Perché si parla di nuovo del processo per la strage di Erba

Siamo ancora lontani da un'eventuale richiesta di revisione che riaprirebbe il caso, nonostante certi titoli

Rosa Bazzi e Olindo Romano durante il processo (Mattia Vacca/LaPresse)
Rosa Bazzi e Olindo Romano durante il processo (Mattia Vacca/LaPresse)
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In questi giorni si sta parlando molto di una possibile revisione del processo per la strage di Erba, cioè di un possibile rifacimento del processo stesso. Il sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser ha presentato un documento di 58 pagine per chiedere al suo ufficio – la procura generale di Milano – e all’avvocato generale di Corte d’Appello di chiedere la revisione del processo. Quindi, a differenza di quanto si poteva intuire dalle titolazioni di alcuni giornali, in questo momento non c’è ancora una richiesta di revisione inoltrata alla Corte d’Appello competente, cioè quella di Brescia. La notizia del documento di Tarfusser ha rinfocolato ancora una volta le polemiche tra le opposte fazioni di chi si è interessato al caso, ossia i “colpevolisti” e gli “innocentisti”, le cui tesi talvolta sono fortemente rappresentate da alcune trasmissioni televisive e alcuni giornali.

Il percorso per arrivare a un nuovo processo è solo in una fase preliminare, è lungo e non scontato. Per ora c’è una richiesta del sostituto procuratore fatta alla procuratrice generale di Milano, cioè il suo capo, di valutare la possibilità di chiedere la revisione all’autorità competente. Ma non è detto che la procuratrice generale prima e la Corte d’Appello poi accolgano la richiesta.

Nella sua relazione Tarfusser ha scritto di essersi convinto dell’innocenza di Rosa Bazzi e Olindo Romano, le due persone condannate e attualmente in carcere per gli omicidi dell’11 dicembre 2006 commessi a Erba, in provincia di Como. La richiesta presentata dal sostituto procuratore Tarfusser si discosta dal percorso normalmente seguito in questi casi: ci arriviamo, ma prima di capire come funziona tecnicamente la richiesta di revisione di un processo bisogna riassumere il caso dall’inizio.

L’11 dicembre del 2006, verso le 20:20, in un appartamento di via Diaz a Erba vennero assassinate quattro persone: Raffaella Castagna, 30 anni, suo figlio Youssef, due anni, sua madre Paola Galli, 57 anni, e una vicina di casa di Castagna, Valeria Cherubini, 55 anni. Tutte queste persone furono uccise con coltelli e armi contundenti. Il marito di Cherubini, Mario Frigerio, 66 anni, fu colpito alla gola da una profonda coltellata ma si salvò. In un primo momento le indagini si concentrarono sul marito di Raffaella Castagna e padre di Youssef, Azouz Marzouk, che aveva precedenti per spaccio di droga. Si scoprì però presto che al momento degli omicidi Marzouk si trovava in Tunisia, in visita dalla sua famiglia di origine.

L’8 gennaio del 2007 due vicini di casa di Castagna e Marzouk, Rosa Bazzi e Olindo Romano, vennero fermati e poi arrestati. Confessarono ma dopo qualche mese ritrattarono la confessione. Oltre alle confessioni, contro di loro vennero presentate numerose prove, alcune più labili, altre più consistenti. Ci fu poi la testimonianza di Mario Frigerio che dopo aver descritto in un primo momento una persona diversa, indicò Olindo Romano come autore dell’aggressione ai suoi danni.  

I coniugi Romano vennero condannati dalla Corte d’Assise di Como all’ergastolo. La sentenza fu confermata dalla Corte d’Appello di Milano e infine dalla Corte di Cassazione, l’ultimo grado di giudizio. Dopo la ritrattazione delle confessioni i due hanno sempre sostenuto la loro innocenza, sostenuti dal collegio difensivo rappresentato dall’avvocato Fabio Schembri. Anche Marzouk, dopo che in passato aveva chiesto la condanna di Olindo Romano e Rosa Bazzi invocando persino la pena di morte, ha cambiato idea e oggi si dice convinto della loro innocenza.

In Italia la richiesta di revisione di un processo segue un percorso stabilito dall’articolo 630 del codice di procedura penale. La revisione può essere chiesta «se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto». Oppure «se è dimostrato che la condanna viene pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato».

