Il primo film su Super Mario fu un disastro

Uscì nel 1993 e andò tutto talmente storto che Nintendo per i successivi trent'anni ha fatto solo film d'animazione

di Gabriele Niola

("Super Mario", 1993)
("Super Mario", 1993)
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Nel 1993 uscì il primo adattamento cinematografico di un videogioco, il più diffuso, conosciuto e amato dell’epoca: Super Mario Bros. Molti di quelli che videro il film all’epoca lo considerano un fallimento e chi il film lo fece ne ebbe un’opinione se possibile ancora peggiore. Il film fu demolito dai suoi stessi interpreti prima ancora dell’uscita: Bob Hoskins e John Leguizamo (che interpretarono rispettivamente i protagonisti Mario e Luigi) lo hanno sempre considerato l’unico film della loro carriera di cui si fossero pentiti. Un reportage dal set comparso sul Los Angeles Times prima che il film uscisse raccontò un clima per nulla professionale e attori rassegnati, a partire da un’intervista furiosa con la star più importante: Dennis Hopper. Nintendo, che aveva dato in licenza il marchio e le immagini, non ne ha mai parlato pubblicamente.

L’effettiva uscita in sala avrebbe confermato le aspettative di tutti. Super Mario Bros. è ricordato come uno dei maggiori insuccessi dei suoi anni. La produzione fu così travagliata, costosa e faticosa da tenere separate le industrie del cinema e dei videogiochi in seguito per almeno un decennio, anime esclusi. Quel film è anche la ragione per la quale Nintendo ha rinunciato a qualsiasi adattamento dei personaggi dei suoi videogiochi per i successivi trent’anni, fino all’uscita, la scorsa settimana, di un film d’animazione dedicato proprio a Super Mario.

Le ragioni del disastro del 1993 furono principalmente due: il film intenzionalmente non somigliava al videogioco ma non era convincente come prodotto a sé. Non piacque ai fan e agli appassionati di Super Mario ma neanche a tutto il resto del pubblico. Come uno studio esperto quale era Disney (che il film lo distribuì), una società ricca e prudente come Nintendo e un’intera industria di attori, agenti e creativi solitamente molto attenti al risvolto commerciale dei film abbiano ottenuto questo risultato è una storia di pessime scelte, timori e disaccordi, in un momento storico in cui non c’erano molti esempi di adattamenti cinematografici di marchi o personaggi che non venissero dalla letteratura o dai fumetti da poter seguire.


Un approccio dark
Nel 1990 Nintendo dominava il mercato delle console che aveva praticamente resuscitato da sola lungo gli anni ’80. Il primo rapporto col cinema lo ebbe nel 1989, quando uscì il film Il piccolo grande mago dei videogames, la storia di un bambino diventato muto in seguito a un trauma e del suo viaggio insieme ad amici e familiari verso i campionati nazionali di videogame. Tutti i videogiochi del film erano della Nintendo, incluso il più importante, Super Mario Bros 3, ancora non uscito negli Stati Uniti, che viene svelato nella scena finale, nonché apice emotivo, del film. Nintendo aveva dato in licenza il suo marchio e i suoi prodotti con un contratto di cui poi non sarebbe stata contenta: ricevette centomila dollari, senza partecipazione agli utili e senza voce in capitolo, che per una grande azienda come quella era un problema. Tuttavia il film, nonostante un incasso medio, piacque molto agli appassionati, fece salire le vendite di console e diede vigore ai veri campionati di videogiochi.

Nacque così nella divisione americana dell’azienda (ma con il benestare della casa madre in Giappone) l’idea di fare un film sul personaggio simbolo della società: Super Mario. In questi casi la procedura vuole che le grandi case di produzione facciano un’offerta per avere in licenza personaggi e marchi e poi creino il film. Dopo quello che era successo con Il piccolo grande mago dei videogames però, Nintendo voleva essere parte del processo di scrittura e controllare il prodotto finale come se fosse il produttore. A offrire questa possibilità furono due produttori indipendenti: Jake Eberts e Roland Joffé. Questa fu la prima stranezza: che un adattamento così commercialmente attraente fosse stato affidato a una produzione indipendente. Oggi è più frequente ma all’inizio degli anni Novanta nel cinema americano gli indipendenti erano ancora una realtà marginale. Joffé ed Eberts pagarono Nintendo una cifra che fu descritta come «un milione di dollari a parola per avere Super Mario».

