La morte di Pol Pot, 25 anni fa
Uno dei dittatori più sanguinari del Ventesimo secolo morì sui monti della Cambogia, forse per un infarto, forse suicida, il 15 aprile del 1998
Il 15 aprile del 1998, venticinque anni fa, morì Pol Pot, leader del movimento armato comunista dei Khmer rossi e del regime con cui aveva governato la Cambogia fino a vent’anni prima, considerato fra i più sanguinari della storia del Ventesimo secolo. Pol Pot aveva 72 anni, era in cattive condizioni di salute e da poco meno di un anno era stato messo agli arresti domiciliari dagli stessi Khmer rossi, al termine di una lunga disputa interna al gruppo. Morì in un villaggio dell’area ancora controllata dai guerriglieri, quella di Anlong Veng, città del nord della Cambogia, nella zona dei monti Dangrek che separano il paese dalla Thailandia.
La sua morte, avvenuta proprio quando sembrava che i Khmer rossi avessero acconsentito a consegnarlo a un tribunale internazionale, è stata oggetto di molte ipotesi e teorie.
Ufficialmente Pol Pot morì per un infarto avvenuto nel sonno, ma secondo alcuni testimoni presenti sul posto, fra cui il giornalista Nate Thayer che un anno prima era stato l’unico a intervistarlo, si sarebbe invece ucciso ingerendo una dose letale di farmaci. In ogni caso, evitò ogni processo per i propri crimini: il suo corpo fu mostrato a un gruppo di giornalisti e tre giorni dopo fu cremato secondo il rito tradizionale buddista, sopra a una pila di copertoni. Il luogo della cremazione fu poi coperto con una lamiera arrugginita, a cui fu affiancato un piccolo cartello.
Oggi fa parte di una specie di circuito turistico dedicato ai luoghi dei Khmer rossi, ed è visitato da turisti e curiosi, in gran parte cambogiani.
Pol Pot guidò una dittatura comunista in Cambogia per meno di quattro anni, fra il 1976 e il 1979, e si stima che in quel periodo morirono 1,5-2 milioni di cambogiani, pari a circa un quarto dell’intera popolazione del paese. Il regime dei Khmer rossi fu responsabile di uccisioni di massa di presunti oppositori politici, ma non solo. Una gran parte della popolazione morì per fame, per gli effetti del lavoro forzato e per l’assenza di cure mediche. I metodi di governo di Pol Pot furono così estremi da essere considerati quasi un esperimento sociale: il regime combinava elementi di marxismo con un’ideologia di ritorno a una società agreste della tradizione Khmer (il gruppo etnico più grande della Cambogia) e portò a quello che è conosciuto come il genocidio cambogiano.
Il regime di Pol Pot fu rovesciato nel 1979 dall’intervento militare del Vietnam (altro regime comunista), che a quel tempo era appoggiato dall’Unione Sovietica (si era nel bel mezzo della Guerra fredda).
Pol Pot e gli altri leader dei Khmer rossi si trasferirono nelle foreste e nelle zone montuose al confine con la Thailandia, dove combatterono una guerriglia durata molti anni, con il sostegno anche degli Stati Uniti. Nonostante fosse alla guida di un movimento comunista, infatti, Pol Pot fu a lungo più o meno apertamente sostenuto dall’amministrazione statunitense durante e dopo la guerra che vide l’esercito americano impegnato proprio in Vietnam. Il dittatore cambogiano era visto come un possibile argine a un’espansione vietnamita nell’area.
Pol Pot non era il suo vero nome: nacque come Saloth Sar nel maggio del 1925 a Prek Sbauv, un piccolo villaggio nel nord est della Cambogia, da una famiglia agiata di agricoltori. Assunse il nome “di guerra” Pol Pot nel 1963, quando era già un guerrigliero rivoluzionario: sul significato del nome sono state proposte numerose teorie, ma è possibile che non ne avesse nessuno in particolare. Il dittatore cambogiano nel corso della sua vita si fece chiamare con molti diversi nomi e soprannomi, fra cui Pouk, Hay, Pol, 87, il Grande Zio, il Fratello Maggiore, Fratello Numero 1, 99 e Phem. Disse a un suo segretario: «Più volte cambi il nome, meglio è: confonde il nemico».
La sua famiglia aveva legami col re cambogiano Sisowath Monivong: una cugina di Pol Pot era una delle concubine del sovrano. Al tempo la Cambogia era un protettorato francese, la monarchia aveva poteri limitati ma la vicinanza alla corte garantiva uno status elevato. Questo permise a Saloth Sar prima di frequentare le scuole francesi nella capitale Phnom Penh, poi di andare a Parigi, dal 1949, per frequentare una scuola superiore di radio-elettronica: restò in Francia tre anni, il suo percorso scolastico fu fallimentare ma venne a contatto con il Partito Comunista Francese, fu influenzato dagli scritti di Stalin e Mao (ammise in seguito di non aver «realmente capito» quelli di Marx), ed entrò nel circolo marxista Khmer fondato da cambogiani nella capitale francese.
Nel 1953 fece ritorno in Cambogia, che aveva appena ottenuto l’indipendenza dalla Francia: lavorò come insegnante e fu fra i fondatori del partito comunista cambogiano (1960). Quando il re Norodom Sihanouk, che in quegli anni aveva accentrato i poteri e limitato le attività democratiche, lanciò un’operazione che avrebbe dovuto arrestare tutti i componenti del partito comunista, Pol Pot si trasferì nelle foreste del nord del paese, dove divenne il leader di un movimento rivoluzionario. Contribuì ad alimentarlo e addestrarlo per almeno un decennio, intrattenendo anche relazioni con il Vietnam del Nord e la Cina, a cui chiedeva appoggio militare.