A chiedere la revisione del processo possono essere, secondo l’articolo 632 dello stesso codice, la persona condannata o un suo parente («prossimo congiunto») attraverso il collegio difensivo, oppure il procuratore generale presso la Corte d’Appello nel cui distretto, cioè l’area di competenza della Corte, fu espressa la sentenza di condanna. Il documento del sostituto procuratore Tarfusser si inquadra in questo secondo caso, ma come detto la procura generale non ha ancora inoltrato nessuna richiesta. Lo farà solo se giudicherà che ci siano elementi consistenti per richiedere di smentire quello che è stato deciso in tre gradi di giudizio. 

Il cortile della casa dove avvenne l’omicidio (La Presse)

Al momento Tarfusser ha semplicemente inviato una relazione di 58 pagine alla procuratrice generale di Milano, Francesca Nanni, e all’avvocata generale di Corte d’Appello, Lucilla Tontodonati. Saranno loro ad analizzare la relazione e, se troveranno fondate le ragioni espresse, a inviare la richiesta di revisione alla Corte d’Appello di Brescia che è competente per i casi di revisione di processi che si sono svolti a Milano. Se a sua volta la Corte d’Appello di Brescia riterrà valida la richiesta, deciderà di far svolgere un nuovo processo. In questo caso potrebbe anche essere decisa la scarcerazione dei due condannati in attesa di un nuovo giudizio.

In Italia le revisioni, cioè i rifacimenti di un processo, sono piuttosto rari essendo il nostro sistema giudiziario già basato su tre gradi di giudizio. Nel caso di Erba, inoltre, per tre volte i giudici hanno scelto di condannare Rosa Bazzi e Olindo Romano. La Corte di Cassazione, confermando la sentenza di condanna, parlò di «solidità dello zoccolo su cui era stata ricostruita la dolorosissima vicenda» e che le tesi della difesa non avevano «la forza di mettere in dubbio le prove che addossano a Rosa e Olindo la responsabilità dell’omicidio».

C’è poi un altro elemento. La stessa difesa di Bazzi e Romano, indipendentemente dalla richiesta del sostituto procuratore, sta per presentare una richiesta di revisione direttamente alla Corte d’Appello di Brescia sulla base di nuove testimonianze, intercettazioni ambientali che secondo la difesa non furono valutate nel corso dei processi, e nuove consulenze. In attesa di capire quali siano gli elementi dei difensori a sostegno della tesi, si possono esaminare quelli di Tarfusser. All’inizio del suo documento, citato dal quotidiano locale La Provincia di Como, Tarfusser scrive:

Nell’autunno del 2022 gli avvocati Fabio Schembri e Paolo Sevesi chiesero allo scrivente un appuntamento perché volevano sottoporre alla mia attenzione una questione, così la definirono, tanto riservata quanto delicata.

Tarfusser spiega poi il motivo della richiesta:

Il motivo per cui i due avvocati mi hanno chiesto l’incontro era quello di chiedermi se, quale rappresentante dell’Ufficio della Procura Generale, potevo immaginare di presentare un ricorso per revisione in quanto la richiesta proveniente dall’Autorità Giudiziaria requirente [cioè l’accusa], avrebbe certamente un particolare peso e credibilità.

Tarfusser nel suo documento si concentra su tre punti: le confessioni di Olindo Romano e Rosa Bazzi; il riconoscimento di Olindo Romano da parte di Mario Frigerio; una traccia di sangue appartenente a Valeria Cherubini trovata nella Seat Arosa di proprietà di Olindo Romano.

Mario Frigerio (ANSA/MILO SCIAKY)

In altri frammenti del documento citati da altri giornali, tra cui il Gazzettino, Tarfusser definisce i due condannati come «una semianalfabeta e un netturbino» assoggettati a una pressione emotiva e psicologica enorme. Scrive Tarfusser:

E resta anche da capire cosa accadde nelle circa 48 ore tra gli interrogatori dell’8 gennaio e del 10 gennaio. Certo è che i due sono soggetti a qualche “manipolazione” da parte dei carabinieri che la mattina del 10 gennaio sono entrati in carcere, apparentemente per riprendere le impronte ai fermati, cosa che, per esperienza, viene fatta all’atto dell’esecuzione di un fermo o di un arresto e prima della conduzione in carcere. Attività che comunque non necessita di tre ore.

