I controversi “café con piernas” del Cile
Sono bar in cui le cameriere lavorano in abiti poco coprenti, e spesso vengono criticati perché retrogradi e possibili luoghi di sfruttamento
Passeggiando per le strade del centro di Santiago, la capitale del Cile, in Sudamerica, è facile imbattersi in un “café con piernas”, uno dei tipici bar dove le cameriere servono la clientela in tacchi alti e abiti succinti. Questi locali si diffusero tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta, nel periodo del regime del generale Augusto Pinochet, e fanno parte della tradizione locale ancora oggi che il Cile è un paese democratico, dove le discriminazioni di genere sono un tema molto discusso a livello politico.
Per via del modo in cui si presentano le donne che ci lavorano, però, spesso vengono considerati parte di una cultura retrograda e sessista: in qualche caso, destano preoccupazione anche per il sospetto che alcuni nascondano giri di prostituzione o sfruttamento di minori e di persone immigrate.
Il nome con cui sono conosciuti questi bar in Cile deriva dal fatto che la gran parte delle cameriere indossa abiti corti e in qualche caso solo bikini, lasciando scoperte le gambe (in spagnolo “piernas”). Generalmente hanno nomi esotici, come Café Haití o Café Caribe, e un arredamento piuttosto datato, spesso con neon, specchi e luci soffuse: a volte non hanno posti a sedere, ma solo un bancone al quale si può ordinare un caffè o una bibita. Nel tempo infatti i café con piernas sono stati soggetti ad alcune regole più stringenti di quelle dei normali bar, tra cui l’obbligo di aprire solo di giorno e il divieto di vendere alcolici.
In teoria nessun café con piernas offre servizi sessuali alla clientela, ma ce ne sono alcuni in cui accade e altri che hanno una reputazione dubbia, soprattutto nelle zone più defilate delle città. In Cile comunque la prostituzione è regolamentata, mentre sono vietate e punibili le attività legate allo sfruttamento sessuale, i bordelli e la tratta di esseri umani.
La clientela dei café con piernas è composta perlopiù da uomini che li frequentano principalmente per la compagnia delle loro cameriere: sono spesso impiegati e operai che vanno a prendere un caffè nella pausa dal lavoro, ma ci si trovano anche studenti, qualche coppia e turisti. Solo nel centro di Santiago ce ne sono circa 60, praticamente quasi uno per ogni isolato: in tutta l’area metropolitana se ne contano circa il doppio e sono diffusi anche nel resto del paese.
Qualche anno fa una cameriera di un bar che aveva parlato con BBC Mundo a condizione di usare il nome di fantasia María aveva raccontato che il lavoro pagava abbastanza bene – l’equivalente di circa 1.800 euro al mese, di gran lunga superiore allo stipendio mensile medio nel paese, inferiore a 1.000 – e che in più molti clienti del bar le lasciavano mance o le facevano regali. Anche Mandy, una cameriera del Café Alibaba, dice che il lavoro le piace perché guadagna bene, ma può capitare che alcuni uomini siano «maleducati e si aspettino qualcosa di diverso» da loro.
I bar di questo tipo risalgono ai primi anni Ottanta. Nel 1982 la catena del Café Haití introdusse la minigonna nella divisa delle cameriere; altri locali con caratteristiche simili diventarono di moda negli anni Novanta, come il Café do Brasil e il Café Ikabarú. A Santiago il Barón rojo inventò il “minuto feliz”: sessanta secondi in cui le cameriere servivano ai tavoli senza il reggiseno (il locale ha chiuso da tempo).
Secondo Marcela Hurtado, professoressa dell’Universidad Austral del Cile, che ha studiato a lungo la storia dei café con piernas, nonostante le leggi e la recente maggior consapevolezza sulle questioni di genere abbia modificato in parte la percezione di questi locali «la loro essenza non è cambiata». Spesso, sostiene Hurtado, questi posti «operano ai margini della legge», e non sempre le condizioni di lavoro delle donne sono tutelate.
Oggi le cameriere dei café con piernas sono perlopiù ragazze straniere, per la maggior parte venezuelane o colombiane, che in molti casi farebbero fatica a trovare un altro lavoro nel paese. María per esempio è laureata in ingegneria industriale ed è venezuelana, così come Mandy, che prima di arrivare a Santiago grazie al passaparola di alcune sue amiche frequentava l’università. María dice che quasi tutte le cameriere in questi locali hanno contratti in regola. Sempre secondo María ci sono senz’altro cameriere che hanno rapporti sessuali con i clienti, ma sostiene che sia una cosa abbastanza rara, mentre uno studio dell’Università del Cile ha evidenziato il contrario.
In generale i critici accusano i gestori dei café con piernas di favorire lo sfruttamento sessuale delle donne, e in altri casi di impiegare ragazze minorenni o sfruttare le condizioni di donne immigrate irregolarmente.
Nel 2016 il responsabile delle ispezioni sul lavoro nell’area metropolitana di Santiago, Patricio Hidalgo, disse al giornale spagnolo El Confidencial che fino a qualche anno prima nei café con piernas del Cile regnava la «la legge della giungla». Nel giro di un anno il comune ne aveva chiusi circa 60, perlopiù per il mancato rispetto delle norme di sicurezza o per il disturbo ai residenti, ma mai per sfruttamento sessuale, che secondo Hidalgo era comunque plausibile.
Anche un’indagine dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni e della ong Raíces, citata sempre dal Confidencial, evidenziò vari casi in cui in alcuni locali era emerso lo sfruttamento della prostituzione e almeno uno in cui lavoravano anche ragazze minorenni.
– Leggi anche: Il sex work dovrebbe essere considerato un lavoro?
Secondo lo studioso Devanir da Silva Concha, i café con piernas sono un fenomeno tipico della «mascolinità egemonica» della società cilena, e fanno anche parte di uno «spettacolo dell’erotismo» che si basa sull’idea di sfruttare il corpo femminile per attirare l’attenzione e «stuzzicare le fantasie» del potenziale cliente. La storica Verónica Valdivia osserva d’altra parte come la maggiore libertà sessuale e l’apertura «al mercato del sesso» favorite dalla modernizzazione del Cile negli anni Novanta portarono a una nuova forma di sottomissione delle donne, almeno all’apparenza.
È un po’ quello che nota Hurtado quando dice che nei café con piernas c’è tanta emancipazione femminile quanta sottomissione: da un lato, le donne possono lavorare e guadagnare «sfruttando il proprio corpo e il proprio carisma nel flirtare [con i clienti], proprio come chi lavora nell’edilizia usa le sue mani». Dall’altro, dice Hurtado, il loro è un lavoro che sebbene regolamentato si porta dietro uno stigma e la possibilità di discriminazioni e marginalizzazione, come succede più in generale per il sex work.
Commentando la questione, l’amministrazione della sindaca di Santiago Irací Hassler, 32enne che si è spesa più volte a favore delle istanze femministe, ha chiarito di non essere contro le donne che lavorano nei café con piernas, purché lavorino con «un contratto equo e legale e nelle attività autorizzate». L’amministrazione comunale sostiene inoltre di «non voler stigmatizzare le donne che devono lavorare per sopravvivere», ma di voler «garantire la loro sicurezza».