Cosa fu il «giovedì nero di Milano»
Cinquant'anni fa in una manifestazione fascista a cui parteciparono anche Ignazio e Romano La Russa morì un poliziotto di 22 anni, colpito da una bomba a mano
Il 12 aprile 1973 ci fu una manifestazione a Milano, organizzata dal partito di destra Movimento Sociale Italiano (MSI) e il suo movimento giovanile, il Fronte della Gioventù. Nel corso di quella manifestazione, cinquant’anni fa, venne ucciso un agente di polizia di 22 anni, Antonio Marino. Contro di lui venne scagliata una bomba a mano di tipo SRCM Mod. 35, che lo colpì al petto uccidendolo. Altri 12 poliziotti furono feriti. Marino fu colpito in via Bellotti, a poca distanza dalla centrale piazza del Tricolore. Subito prima, dalle file di centinaia di fascisti che si erano radunati per la manifestazione, era stata lanciata un’altra bomba dello stesso tipo. La manifestazione era stata indetta per protestare contro la «violenza rossa» e quella giornata venne chiamata sui giornali il «giovedì nero di Milano».
Erano settimane di forte tensione a Milano e in tutta Italia. Il 7 aprile Nico Azzi, un militante fascista del gruppo “La Fenice” fino a poco tempo prima iscritto all’MSI, aveva tentato di collocare una bomba nel bagno del treno direttissimo Torino-Roma. Mentre la stava ancora posizionando, però, una piccola quantità di tritolo della bomba esplose per un contatto e Azzi riportò lesioni permanenti a una gamba. Azzi quel giorno era assieme ad alcuni complici e tutti, secondo le testimonianze, avevano mostrato in treno copie del quotidiano Lotta Continua: l’obiettivo era quello di far attribuire la colpa dell’attentato a gruppi di sinistra.
Le indagini su ciò che avvenne nel «giovedì nero di Milano» accertarono che era stato proprio Nico Azzi a fornire le bombe a mano ai manifestanti.
La questura aveva vietato all’MSI e al Fronte della Gioventù di fare un corteo che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto andare da piazza Cavour fino a piazza del Tricolore. Qui era previsto un comizio di Ciccio Franco, noto fascista calabrese, esponente dell’MSI che nel 1970 era stato a capo dei cosiddetti “moti di Reggio Calabria”, nati quando si decise che il capoluogo regionale sarebbe stato Catanzaro e non Reggio. Fu in quell’occasione che Ciccio Franco, il 14 luglio del 1970, diede nuova fama a un vecchio slogan fascista: «Boia chi molla».
In piazza il 12 aprile a Milano c’erano tutti i maggiori dirigenti lombardi dell’MSI. Molti militanti erano venuti da altre parti d’Italia, ma la maggior parte era del Fronte della Gioventù milanese e appartenente a movimenti di estrema destra. Era forte la presenza dei cosiddetti “sanbabilini”, quei militanti fascisti che allora bazzicavano intorno al bar Ginrosa di piazza San Babila e che impedivano l’accesso alla piazza a chi aveva abbigliamento o giornali considerati di sinistra. Tra loro c’erano personaggi divenuti poi famosi e finiti tragicamente, come Riccardo Manfredi, morto nel giugno 1978 dopo essersi gettato da un treno in corsa per sfuggire a un trasferimento da un carcere a un altro; o quello di Rodolfo Crovace, detto “Mammarosa”, morto nel 1984 durante una sparatoria con i carabinieri.
La mattina del 12 aprile il prefetto di Milano vietò tutte le manifestazioni politiche da quel giorno fino al 25 aprile. Molti militanti del Fronte della Gioventù si ritrovarono quel pomeriggio, verso le 17:30, alla sede dell’MSI in via Mancini e da lì andarono verso piazza del Tricolore. Altri gruppi arrivarono da piazza Oberdan e altri ancora erano già fermi in corso Concordia. Da lì partì una delegazione diretta in prefettura per protestare contro il divieto di manifestare. La delegazione era guidata da Franco Maria Servello, federale di Milano (i dirigenti del Movimento Sociale si davano questo titolo). Con lui c’erano i parlamentari Franco Petronio e Ciccio Franco. C’era anche Ignazio La Russa, attuale presidente del Senato, allora segretario lombardo del Fronte della Gioventù.
Le violenze cominciarono dopo le 17:30. Gruppi fascisti entrarono nella Casa dello studente di viale Romagna compiendo atti di vandalismo e poi invasero il liceo Virgilio, che all’epoca veniva considerato un «covo di rossi». Nell’ordinanza di rinvio a giudizio di alcuni fascisti per i fatti di quel giorno, il procuratore Guido Viola scrisse: «Sembravano un’orda di barbari intenta a distruggere, a saccheggiare, a ferire, a devastare».
Verso le 18:30 venne lanciata una prima bomba a mano che ferì un poliziotto e un passante. La seconda bomba uccise l’agente Marino.
Già il giorno successivo l’MSI cercò di prendere le distanze da ciò che era accaduto e mise una taglia di cinque milioni di lire per chiunque avesse potuto fornire informazioni sui colpevoli. La taglia fu ottenuta dall’allora segretario provinciale del Fronte Universitario d’Azione Nazionale, il movimento universitario dell’MSI: già la stessa sera del 12 aprile aveva riferito tutto all’ufficio politico della questura. Dopo la manifestazione vennero trovate bombe molotov, mazze, caschi. Secondo quanto ricostruito dalle indagini i disordini erano stati programmati da tempo.
Vennero arrestati due militanti fascisti: Maurizio Murelli, di 19 anni, e Vittorio Loi, di 21, figlio dell’ex campione di pugilato Duilio Loi. L’MSI cercò subito di “scaricarli”, anche se Murelli era all’epoca iscritto al partito. Le indagini coinvolsero molte persone tra cui anche dirigenti del Movimento Sociale. Tra loro vennero indagati anche i fratelli La Russa, Ignazio e Romano. Murelli, come scrive Repubblica, disse che Ignazio La Russa, pur essendo dell’ala più legalitaria e istituzionale del partito, «si era sentito leso dalle critiche di inazione e rammollimento che noi giovani gli muovevamo, pertanto volle dare una dimostrazione».
Murelli disse poi che Romano La Russa aveva visto le bombe: «Ricordo di averle mostrate in piazza del Tricolore dopo aver lanciato la prima bomba ad alcuni tra i quali La Russa Romano», il quale «per parlare meglio tirò su il sottocasco, una specie di passamontagna». Loi disse che Romano La Russa era «tra coloro che maggiormente aizzavano in piazza Oberdan guidando successivamente i disordini».
Romano La Russa fu rinviato a giudizio per resistenza e adunata sediziosa mentre il procedimento contro Ignazio La Russa e altri dirigenti dell’MSI e del Fronte della Gioventù fu archiviato. Vennero invece rinviati a giudizio altri dirigenti tra cui anche Franco Servello, poi assolto al termine del processo.
Maurizio Murelli venne condannato a 18 anni di carcere, Vittorio Loi a 19, Nico Azzi a due per aver fornito le bombe. Loi e Murelli vennero condannati a risarcire la famiglia dell’agente Marino con 22 milioni di lire, più di 80mila euro di oggi. I soldi furono forniti loro dal Movimento Sociale Italiano.
Nel 2020 Maurizio Murelli, da tempo considerato uno degli intellettuali più ascoltati nel mondo della destra radicale italiana, ha pubblicato un lungo video su YouTube in cui dice di sentirsi ormai lontano dall’esperienza fascista, e di condividere invece le idee della Quarta teoria politica del filosofo russo Alexander Dugin.