Contestando le confessioni, Tarfusser non spiega concretamente perché dovrebbero essere considerate inattendibili. Già in fase di giudizio i difensori avevano molto contestato quelle confessioni. Su questo punto si espresse la Corte di Cassazione, secondo cui gli imputati sarebbero stati sì «sottoposti ad una pressante ma non vietata sollecitazione a fornire quanto a loro conoscenza», ma che «non può essere ritenuto che sia stata operata pressione psicologica tale da limitare la libertà di autodeterminazione». Inoltre, disse la Corte, le dichiarazioni di Romano furono accompagnate da «annotazioni vergate di proprio pugno a pieno contenuto confessorio» (su questo punto ci torniamo).

Il secondo punto contestato da Tarfusser riguarda il riconoscimento di Olindo Romano da parte di Mario Frigerio che lo indicò come suo aggressore:

Non si può non rilevare come questo riconoscimento abbia avuto una genesi tortuosa, sia inficiato da evidenti gravi elementi di criticità che lo rendono estremamente dubbio ma che soprattutto si fonda su elementi che mai sono stati scrutinati e valutati da corti di merito.

Non è una novità, il riconoscimento di Frigerio è sempre stato molto contestato dalla difesa. Frigerio in un primo incontro in ospedale con i carabinieri che svolgevano le indagini disse che gli assalitori erano in due. Dopo aver sentito le urla, lui e la moglie stavano salendo le scale che portavano all’appartamento di Raffaella Castagna e lì venne aggredito. Frigerio descrisse l’uomo che lo aveva ferito alla gola: tanti capelli corti neri, carnagione olivastra, occhi scuri, senza baffi, vestiti scuri, corporatura quadrata, testa grossa.

Il 26 dicembre, 15 giorni dopo essere stato aggredito, Frigerio disse che era stato Olindo Romano. Disse che mentre si stava avvicinando all’appartamento di Castagna si aprì leggermente la porta: «La faccia nello spiraglio della porta era quella di Olindo Romano». In seguito disse che non voleva credere che una persona conosciuta, il vicino di casa, potesse avere fatto quella strage. Da quel giorno in poi Frigerio non ha mai più cambiato versione. A proposito dei dubbi espressi dalla difesa, la Corte di Cassazione disse:

Ciò che è stato sottolineato nelle sentenze di merito è che, anche ammesso il carattere suggestivo delle domande rivolte dai carabinieri, il teste sia avanti ai pubblici ministeri, che avanti ai giudici, ha sempre tenuto fermo di aver avuto distinti in mente i tratti del R. [Romano, ndr] come suo aggressore, ma di aver esitato a menzionarlo fin ab initio [dall’inizio,ndr], perché voleva capire come fosse stato possibile che un normale condomino, con cui non aveva mai avuto nessun contrasto, si fosse accanito così brutalmente su di lui e su sua moglie.

Il terzo punto citato da Tarfusser riguarda la macchia di sangue trovata sull’auto di Olindo Romano, in particolare sul battitacco, quella parte della scocca che si vede solo con la portiera aperta e su cui si poggia il piede salendo e scendendo dall’auto. Tarfusser scrive che si «tratta di una prova che trasuda criticità mai valutate dalle Corti di merito che mai hanno messo in dubbio né l’origine della macchia di sangue né la catena di custodia dal momento del suo repertamento».

È vero che su quella macchia di sangue sono stati espressi molti dubbi. Si tratta dell’unica traccia biologica di una certa rilevanza, che però è problematica. La notte stessa dell’omicidio un carabiniere perquisì l’auto di Olindo Romano. Quel carabiniere fino a poco prima era stato sulla scena del crimine e poi secondo la difesa aveva perquisito l’auto senza indossare i calzari a copertura delle scarpe. Quella traccia potrebbe quindi essere frutto di contaminazione.

Anche su questo punto si espresse la Corte di Cassazione:

Intanto deve essere rilevato che la presenza di traccia sul battitacco della portiera dell’auto dei due imputati è un dato storico, raccolto il 26.11.2006, che i giudici di merito non potevano sottovalutare e che la traccia era particolarmente nitida, tanto da consentire di esaltare con estrema puntualità il profilo genetico. Il vettore della traccia è stato plausibilmente ritenuto il Romano, per il semplice fatto che solo lui ebbe a salire a bordo dell’auto lato guida, se non prima […] i controlli di polizia sull’auto vennero sempre effettuati senza salirci a bordo in ragione delle modeste dimensioni dell’auto stessa […] la nitidezza della traccia induceva ad opinare nel senso che la stessa fosse stata portata direttamente dal luogo del delitto, escludendo che potesse essere frutto di contaminazione dal luogo del delitto.

