si è aperto un dibattito piuttosto acceso sia all’interno del Partito Democratico e più in generale nella politica americana su quanto fosse giusto chiedere a una senatrice malata di rinunciare anzitempo alla sua carriera politica. Alcuni hanno ritenuto che chiederle di dimettersi fosse una mancanza di rispetto, altri invece una questione di sessismo.
Nancy Pelosi, storica speaker Democratica del Congresso che si è da poco ritirata, ha detto in un’intervista: «Non so che obiettivi politici stiano perseguendo nell’attaccare in questo modo la senatrice Feinstein. Mi sembra che non abbiano mai attaccato così un senatore uomo che si fosse ammalato». Norma Torres, una deputata Democratica, ha scritto su Twitter: «Quando le donne invecchiano o si ammalano, gli uomini le mettono rapidamente da parte. Quando gli uomini invecchiano o si ammalano, vengono promossi».
Dear @SenFeinstein please get well soon.
When women age or get sick, the men are quick to push them aside.
When men age or get sick, they get a promotion. #WomensRights ARE #HumanRights— Rep. Norma Torres (@NormaJTorres) April 13, 2023
In queste settimane di polemiche, Feinstein ha detto più volte che non intende dimettersi. La senatrice ha cercato di trovare una soluzione di compromesso chiedendo di essere sostituita temporaneamente da un altro senatore Democratico nella commissione Giustizia, in modo da proseguire i lavori sulle nomine. I Repubblicani tuttavia si sono opposti, e le nomine sono ancora bloccate.