Eberts e Joffé non erano due sprovveduti, avevano alcuni successi al loro attivo, ma non nel campo in cui si sarebbero misurati con Super Mario. Eberts aveva prodotto A spasso con Daisy e Il nome della rosa; Joffé, che era un regista con ambizioni di diventare produttore, aveva diretto Mission con Robert De Niro e Jeremy Irons. Proposero da subito un approccio più adulto all’adattamento. Solo un anno prima Tim Burton aveva cambiato il mondo degli adattamenti di fumetti con Batman, un film che era il contrario di quello che si era fatto fino a quel momento: duro, gotico, pieno di questioni e temi ponderosi e nonostante fosse di grande intrattenimento rimaneva anche molto serio nel suo approccio. Il successo di Batman aveva convinto tutti che quello era ciò che il pubblico si aspettava di vedere in un film su personaggi che non vengono dal cinema.

Sarebbe stato l’opposto esatto di Super Mario, una serie di videogiochi molto colorati, lieti e pieni di musiche leggere e travolgenti. Nintendo si lasciò convincere dall’argomentazione che un approccio alla Batman avrebbe allargato il pubblico dei giocatori, che avrebbe portato in sala nuovi potenziali acquirenti: una nuova generazione, nuove fette di mercato. L’idea era di creare una storia tra due fratelli rimasti soli, in cui il grande aveva dovuto crescere il minore ed era arrabbiato perché per farlo non aveva vissuto la vita che avrebbe voluto, mentre il piccolo non aveva avuto un fratello ma un genitore e per questo ce l’aveva con lui. Un’avventura li avrebbe riconciliati. Nessuno degli sceneggiatori che avrebbero contribuito alla scrittura aveva mai giocato a un videogioco di Super Mario e molte tra le persone coinvolte non sapevano di cosa si stesse parlando.

Cinque sceneggiature diverse
Per girare il film furono scelti Annabel Jankel e Rocky Morton, due registi che venivano dalla scena punk e dal mondo dei video musicali, dotati di buona esperienza nella sperimentazione della computer grafica (avevano creato il primo spot pubblicitario tutto in digitale per Pirelli). Tuttavia la creazione più nota dei due era Max Headroom, un personaggio di finzione, il primo annunciatore televisivo creato da un computer (in realtà era un attore truccato da personaggio creato in computer grafica che si muoveva a scatti) intorno al quale avevano creato anche un film per la tv.

Erano un duo, marito e moglie, con un approccio visivo cyberpunk e amante del bizzarro, e volevano dare a Super Mario Bros. un’aria distopica e giocare con le stranezze del mondo del personaggio, fatto di funghi, tubi, tartarughe e principesse.

In qualche mese fu pronta la prima sceneggiatura, l’aveva scritta Barry Morrow, vincitore di un Oscar pochi anni prima per Rain Man. La sua visione dei fratelli Mario e Luigi e della loro storia era così simile a quella di Rain Man, solo ambientata nel mondo degli idraulici, che internamente l’avevano ribattezzata Drain Man (l’uomo del tubo di scarico). Fu scartata. Per la seconda versione della sceneggiatura furono scelti Tom Parker e Jim Jennewein, considerati in quel momento due giovani promesse di Hollywood. Fecero una versione più allegra e solare, piena di umorismo. Piaceva a Nintendo ma non ai registi e fu scartata. La terza versione mise d’accordo tutti. La firmarono Parker Bennet e Terry Runte, autori di commedie e thriller che dietro suggerimento dei due registi Jankel e Morton avevano aggiunto della fantascienza alla storia. Era stato inserito anche un mondo parallelo e c’erano quindi due realtà tra le quali viaggiare: la nostra e una in cui i dinosauri non si erano mai estinti ma si erano evoluti e avevano creato una società tecnologicamente evoluta. Un mondo distopico.

Nemmeno quella sarebbe stata la sceneggiatura definitiva e quindi ad oggi non è disponibile, ma è probabile che fosse molto buona perché sulla base di quella fu messo insieme il cast e chi la lesse sostenne che quella sceneggiatura era ottima. Quello che Bob Hoskins (a cui fu dato il ruolo di Mario dopo aver vagliato Danny DeVito), John Leguizamo (a cui fu dato quello di Luigi dopo che si era inizialmente pensato a Tom Hanks) e Dennis Hopper (preso per il ruolo di King Koopa, il cattivo, dopo che Arnold Schwarzenegger aveva rifiutato) non sapevano è che arrivati sul set avrebbero trovato tutta un’altra sceneggiatura, molto diversa e decisamente peggiore di quella per cui avevano firmato.