Questi sono quindi i tre punti citati da Tarfusser che lo hanno spinto a definire Rosa Bazzi e Olindo Romano «probabilmente vittime di un errore giudiziario». È anche vero, però, che gli elementi che portarono alla condanna di Rosa Bazzi e Olindo Romano sono molti più di questi tre.

Innanzitutto il quadro elettrico venne aperto per staccare la corrente (cosa che Olindo Romano confessò di aver fatto) e i giudici ritennero che potesse essere fatto agevolmente solo da un inquilino della casa. Inoltre in passato c’erano state liti furiose tra Raffaella Castagna e i due coniugi, culminati anche con una denuncia: Raffaella Castagna al termine di una lite andò in ospedale dove furono refertate lesioni a una gamba. Qualche mese prima degli omicidi Rosa Bazzi e Olindo Romano in auto avevano seguito il treno dove era salita Raffaella, da Erba fino alla fermata di Canzo-Asso, facendosi ben vedere per metterle paura. In quel caso Castagna aveva avvertito la polizia locale.

Una vicina di casa raccontò che ormai nella corte del palazzo non si poteva fare nulla senza che Bazzi e Romano protestassero per qualcosa; che Olindo era sempre fuori a fumare, che controllava tutto, che spesso i due staccavano il contatore di casa di Castagna. Bazzi e Romano la accusavano di fare sempre rumore, di dare feste, di disturbare e di non controllare il figlio Youssef che, secondo loro, andava sempre in giro a dare fastidio. Tutti i vicini testimoniarono sulle liti tra Castagna e Olindo Romano e Rosa Bazzi.

Un altro elemento indicato dall’accusa e accolto dai giudici fu che nessun altro potesse essere in grado di allontanarsi dal luogo del delitto senza lasciare nessuna traccia a eccezione di chi poteva disporre di un luogo, il locale lavanderia, dove cambiarsi su un tappeto per poi gettare via gli abiti insieme al tappeto stesso. Perché poi i due Bazzi e Romano avrebbero cambiato abitudini proprio quella sera? Non andavano mai fuori a cena, eppure ci andarono proprio quella sera, al McDonald’s di Como, conservando poi lo scontrino.

Quando i carabinieri si presentarono a casa loro la notte della strage, Rosa Bazzi aveva lo scontrino a portata di mano e fu pronta a mostrarlo. Ancora, tra gli elementi citati dai giudici come percorso logico che portò alla condanna: perché uno sconosciuto avrebbe deciso di perdere tempo per incendiare la casa di Castagna e poi avrebbe deciso di uccidere anche i vicini di casa, se non perché sarebbero stati in grado di riconoscerlo? 

Sono tutti elementi che si prestano a interpretazioni, tuttavia ce ne sono altri decisamente più solidi. Nelle confessioni poi ritrattate Rosa Bazzi e Olindo Romano diedero la stessa versione sulle armi usate, sulla dinamica, sui punti d’innesco dell’incendio e persino sul colore dell’accendino utilizzato. I punti d’innesco furono: l’angolo del piumino matrimoniale, la gonna di Paola Galli, il piumino nella stanza di Youssef. Questi particolari non furono divulgati e Bazzi e Romano non potevano averli appresi dalla stampa. Inoltre entrambi dissero che sul letto erano stati messi alcuni libri per facilitare lo sviluppo dell’incendio. Anche questo era un particolare non noto.

La teoria degli “innocentisti”, cioè di coloro che sostengono che Bazzi e Romano siano innocenti, è che a fornire loro quelle informazioni sarebbero stati o gli stessi carabinieri o la procura di Como. Sarebbe un’accusa molto grave di manipolazione delle prove.

In ogni caso non c’è solo la confessione fornita ai pubblici ministeri. In fase processuale ebbe molta rilevanza un colloquio tra Bazzi e lo psicologo Massimo Picozzi, allora consulente della difesa. Bazzi disse di essere stata minacciata e di aver subito forme di violenza da Azouz Marzouk. Poi descrisse la dinamica degli omicidi.

Attenzione, il video del colloquio può risultare impressionante.


