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  • Lunedì 17 aprile 2023

Mangiare carne fatta in laboratorio, a Singapore

Attualmente è l’unico paese dove è possibile farlo e non è un caso: chi l’ha provata dice che è un po’ strana, ma buona

(il Post)
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Negli ultimi tempi in Italia si è intensificato il dibattito sulla cosiddetta “carne sintetica”, che non solo non è realmente sintetica (ci arriviamo) ma non è neanche mai stata prodotta o venduta nel paese. Ci sono paesi però in cui la ricerca su questo prodotto è molto avanti e un paese nello specifico in cui la carne prodotta in laboratorio si può mangiare già da qualche tempo: Singapore.

Qui, dopo una legge del 2020, alcuni ristoranti hanno cominciato a proporre piatti a base di carne fatta in vitro, cioè partendo da cellule animali che vengono fatte crescere e sviluppare in laboratorio, imitando di fatto ciò che avviene normalmente con la crescita di un essere vivente. Non è un caso che sia avvenuto proprio a Singapore: una piccola città stato che ha al contempo un problema di approvvigionamento alimentare e un’industria tecnologica particolarmente avanzata.

Da dicembre, ogni giovedì per pranzo, al bistrot della macelleria a conduzione familiare Huber’s Butchery si possono assaggiare due piatti a base della “GOOD Meat” prodotta dalla start up statunitense Eat Just, finora l’unico prodotto di questo tipo ad aver ottenuto l’autorizzazione per la vendita, solo a Singapore. Giovedì scorso il piccolo bistrot della macelleria Huber’s era pieno, con circa 10/15 clienti, perlopiù statunitensi, australiani e tedeschi, che erano riusciti a prenotare i posti disponibili online, che di norma vanno esauriti nel giro di pochi minuti. Tra questi c’era anche Giacomo, un italiano che vive a Singapore da alcuni anni (ha chiesto di essere citato solo per nome) e che ha fornito al Post le foto che si vedono in questo articolo, oltre ad aver raccontato alcuni dettagli sulla sua esperienza. Quel giorno si poteva scegliere tra un piatto di orecchiette con GOOD Meat di pollo e verdure e un sandwich con lo stesso pollo ma fritto, servito con patatine e insalata.

Orecchiette con GOOD Meat di pollo (il Post)

A Giacomo il sapore della carne è piaciuto, anche se ha detto che la consistenza non gli ricordava tanto quella del pollo, quanto quella del tempeh, un alimento vegetale derivato dalla soia fermentata, molto popolare nel Sud-est asiatico e conosciuto anche in Europa. «Mangiandola si sentiva la ricchezza della proteina e il gusto della marinatura», ma «non avrei detto che fosse pollo», ha raccontato Giacomo, dicendo che la carne era «un po’ asciutta». Un giornalista che l’aveva provata nel 2022 durante una degustazione organizzata a Singapore da Eat Just aveva scritto che era «come mangiare una crocchetta di pollo di McDonald’s più ‘leggera’», «meno unta» e sempre «senza una consistenza ben definita», ma che tutto sommato sapeva di pollo.

Quello provato da Giacomo era il terzo “prototipo” di carne di pollo GOOD Meat: gli addetti di Eat Just, che sfruttano i pranzi alla macelleria anche per raccogliere i pareri e le considerazioni della clientela, hanno spiegato a Giacomo che uno dei prossimi obiettivi dell’azienda è proprio quello di provare a renderla più succosa.


Le tecniche usate da Eat Just per produrre la sua carne sono simili a quelle di altre aziende che hanno cominciato a svilupparla in laboratorio in questi anni, in particolare negli Stati Uniti, nei Paesi Bassi e in Israele. In poche parole, si parte dalle cellule staminali degli animali (in questo caso polli), che non sono ancora specializzate e che hanno quindi la potenzialità di differenziarsi nei vari tipi di cellule mature che costituiscono poi un tessuto. Queste cellule non sono “sintetiche”, ma derivano da un prelievo effettuato da animali già vivi o da embrioni.

Una volta isolate le cellule staminali idonee, si procede a inserirle in particolari contenitori nei quali è presente un terreno di coltura, di solito una soluzione che contiene sostanze nutrienti di vario tipo, dove le cellule iniziano a crescere e a replicarsi. Per arrivare a un tessuto paragonabile al muscolo di un animale, cioè alla carne che viene normalmente consumata, si deve poi trovare il modo di ricreare la struttura tridimensionale della carne, che è ciò che dà la consistenza e la capacità stessa del tessuto di non sfaldarsi durante la cottura. Si usa quindi una specie di impalcatura che permette di crescere e modellare la carne nella forma desiderata.

Sul sito di GOOD Meat si legge che il processo per creare una porzione di carne con queste tecniche dura dalle quattro alle sei settimane. Giacomo ha raccontato di aver chiesto agli addetti di Eat Just che aspetto abbia da cruda: gli è stato risposto di pensare a un pezzo di petto di pollo crudo e di immaginarsi di fargli fare un giro in lavatrice con uno sbiancante: «Non qualcosa di propriamente invitante», hanno detto.