Nel 1970 il generale Lon Nol prese il potere in Cambogia con un colpo di stato, avvicinando il paese agli Stati Uniti e al Vietnam del Sud: erano gli anni della guerra in Vietnam e i destini della Cambogia ne erano fortemente influenzati.
Nel 1970 l’invasione di una regione di confine della Cambogia da parte dei Vietcong, la forza di resistenza comunista al regime sudvietnamita appoggiato dagli Stati Uniti, portò a un massiccio bombardamento del paese da parte dell’aviazione americana. Gli effetti delle bombe statunitensi ricaddero in gran parte sulla popolazione civile ed ebbero come effetto imprevisto l’aumento delle adesioni dei cambogiani al movimento rivoluzionario di Pol Pot, che aveva iniziato ad essere definito dei “Khmer rossi”.
All’inizio del 1972 Pol Pot controllava una regione settentrionale del paese, in cui cominciò una redistribuzione delle terre, il sequestro dei mezzi motorizzati e una collettivizzazione forzata. L’obiettivo era creare una società agraria completamente autosufficiente, in cui i vertici del partito – conosciuti in quegli anni con il nome di “Angkar” – controllassero tutti gli aspetti della vita dei cambogiani. La guerra al regime di Lon Nol durò ancora un paio d’anni, fino alla fuga di quest’ultimo nell’aprile del 1975, quando i Khmer rossi entrarono nella capitale.
Nel giro di poche ore i Khmer rossi costrinsero la popolazione di Phnom Penh – circa 2 milioni di persone – a lasciare la città, in quella che fu una delle più grandi migrazioni forzate della storia recente e che trasformò la capitale cambogiana in una cosiddetta “città fantasma”. I guerriglieri sostennero si trattasse di una misura temporanea per evitare i rischi di un bombardamento americano.
Centinaia di migliaia di persone furono invece portate a lavorare nei campi. I sopravvissuti del regime hanno raccontato che il lavoro in campagna era massacrante: le persone erano costrette a lavorare più di 10 ore al giorno, e normalmente venivano date loro solo due ciotole di riso, una a pranzo e una a cena. Chi veniva trovato a rubare – anche solo della frutta – veniva ucciso. Furono uccisi moltissimi monaci buddisti e persone appartenenti a classi sociali elevate. Tra le categorie più colpite ci fu quella degli insegnanti: i sopravvissuti raccontano ancora oggi che chi portava gli occhiali veniva arrestato, perché gli occhiali erano associati a un alto grado di istruzione.
Pol Pot instaurò una delle dittature più violente e terribili del Ventesimo secolo: nei quattro anni di regime furono costruite in diverse parti del paese prigioni e campi di sterminio. Le testimonianze raccolte nei decenni successivi raccontano di torture, uccisioni di massa, crudeltà diffusa. Il paese fu organizzato in una serie di cooperative agricole in cui il lavoro era forzato, la violenza sempre presente, le famiglie separate. L’ambizione di creare “l’uomo nuovo” cambogiano giustificava la repressione di ogni dissenso e di ogni presunto segno di debolezza.
A partire dal dicembre 1976 Pol Pot preparò la Cambogia a una guerra contro il Vietnam, dove nel frattempo le forze del Nord e i Vietcong erano riusciti a unificare il paese sfruttando il ritiro delle forze americane: il Vietnam era quindi diventato una Repubblica socialista, ma continuava a essere visto da Pol Pot come una minaccia per la propria rivoluzione. Alla base della diffidenza reciproca c’erano varie ragioni di natura storica, nonché dispute di confine: ma soprattutto il Vietnam di Ho Chi Minh dopo la vittoria sugli americani voleva far valere la propria influenza sull’area, mentre il regime di Pol Pot non intendeva accettare alcun genere di ingerenza politica. Sopravvalutando le proprie forze la Cambogia pensava di poter rivaleggiare in termini militari con i vicini.
Gli scontri nelle regioni di confine, partiti dopo alcuni sconfinamenti dei Khmer rossi, si trasformarono in un’invasione su larga scala da parte delle truppe vietnamite in Cambogia il giorno di Natale del 1978. Nel giro di pochi mesi il regime di Pol Pot cadde, ma i vertici dei Khmer si rifugiarono ai confini della Thailandia, dove continuarono un’opposizione militare al nuovo governo cambogiano sostenuto dal Vietnam. Pol Pot ufficialmente lasciò il comando militare nel 1985, ma restò molto influente anche negli anni successivi: passò alcuni anni tra Thailandia e Cina, fino al ritiro del Vietnam dalla Cambogia nel 1989.
Si stabilì quindi in un piccolo villaggio del nord del paese dove rimase per tutti gli anni Novanta, mentre le sue truppe disertavano e i pochi leader dei Khmer rossi rimasti al suo fianco lo abbandonavano pian piano.
Ancora nel 1997, in un ultimo atto di violenza e paranoia, ordinò e ottenne l’uccisione del suo erede a capo dei Khmer rossi, Son Sen, e di dodici fra i membri della sua famiglia e i più stretti alleati. Fu quindi messo agli arresti domiciliari da un altro leader del movimento, Ta Mok: è in questo periodo che Pol Pot diede anche l’unica intervista dopo la caduta del suo regime. Non mostrò segni di pentimento, giustificò ogni scelta del suo governo in ottica antivietnamita, disse di non credere al milione di morti. La sua morte e quella di altri leader del movimento, avvenuta senza che fosse svolto un processo, ha reso più complesso il processo di rielaborazione storica di quel terribile periodo in Cambogia.
Le prime condanne di leader dei Khmer rossi sono arrivate nel 2014: due dei condannati poi nel 2018 sono stati ritenuti colpevoli anche di genocidio.