Infine, le cosiddette «annotazioni vergate». Sono un elemento di prova che viene spesso tralasciato: quando Romano arrivò nel carcere di Como, il parroco dell’istituto penitenziario gli regalò una Bibbia. Su quella Bibbia, Romano nelle settimane successive scrisse molte cose. 

Il 24 aprile del 2007, poco più di tre mesi dopo il suo arresto, Olindo Romano annotò sulla Bibbia:

Accogli nel tuo regno il piccolo Youssef sua mamma Castagna Raffaella sua nonna G.Paola e C.Valeria a cui noi abbiamo tolto il tuo dono, la vita.

Il 5 maggio scrisse:

Il contadino che semina raccoglie e noi non abbiamo raccolto ciò che abbiamo seminato. Bensì abbiamo partecipato portati dall’odio e dall’esasperazione al raccolto che altri hanno seminato nel tempo volontariamente. La cosa è diversa.

Il 31 maggio un’altra annotazione:

Oggi a colloquio con la mia vita, mi ha raccontato che sono alcune notti che vede Raffaella davanti alla sua branda come quella sera col sangue che le scende sul volto e i colpi che io gli ho inferto quando la uccidemmo, gli ha detto che abbiamo fatto bene a ucciderti. Piccolo Youssef che ha ricevuto il battesimo come sua nonna e come sua nonna ha ricevuto l’estrema unzione loro sono già nel regno dei cieli. Raffaella vaga tra i due mondi nel vento finché anche lei non troverà la sua pace, noi ti sentiamo, ti abbiamo perdonato, siamo pentiti anche se non completamente.

Il 12 giugno Olindo Romano scrisse, inserendo una foto di Raffaella presa da un giornale:

Olindo e Rosa ti capiscono se non li avessimo uccisi tutti avremmo fatto la tua fine. Tutti sapevano, nessuno fece nulla, ti capiamo.

E più sotto:

Riposate in pace 

Pochi giorni dopo, un’altra scritta:

Per quanto riguarda i coniugi Frigerio dovevano farsi i cazzi suoi, chiunque li ha uccisi ha fatto bene.

Il 26 giugno il tono delle annotazioni cambiò. Da due mesi Olindo Romano e Rosa Bazzi avevano nuovi avvocati. Scrisse Olindo Romano:

Con i piedi per terra. Se quello che dicono i nostri avvocati che conoscono i fascicoli, le dichiarazioni, gli orari detti dai testimoni, quella sera né io né mia moglie avevamo il tempo materiale per uccidere i coniugi Frigerio, altrimenti non avremmo avuto il tempo necessario per salire in auto e uscire dal cortile. A questo punto facciamo un passo indietro, se quello che ho citato sopra corrisponde al vero.

Da quel momento Rosa Bazzi e Olindo Romano si professarono innocenti. Al processo Olindo Romano disse:

Noi in carcere divisi in isolamento, non vedendoci, non avendo notizie, abbiamo rilasciato le confessioni che ci hanno danneggiato, ci siamo sfogati mescolando la realtà con la fantasia e le notizie apprese dai giornali dalla TV e non so cos’altro. Quando abbiamo reso le confessioni io pensavo che mi avrebbero messo in cella con mia moglie, anche lei aveva questa speranza. In quel momento eravamo smarriti, confusi.

La difesa ha sempre sostenuto anche che vennero sottovalutate ipotesi investigative alternative. Azouz Marzouk in un’intervista televisiva chiese di «indagare sulla famiglia Castagna». Per questa affermazione è stato condannato a due anni e sei mesi di reclusione per diffamazione a mezzo stampa.

L’ipotesi suggerita dalla difesa è un delitto nato nell’ambito di una lotta per il controllo del traffico di stupefacenti, traffico in cui lo stesso Marzouk sarebbe stato coinvolto. La Corte di Cassazione scrisse che «era stato considerato anche l’ambiente insano frequentato dal M.A. [Marzouk, ndr], coinvolto in traffici di stupefacente, come luogo di germoglio dell’azione criminosa, ma nessuno spunto emerse per accreditare questa ipotesi».

Insomma, il documento di Tarfusser non sembra presentare elementi nuovi ma contesta tre punti su cui si basò la condanna. Gli elementi nuovi saranno presentati eventualmente nella richiesta della difesa: solo avendo un’idea della loro concretezza si capirà se la richiesta di revisione del processo avrà possibilità di essere accolta.