– Leggi anche: Che cos’è la “carne sintetica”

Le ricerche nel settore proseguono da anni e il loro scopo è quello di trovare metodi più sostenibili per produrre la carne, visto che gli allevamenti di bovini comportano un grande consumo di energia e buona parte delle emissioni di gas serra legate alle attività umane. Secondo le aziende che se ne occupano, il loro lavoro permetterebbe di ottenere carne con lo stesso valore nutrizionale di quella degli animali allevati, inquinando meno ed evitando di impiegare grandi quantità di pascoli, mangime o antibiotici; in più, ridurrebbero anche i problemi etici legati alla sofferenza inflitta agli animali dall’attuale sistema di produzione di carne a livello industriale.

Al momento comunque ci sono varie difficoltà. Il settore è ancora piccolo e fatto di molte start up che si finanziano grazie a fondi di investimento, ma ci sono dubbi sulla loro capacità di sopravvivere; ci sono poi problemi oggettivi, come quello di passare dalla modalità di produzione su piccola scala a quella su scale più grandi, per produrre molti chilogrammi di carne.

 

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Non è comunque un caso che il primo ristorante e la prima macelleria a servire carne prodotta con queste tecniche si trovino proprio a Singapore, il primo e attualmente l’unico paese al mondo ad averne autorizzato la vendita, alla fine del 2020.

In seguito all’approvazione, il primo a servire la GOOD Meat nel dicembre dello stesso anno fu il ristorante 1880, e poi fu presentata anche in alcuni locali di street food e ristoranti pop up, di quelli che aprono e chiudono in fretta per provare a promuovere nuovi cibi, molto diffusi nella zona. Nel 2022 Eat Just ha ottenuto il permesso per costruire a Singapore un grosso impianto per la produzione della sua carne. Pochi mesi fa Singapore è diventato anche il primo paese al mondo ad aver autorizzato la vendita della Solein, una polvere gialla che ricorda il parmigiano grattugiato ma in realtà viene prodotta a partire da microorganismi e nutrienti vari.

Per usare le parole di Mirte Gosker, direttrice della divisione Asia-Pacifico del think tank Good Food Institute, ci sono due ragioni fondamentali per cui al momento Singapore è «senza dubbio l’hub delle proteine alternative in Asia – e verosimilmente nel mondo». Intanto, la necessità di soddisfare anche in futuro il fabbisogno alimentare dei suoi circa 5,4 milioni di abitanti, e poi il fatto che sia già da tempo un posto molto avanzato dal punto di vista tecnologico.

Singapore infatti sorge su una serie di isole e occupa una superficie totale di circa 720 chilometri quadrati – meno della metà dell’area metropolitana di Milano – e meno dell’1 per cento del suo territorio è destinato agli allevamenti. In ogni caso il paese fa affidamento sulle importazioni per circa il 90 per cento del cibo necessario per il fabbisogno della popolazione, con potenziali rischi sia per eventuali problemi di approvvigionamento che per il possibile aumento dei costi. Per questa ragione, l’Agenzia per la sicurezza alimentare di Singapore ha avviato il piano “30 by 30”, che ha l’obiettivo di produrre almeno il 30 per cento del cibo richiesto per il fabbisogno nazionale sul territorio entro il 2030 e con metodi sostenibili per l’ambiente.

C’entra poi il fatto che a Singapore esistano già molte aziende tecnologiche e ci siano quindi le strutture e l’attitudine per sostenere la ricerca in questo campo. «Nella transizione dalle tecnologie biomediche allo sviluppo delle tecnologie alimentari non c’è bisogno di reinventare la ruota», ha detto al Guardian il professor William Chen, direttore del programma di scienza e tecnologia alimentare all’Università tecnologica Nanyang.

Susie O’Neill, funzionaria della think tank Food Frontier, ha notato che oggi a Singapore sono attive almeno 17 aziende che producono “carne vegetale”, quella cioè che ha aspetto e consistenza simili alla carne vera, ma è ricavata dalla lavorazione di ingredienti come grano, olio di cocco e patate. Secondo un’analisi del Good Food Institute, al momento ce ne sono altre 36 che stanno studiando e sviluppando proteine alternative create in laboratorio, come pesce, latte e prodotti caseari.

Uno degli obiettivi di Eat Just nel breve periodo è quello di ampliare l’offerta dei propri prodotti e trovare nuovi posti in cui far assaggiare la sua carne a Singapore, come hanno detto a Giacomo gli addetti dell’azienda. L’amministratore delegato, Josh Tetrick, ha spiegato che invece per il lungo periodo si punta a vendere la carne fatta in laboratorio in altri paesi asiatici, ma anche a fare in modo che entro il 2030 il suo costo sia simile o persino più basso di pollo, manzo e maiale cresciuti negli allevamenti. Al momento infatti il costo dei piatti a base di GOOD Meat è piuttosto alto se confrontato con quello che si spende in media per un tipico pranzo nei ristoranti locali: 18,5 dollari di Singapore (circa 12,6 euro) contro i 5-10 che si spendono di norma. Le persone del posto spesso storcono il naso quando pagano il pranzo più di 5 dollari: quelle straniere che vivono a Singapore invece sono disposte a spendere anche molto di più, ha detto Giacomo.

– Ascolta anche: Ci vuole una scienza: La carne sintetica, che non è sintetica