Chi controlla la polizia?
Negli ultimi anni è cresciuto il numero di agenzie esterne indipendenti, che però spesso hanno poche risorse ed efficacia limitata
di Giulia Siviero
Nelle ultime settimane la polizia francese è stata accusata di uso eccessivo della violenza durante le proteste contro la contestata riforma delle pensioni voluta dal governo. L’ente che in Francia si occupa di controllare l’operato della polizia si chiama Défenseure des droits (Difensore dei diritti francese) e ha fatto sapere di aver ricevuto decine di ricorsi a seguito di abusi da parte della polizia dall’inizio della mobilitazione. Il Difensore dei diritti francese è una figura indipendente, ma nella pratica i suoi poteri sono limitati.
Gli enti come il Difensore dei diritti francese esistono in molti paesi del mondo e anche d’Europa, ma non in Italia, e non sono fatti allo stesso modo ovunque. In generale sono comunque esterni alla polizia, hanno un certo grado di indipendenza dal governo e hanno il compito di garantire il rispetto della buona condotta da parte di quei soggetti che svolgono attività di pubblica sicurezza sul territorio e tutelare i diritti e le libertà della cittadinanza in caso di abusi. Sono particolarmente importanti perché consentono spesso di superare la logica del corporativismo: quando le indagini sugli abusi vengono fatte all’interno della polizia stessa, il rischio è che si verifichino insabbiamenti, coperture o impunità o che le procedure non siano imparziali. In alcuni casi questi enti hanno anche il potere di intervenire direttamente, ma spesso la loro efficacia è limitata, per diverse ragioni, tra cui la mancanza di risorse.
Il più importante studio sul loro funzionamento è stato pubblicato nel 2023 dalla Rete delle autorità indipendenti incaricate dei reclami contro le forze dell’ordine (IPCAN), che riunisce quegli organismi indipendenti che in alcuni paesi sono incaricati di controllare le forze dell’ordine. Attualmente i componenti della Rete sono ventidue e provengono tutti da paesi europei.
Cosa sono
Lo sviluppo di un meccanismo generale di controllo civile dei pubblici ufficiali, compresi i poliziotti, nacque in Europa circa duecento anni fa, con la figura dell’ombudsman, il difensore civico. In Svezia fu creato nel 1809. In Finlandia negli anni Venti del Novecento. Ma nella maggior parte dell’Europa le agenzie di controllo della polizia sono state create soprattutto a partire dagli anni Ottanta e Novanta. Sono presenti nella maggior parte degli stati europei e in quasi tutti gli stati membri dell’Unione Europea, con delle eccezioni: Lituania, Austria, Repubblica Ceca e Italia, dove ancora delle strutture indipendenti alle quali denunciare gli abusi delle forze dell’ordine non esistono. In Germania, sono attive in solo tre Länder (cioè le regioni tedesche) su sedici.
Mentre un tempo queste agenzie erano poco diffuse, oggi sempre più paesi le hanno istituite. L’introduzione di un meccanismo di controllo esterno fa parte di un movimento più generico chiamato “agenzificazione”: i governi tendono cioè sempre di più ad affidare la regolamentazione di un certo settore (audiovisivi, banche, trasporti pubblici e così via) a un’autorità indipendente.
Come detto, non tutti i paesi si sono dotati di agenzie di questo tipo. Lo studio sottolinea come non ci sia alcuna correlazione tra la creazione di queste agenzie e l’evoluzione dei diritti della cittadinanza e delle democrazie nei vari paesi (democrazie con una storia più antica non hanno creato un’agenzia prima di altre democrazie più recenti), e come non ci sia alcun legame nemmeno con la prosperità economica di un paese, che avrebbe dunque consentito investimenti in queste agenzie di mezzi e risorse. Infine, nonostante l’Unione Europea nel 2001 abbia approvato il Codice europeo di etica per la polizia in cui ribadiva l’importanza di organismi di sorveglianza esterna, non esiste una correlazione tra la decisione dei governi di istituire agenzie indipendenti e l’appartenenza all’Unione. Sembra avere invece un ruolo l’orientamento politico dei governi, perché la presenza di partiti di destra tende a ridurre la possibilità che queste strutture vengano create. Si tratta di governi, spiega lo studio, che sono generalmente meno critici verso la violenza della polizia, che non hanno legami con i movimenti sociali di sinistra che sono i più colpiti da tale violenza e che sono anche meno vicini alle mobilitazioni sociali contro quella stessa violenza.
