Un museo dove non è vietato toccare
Fondato da due persone non vedenti, l'Omero di Ancona è stato il primo "museo tattile" pubblico del mondo
di Viola Stefanello
Quando si visita un museo è molto frequente trovarsi di fronte a cartelli che intimano di non toccare le opere d’arte. In alcuni casi, a separare il visitatore da una statua o da un quadro è una teca, dei paletti divisori, un segno per terra o un allarme che si attiva se qualcuno lo oltrepassa. Per le persone normovedenti questo divieto non è un grande limite, ma per le persone non vedenti, molte delle quali fanno del tatto uno dei principali mezzi di interpretazione e conoscenza del mondo circostante, è un grosso impedimento.
È da questo principio che sono partiti i coniugi non vedenti Daniela Bottegoni e Aldo Grassini quando, nel 1985, cominciarono a pensare a un “museo tattile”, dove chiunque potesse interagire liberamente sia con riproduzioni di grandi capolavori della storia dell’arte che con statue contemporanee originali.
Il Museo Omero è dedicato al presunto autore dell’Iliade e dell’Odissea, che tradizionalmente è descritto e raffigurato come cieco. Ha aperto nel 1993 ad Ancona, è diventato un museo statale pubblico con un atto del parlamento del 1999, e quest’anno ha compiuto trent’anni. Nel tempo si è spostato dalla sua prima sede – tre aule dismesse di una scuola locale dove erano esposte 19 copie in gesso di sculture classiche – a uno spazio di circa 3000 metri quadri in uno degli edifici storici più prestigiosi della città: la Mole Vanvitelliana, massiccio edificio pentagonale del Diciottesimo secolo che occupa per intero un’isola artificiale situata al centro del porto di Ancona. Il Museo Omero permette di fare esattamente ciò che i fondatori Grassini e Bottegoni avevano sognato: tutte le opere al suo interno, circa 150, possono essere toccate, accarezzate, esplorate con le dita in ogni dettaglio.
«Perché quando ci troviamo di fronte all’arte dobbiamo ignorare tutti gli altri sensi e usare solo la vista?» chiede il fondatore Aldo Grassini, che oggi ha 82 anni. «Certo, il divieto di toccare le opere va benissimo quando è motivato per esempio da necessità di conservazione di un’opera delicata, ma quando non è motivato ci toglie qualcosa. Ai ciechi toglie la possibilità di vedere alcune cose belle che tutti gli altri possono vedere, ma la funzione tattile è una cosa importantissima, che non riguarda solo i ciechi. Riguarda tutti. Anche se spesso chi vede si è dimenticato che esiste anche il tatto, un senso smarrito che qui viene ritrovato».
Soltanto un 2 per cento circa delle persone che visitano il museo ogni anno è non vedente: uno dei primi slogan del Museo Omero è sempre stato «non è vietato toccare, ma non è vietato nemmeno guardare». Secondo Grassini, ad attirare anche i visitatori normovedenti è il fatto che «qua si può fare una cosa importante, che altrove normalmente non si può fare: accarezzare le cose belle. Vivere un’esperienza estetica diversa attraverso la tattilità, perché il tatto non ce l’hanno solo i ciechi. Ce l’hanno tutti. E per cogliere, conoscere e amare ciò che ci circonda tanto più profondamente abbiamo bisogno di tutti i sensi».
Al Museo Omero ci sono le copie, soprattutto in gesso o in resina, di grandi classici come la Nike di Samotracia, la Lupa capitolina, la Venere di Milo e diversi lavori di Michelangelo. Ci sono dei modellini in scala di vari monumenti storici che sarebbe altrimenti difficile immaginare basandosi soltanto su una descrizione: il Partenone, la piazza dei Miracoli di Pisa, la Cattedrale di Santa Maria del Fiore di Firenze. C’è una “galleria della mimica del volto umano” che propone una serie di volti che esprimono molte emozioni diverse tra loro, dal gemito dell’Estasi di Santa Teresa D’Avila alla contrarietà del ritratto di Michelangelo, perché percepire le espressioni facciali altrui è particolarmente complesso per i non vedenti. C’è un’ala inaugurata nel 2021, l’unica a pagamento, che contiene 32 oggetti di design, curata dall’architetto e museologo Fabio Fornasari. E ci sono decine di opere originali di artisti moderni e contemporanei, da Giorgio de Chirico ad Arnaldo Pomodoro.
