Il blocco del grano ucraino, spiegato
Alcuni paesi dell'Europa orientale sostengono che arrivi in Europa a un prezzo troppo basso, che fa concorrenza sleale agli agricoltori europei
Negli ultimi giorni diversi paesi orientali dell’Unione Europea hanno imposto un divieto temporaneo di importazioni di prodotti agricoli dall’Ucraina, fra cui soprattutto il grano, uno dei beni ucraini più esportati. È stata una decisione importante perché subito dopo l’invasione russa, per aiutare il governo ucraino, l’Unione Europea aveva cancellato i dazi per l’ingresso di vari prodotti ucraini, fra cui quelli agricoli. I paesi che hanno imposto il divieto, soprattutto Polonia e Ungheria, sostengono però che questa decisione abbia danneggiato i propri agricoltori, e che un blocco delle importazioni sia l’unico modo per proteggerli.
A complicare ulteriormente la questione c’è il fatto che a novembre si voterà per le elezioni parlamentari in Polonia. Il partito di estrema destra che domina la politica polacca da otto anni, Diritto e Giustizia, viene votato soprattutto nelle zone rurali e non può permettersi di perdere il sostegno degli agricoltori. Sia l’Ucraina sia la Commissione Europea stanno cercando di risolvere il problema, anche per evitare che la Russia possa inserirsi in queste divisioni e affermare che il sostegno dell’Unione Europea nei confronti dell’Ucraina stia diminuendo. Trovare un compromesso non sarà semplice. «Abbiamo bisogno di soluzioni strutturali», ha detto a Politico l’ambasciatore polacco alle istituzioni europee, Andrzej Sadoś.
Finora il divieto di importazioni di prodotti agricoli dall’Ucraina è stato imposto da tre paesi: Polonia, Ungheria e Slovacchia. Secondo il Financial Times anche Bulgaria e Romania stanno considerando una misura simile. In Polonia e Ungheria il divieto comprende le importazioni di grano, frutta, verdura, formaggi, zucchero e carni, e sarà valido fino alla fine di giugno. La Slovacchia ha vietato anche le importazioni di cereali e miele. Tutti e tre i paesi condividono con l’Ucraina un confine di terra.
Il ministero dell’Agricoltura ucraino ha fatto sapere che i prodotti che esporta in Polonia sono il 10 per cento delle proprie esportazioni di cibo, mentre un altro 6 per cento finisce in Ungheria. Un blocco di questi canali creerebbe parecchi problemi all’Ucraina, che già oggi esporta con molte difficoltà i propri prodotti agricoli. Prima dell’invasione, grano e cereali venivano esportati soprattutto con le navi cargo che partivano dai porti del Mar Nero, danneggiati dai combattimenti e accerchiati dalle navi da guerra russe che peraltro fanno passare solo alcune navi grazie a un fragile accordo, in scadenza a metà maggio.
Lunedì il ministro dell’Agricoltura ucraino, Mykola Solsky, ha iniziato a visitare i paesi più coinvolti in questa vicenda: è stato in Polonia, nei prossimi giorni visiterà la Romania e la Slovacchia. I tre paesi chiedono in sostanza che l’Ucraina faccia di tutto perché i suoi prodotti agricoli, che costano meno di quelli prodotti in Europa, vengano spediti verso l’Europa occidentale e non vengano commerciati in quelli dell’Europa orientale. Stando agli agricoltori locali il prezzo dei prodotti ucraini è così basso – anche perché non è tenuto a rispettare gli stringenti standard europei per la produzione agricola – che fa concorrenza sleale a quelli locali, facendo perdere soldi a tutta la filiera.
«L’Ucraina ha bisogno di aiuto ma il costo di questo aiuto va spalmato su tutti i paesi europei, non solo quelli di confine, specialmente la Polonia», ha detto a Reuters il ministro dell’Agricoltura polacco, Robert Telus, alla fine dell’incontro con Solsky.
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Il sospetto di alcuni commentatori è che Polonia, Ungheria e Slovacchia stiano ingigantendo il problema, o comunque insistendo molto sui disagi ai propri agricoltori, per chiedere una quota maggiore di fondi all’Unione Europea. Siamo in una fase di stallo della guerra in Ucraina, e l’Unione Europea teme che un eventuale danno di immagine – per esempio un litigio ancora più visibile sulle importazioni di prodotti ucraini, quindi in sostanza sul sostegno europeo all’Ucraina – possa avvantaggiare la Russia. I paesi dell’Est, insomma, conoscendo questi timori, potrebbero farci leva per ottenere più fondi dal bilancio dell’Unione Europea.
Già a fine marzo la Commissione Europea aveva annunciato che avrebbe utilizzato 56 milioni di euro provenienti da un fondo per le emergenze per compensare le perdite subite dagli agricoltori dei paesi orientali. Il fondo di emergenza prevede una dotazione da circa 450 milioni di euro: lunedì la Commissione ha fatto sapere che sta lavorando a un secondo insieme di aiuti. «In pratica la Commissione ha detto che verserà più soldi: e così Polonia e Ungheria otterranno quello che volevano, dopo aver fatto qualcosa di illegale», ha commentato Gerardo Fortuna, giornalista di Euractiv esperto di politiche agricole europee.
È possibile infatti che questi divieti non siano in linea con le norme europee: secondo i trattati dell’Unione, la competenza sul commercio e su eventuali dazi alle frontiere europee è di competenza della Commissione Europea, non dei singoli stati. La Commissione però non sembra avere alcun interesse ad aprire eventuali procedure di infrazione, che creerebbero ulteriori divisioni e metterebbero a rischio l’unità del sostegno europeo all’Ucraina. Ungheria, Polonia e Slovacchia lo sanno bene. E per questo, secondo questa interpretazione, stanno chiedendo all’Unione Europea più soldi di quanto gli spettino, in cambio della fine della polemica.
Anche perché nessuno dei tre paesi ha la forza diplomatica per imporre cambiamenti a livello europeo. Nei prossimi giorni il Consiglio dell’Unione Europea, l’organo in cui sono rappresentati i governi dei 27 paesi dell’Unione, dovrà rinnovare per un altro anno l’azzeramento dei dazi per l’importazione di prodotti agricoli ucraini: ci si aspetta che la misura venga approvata, dato che per passare non serve l’unanimità ma la cosiddetta maggioranza qualificata.