Eberts e Joffé, i due produttori indipendenti da cui era partito tutto, avevano timori sempre più forti che il film sarebbe stato un disastro e avevano anche capito che non sarebbe costato la cifra inizialmente preventivata. Non avevano i soldi per andare avanti e gli serviva l’intervento di una major che preacquistasse il film per la distribuzione, portando nuovi capitali da usare nella produzione. I loro contatti migliori erano con la Disney, e la Disney accettò. A quel punto però il film non poteva più essere così dark e per adulti: per accettare Disney aveva preteso una nuova versione della sceneggiatura, molto più adatta ad un pubblico di ragazzi e più vicina ai videogiochi di Super Mario. Di colpo quindi cambiano le priorità.

Joffé e Eberts assunsero di propria iniziativa altri due sceneggiatori: Ed Solomon e Ryan Rowe, con forte esperienza di commedia, con la missione di rendere tutto più leggero e divertente, in linea con l’approccio di Disney. Da quello che si sa, conoscendo la produzione di Jankel e Morton e dai resoconti di chi lesse la loro sceneggiatura, Super Mario Bros. doveva assomigliare a Blade Runner, cioè una storia con un’estetica e un tono molto precisi. Quest’ultima riscrittura invece inseriva in quel tipo di fantascienza una leggerezza e un umorismo che non c’entravano niente. Ma era quello che andava bene a Disney, dove non c’era nessuno che avesse una chiara conoscenza del mondo dei videogiochi o di Super Mario. Disney aveva la convinzione generale che una versione cinematografica di Super Mario sarebbe stata migliore di qualsiasi fedeltà al gioco.

Morton aveva già disegnato storyboard per tutto il film basati sulla sceneggiatura precedente, quella simile a Blade Runner. Gli storyboard sono la versione disegnata in bozza di tutte le inquadrature del film e si usano come punti di riferimento per i membri della troupe, così che tutti sappiano che tipo di risultato si vuole raggiungere per ogni scena. Ma vista la nuova sceneggiatura, era diventato inutile. Morton gli diede fuoco nel parcheggio del suo ufficio. La sua unica richiesta ai nuovi sceneggiatori fu di integrare nella nuova versione le creature e i mostri che erano già stati costruiti, cosa che fecero.

A creare il disordine definitivo fu una protesta degli attori descritta come un ammutinamento. La ragione era proprio l’ultima versione della sceneggiatura. Buona parte del cast minacciò di lasciare la produzione poco dopo l’inizio delle riprese e fu necessario tornare indietro maldestramente. Bennet e Runte, la coppia di sceneggiatori che aveva introdotto la componente di fantascienza, fu assunta nuovamente per altri cambiamenti alla sceneggiatura disneyana. Quindi invece di ritornare alla versione precedente (cosa che non si poteva fare senza indispettire Disney che aveva posto la riscrittura come condizione per distribuire il film), furono aggiunte modifiche sopra altre modifiche, in modi che alla fine resero quello script irriconoscibile per ognuna delle nove persone che avevano a quel punto partecipato in fasi diverse alla scrittura. La ragione di tutto era che arrivati a quel punto attori, produzione e registi non si parlavano e gli sceneggiatori dovevano rispondere alle richieste di ognuno. Anche se ormai le riprese erano partite.

Uova cotte, sfuriate e fabbriche di cemento
Alla fine la trama raccontava di due New York parallele, quella reale e quella del mondo in cui i dinosauri si sono evoluti e convivono con gli umani. Lì Manhattan si chiama Dinohattan. King Koopa è uno dei signori di quel mondo e il suo obiettivo è recuperare un pezzo di un meteorite che è in possesso di una donna chiamata Daisy (come la principessa dei videogiochi). Quell’oggetto gli consentirebbe di unire i due mondi e comandarli entrambi. A questo punto entrano in gioco i due idraulici, Mario e Luigi, che invece vogliono salvare il mondo e Daisy.

Per dare una parvenza di senso al film a un certo punto fu inserita una scena finale in cui i dirigenti giapponesi della Nintendo facevano visita a Mario e Luigi per trarre dalla loro storia un videogioco, ma non parlando bene l’americano capivano male il loro racconto. Si sarebbe spiegato in questo modo perché il gioco di Super Mario fosse così diverso dal film, ma la scena fu tagliata.