Oltre a essere fruibile con il tatto, ogni opera è accompagnata da una descrizione in braille – il principale sistema di lettura e scrittura tattile a rilievo per non vedenti e ipovedenti – e in nero, a caratteri grandi. Per raggiungere le estremità delle statue più alte sono state ideate delle pedane mobili, molto stabili e sicure, su cui è possibile salire.
L’opera che Grassini è più fiero di avere nella collezione è una versione a grandezza naturale della Pietà di Michelangelo. «Una ditta che produce questo genere di statue per diversi film storici di Cinecittà in cui si rappresentano l’Antica Grecia o Roma mi ha segnalato che aveva a disposizione una Pietà. Siamo andati a vederla, e l’ho toccata, e sono rimasto un po’ deluso, perché mi sembrava di toccare qualcosa di cartone, non mi dava una sensazione tattile piacevole e soddisfacente. E poi sono riuscito a capire una cosa: si tocca anche con l’udito, e il rumore che facevano le mie mani passando sopra alla superficie mi dava l’impressione sbagliata. C’era una certa ruvidezza che quando toccata produceva un rumore quasi di carta, ed era fatta di un materiale sottilissimo, vuota all’interno, quindi il rumore veniva amplificato», spiega Grassini. «Quindi abbiamo deciso di commissionare una copia fatta di un altro materiale, resina e polvere di marmo, molto più simile al marmo di quanto non fosse una copia di sola resina. E abbiamo aumentato molto lo spessore. Ora toccandola sembra veramente di toccare il marmo. Specialmente d’inverno».
All’Omero sono quasi completamente assenti le copie in bassorilievo di dipinti: c’è un’altra istituzione, il Museo Tattile Anteros di Bologna, specializzato in questa forma d’arte, e non vogliono farsi competizione a vicenda. I pochi che ci sono – una versione in tre dimensioni del Ragazzo morso da un ramarro di Caravaggio e un’interpretazione della Guernica di Picasso creata dalla locale università per la terza età – sono prodotti artigianali.
Alcune delle opere sono state acquistate da aziende specializzate nella produzione di opere ricavate dal calco degli originali, e quindi a grandezza naturale. Molti dei modellini di edifici come il duomo di Ancona o la basilica di San Pietro sono stati fatti a mano e poi donati al museo da un docente di modellismo architettonico dell’Accademia di Belle Arti di Firenze. Altri doni arrivano da più lontano: una copia della Nike di Samotracia è arrivata dal Louvre, che è stato tra i primi musei al mondo a inaugurare una piccola sezione tattile – «ma dopo di noi», sottolinea Alessia Varricchio, dell’Ufficio stampa del Museo Omero, non senza soddisfazione.
Quando è stato inaugurato, il Museo Omero era l’unico esperimento di questo tipo al mondo, e ancora oggi è considerato un punto di riferimento a livello internazionale. In un momento in cui moltissime istituzioni culturali stanno cominciando a preoccuparsi della propria accessibilità – e sono disponibili grossi finanziamenti europei per i musei pubblici e privati che rimuovano le proprie barriere fisiche, cognitive e sensoriali – istituzioni come il Louvre di Parigi e il parco archeologico del Colosseo si sono rivolte al museo Omero per consulenze su come rendere più accessibili i propri percorsi espositivi.
«Noi siamo tuttora l’unico museo tattile statale al mondo, ma ci sono parecchi musei che si stanno aprendo all’accessibilità e che vogliono inaugurare dei percorsi tattili, permanenti o temporanei, oppure organizzare delle giornate dedicate alle visite per non vedenti», spiega Varricchio. «Molti di questi musei ci chiedono una consulenza prima di proporre una sezione tattile: noi offriamo delle consulenze, dei materiali tiflodidattici come disegni a rilievo, traduzioni in braille, libri tattili. Dove ci sono fondi si riesce a fare tanto, tantissimo, anche perché a volte basta poco».
Una delle principali attività educative del museo è quella di insegnare sia a persone normovedenti che a persone che hanno da poco perso la vista a osservare il mondo a partire dal tatto: per esempio, dà la possibilità a tutti i visitatori di fare una visita bendati, per poter “vedere” le opere prima con le mani («per dimostrare che il nostro tatto è attivo, e che se allenato è in grado di restituirci un’immagine quanto gli occhi», spiega Varricchio).
«Per un cieco che visita il museo poter condividere questa esperienza con persone amiche è fondamentale. Il piacere estetico appartiene alla sfera delle emozioni, e poterlo vivere insieme ad altri vuol dire intensificarlo», dice Grassini. «La tattilità non è una sostituta della visione, è un modo diverso di accedere all’arte che ha effetti altrettanto importanti, emozionanti, profondi».