Nei paesi in cui sono presenti, queste agenzie si occupano delle denunce di abusi delle forze dell’ordine, fanno delle raccomandazioni ai governi sulle politiche che riguardano la polizia e spesso sono alla base dei dibattiti pubblici su questi temi. Ma hanno funzioni anche molto diverse tra loro: alcune si occupano solo di forze dell’ordine (di tutte le forze, come il Défenseur des droits francese, o solo di un loro settore), altre hanno competenze più ampie, come ad esempio l’istituto dell’ombudsman svedese o croato. Inoltre c’è chi ha come unica missione quella di mediare tra cittadinanza e polizia, e chi ha invece il potere di prendere decisioni poi vincolanti o di agire penalmente nei confronti degli agenti segnalati, a seguito di indagini.
Sono comunque poche le agenzie che hanno un reale potere decisionale e una reale capacità di intervento. Tale capacità è condizionata dalla loro indipendenza e dalle risorse che hanno a disposizione. A seconda dei casi, sembrano esserci due modelli principali di controllo esterno sulle forze dell’ordine, spiega il sociologo Sebastian Roché, uno degli autori dello studio: «O un’organizzazione dispone di notevoli mezzi ma si dimostra poco indipendente dal punto di vista giuridico, oppure è molto indipendente dal punto di vista giuridico ma si trova priva di mezzi».
Guardando solo all’indipendenza formale, nella parte più alta della classifica ci sono paesi come Spagna o Svezia, mentre in quella più bassa c’è ad esempio la Svizzera. Per quanto riguarda le risorse, al primo posto c’è l’ombudsman dell’Irlanda del Nord (con 22 dipendenti ogni mille poliziotti) e all’ultimo posto c’è il Défenseur des droits francese (con 0,05 impiegati ogni mille poliziotti). Alla conclusione più significativa si arriva però combinando tra loro i due criteri. E risulta che più un’agenzia è indipendente, meno risorse ottiene: lo studio sostiene che non ci siano casi in cui i due fattori siano presenti allo stesso tempo.
Ne derivano così due principali categorie di agenzie di controllo esterno della polizia: le «meno indipendenti e più ricche di risorse» e le «più indipendenti e povere di risorse». Al primo gruppo appartengono le agenzie attive soprattutto nei paesi del Nord Europa, al secondo paesi del Sud e dell’Est Europa. Entrambe queste categorie dimostrano, dice lo studio, che i governi hanno di base due strategie: o depotenziano queste agenzie non mettendole nella condizione di essere efficaci o lo fanno non dando loro una sufficiente indipendenza. La situazione, si dice, riflette probabilmente la riluttanza dei governi a rendere realmente operative agenzie sulle quali non hanno un controllo diretto e che è probabile mettano in discussione le loro scelte politiche nella gestione della polizia o li espongano a critiche pubbliche.
C’è molta disparità nei numeri delle segnalazioni ricevute da un’agenzia o da un’altra. Questo può dipendere direttamente dalla quantità di problemi che le persone hanno con la polizia di un paese, ma dipende anche, dice la ricerca, dalla capacità delle agenzie stesse di occuparsene: più sono efficienti, più personale dedicato hanno, più segnalazioni ricevono. Preso singolarmente il numero delle segnalazioni contro i poliziotti non è dunque un dato affidabile per comprendere la realtà dei problemi, ma piuttosto un indice della volontà politica o meno di farli emergere e di farvi fronte. Dire che la polizia di un certo paese riceve poche segnalazioni non significa che i poliziotti siano “esemplari”, ma vuol dire soprattutto che i mezzi stanziati per controllarli sono troppo limitati.
È difficile valutare l’impatto che queste agenzie hanno avuto nel tempo sul comportamento della polizia, anche se lo studio parla di un’influenza positiva sia diretta (come gli interventi sulla formazione degli agenti) che indiretta (perché le sanzioni funzionano come un meccanismo deterrente, spingendo gli agenti ad adottare comportamenti corretti).
Secondo gli autori dello studio, per essere efficienti ed efficaci questi tipi di agenzie dovrebbero avere simultaneamente le caratteristiche che ora si ritrovano invece distribuite tra quelle esistenti. Dovrebbero essere indipendenti, dotate di personale e risorse adeguate, e dovrebbero anche avere maggiori poteri come quello ad esempio di emettere sanzioni disciplinari che poi vengano automaticamente applicate dal sistema disciplinare interno alla polizia. Nonostante i limiti comprovati e visibili delle agenzie oggi esistenti, dice Sebastian Roché, la loro stessa esistenza rappresenta comunque un progresso: agli occhi di tutti, comprese le istituzioni europee, il miglior controllo della polizia è un controllo esterno e imparziale.