Anni dopo l’uscita del film John Leguizamo raccontò che sul set la situazione era così confusa ed era così chiaro a tutti il disastro nel quale si erano infilati che lui e Bob Hoskins cominciarono a bere whisky per andare avanti. Bevevano così tanto che è probabile, dice sempre Leguizamo, che un infortunio che lui causò ad Hoskins nel girare una scena sia stato dovuto al fatto che entrambi erano ubriachi. Anche per questo si può notare in molte scene che Bob Hoskins indossa un gesso. Non erano solo loro due a essere scontenti: molti attori hanno raccontato che non imparavano le battute prima del “ciak” perché tanto queste venivano continuamente cambiate, e c’era chi aveva deciso che se le sarebbe scritte da solo. Jankel e Morton avevano perso in fretta il controllo di un set troppo grande per quello cui erano abituati ed erano finiti a dare indicazioni diverse alle medesime persone. Si dovette litigare anche sulle tute da idraulico di Mario e Luigi, perché i due registi non le volevano nonostante fossero l’indumento più iconico di tutti. La versione dei due registi è: «Quasi subito perdemmo gli attori». Il cast era così disperato che ogni domenica, il giorno libero, andava a recitare Shakespeare a casa di Bob Hoskins, come forma di purificazione.

È in questo clima che arrivò sul set Richard Stayton, il reporter del Los Angeles Times che poi scrisse l’articolo che demolì il film prima ancora dell’uscita. Nell’articolo per esempio Bob Hoskins ammetteva senza vergogna di non aver fatto nessun tipo di ricerca sul personaggio visto che la sceneggiatura veniva continuamente riscritta. E Stayton non assistette nemmeno a un evento che tutti i coinvolti ricordano e raccontano: una sfuriata di Dennis Hopper durata tre ore. La situazione era così poco professionale e così deprimente che ad un certo punto Hopper iniziò a urlare contro i registi dapprima per circa 40 minuti, sul set prima di girare una scena, e poi, visto che era venuto il momento della pausa pranzo, anche per tutta la durata del pasto in mensa. Finito di mangiare si continuarono a sentire le urla di Hopper dalla roulotte per tutta l’ora successiva.


Il clima era teso anche perché le riprese non furono effettuate in un normale capannone a Hollywood. Per risparmiare si andò nella Carolina del Nord, in una ex fabbrica di cemento adattata per l’occasione e dentro la quale era stata costruita Dinohattan. Era il luogo in cui James Cameron aveva girato alcune scene del finale di Terminator 2 (ma in quel caso la ragione era che nel film i personaggi si trovavano in una fonderia). L’aria era malsana, la temperatura altissima. In una delle molte litigate con la troupe per le condizioni faticose e l’eccessiva temperatura, uno degli scenografi ruppe un uovo sul pavimento e mostrò che era talmente incandescente da cuocerlo. La scenografia cyberpunk non aveva riguardo per il vero design dei videogiochi, ed era stata creata su vecchi progetti e concept. Uno degli scenografi coinvolti aveva lavorato al film di fantascienza Blade Runner e tutto rispondeva a un’estetica da metropoli derelitta simile a quella del film. Ma dettagli e oggetti venivano ridisegnati quasi quotidianamente, come del resto anche la sceneggiatura, che veniva riscritta di continuo. Per venire incontro alle continue modifiche si decise di usare una gomma modellabile che consentiva di realizzare in fretta modelli, protesi e piccoli oggetti. Tuttavia quella gomma, unita alla temperatura della ex fabbrica di cemento, creava un clima irrespirabile e una puzza ineludibile. «Inumano» fu l’aggettivo usato dai tecnici per descrivere le condizioni di lavoro.

A mettere la ciliegina sulla torta del disastro contribuirono poi le scene girate dopo che la prima versione del film era stata ormai terminata e che richiamavano alcune dinamiche del videogioco, che non furono girate da Jankel e Morton. I due erano ormai invisi alla produzione, erano andati ben al di là del budget che gli era stato dato ed erano stati abbandonati dai loro agenti dopo l’articolo del Los Angeles Times che ne aveva distrutto l’immagine. La coppia era di fatto considerata finita nel mondo di Hollywood prima ancora che il film fosse uscito. Non avrebbero mai più girato un film per uno studio. La distribuzione non andò meglio. Super Mario Bros. incassò 20 milioni di dollari, la metà di quello che era costato.

Nonostante tutto oggi Jankel e Morton definiscono il film «avanti rispetto al suo tempo». In effetti aveva una componente di fusione di effetti digitali e immagini girate dal vero, con software e soluzioni che poi sarebbero state adottate da tutte le produzioni hollywoodiane. Insieme a Jurassic Park (uscito nel medesimo anno) contribuì a cambiare la maniera in cui nei film americani viene usata la computer grafica.