L’autonomia strategica europea, spiegata
L'idea ripresa negli ultimi giorni dal presidente francese Macron vorrebbe un'Unione Europea meno dipendente dagli Stati Uniti, ma ci sono molti problemi
Negli ultimi giorni si è parlato molto di “autonomia strategica europea”, un concetto che è stato recuperato dal presidente francese Emmanuel Macron in due polemiche interviste sul posizionamento dell’Unione Europea nel mondo, pubblicate nel fine settimana. Parlando a Politico e a Les Echos della questione di Taiwan (un’isola di fatto indipendente che è rivendicata dalla Cina come propria ma è difesa dagli Stati Uniti), Macron ha detto che l’Unione Europea non deve limitarsi a essere «seguace» degli Stati Uniti, e deve trovare una propria dimensione alternativa sia agli Stati Uniti sia alla Cina come «terza superpotenza».
Quello di “autonomia strategica europea” è un concetto da sempre molto caro al presidente francese, ma è al tempo stesso piuttosto vago e difficile da definire, benché se ne parli ormai da vari anni. Di fatto è un obiettivo a cui tutta l’Unione Europea sostiene di aspirare, ma che al momento risulta complicato da raggiungere soprattutto a causa delle divisioni tra i paesi membri e delle loro inadeguatezze.
Sintetizzando, come scrive un documento del Parlamento Europeo, con autonomia strategica europea si intende «la capacità dell’Unione Europea di agire in autonomia – cioè senza essere dipendente da altri paesi – in ambiti politici strategicamente importanti. Questi possono spaziare dalla difesa all’economia, alla capacità di sostenere i valori democratici». In generale, l’idea dell’autonomia strategica si basa sul fatto che in alcuni campi estremamente importanti l’Unione Europea è ancora dipendente dagli Stati Uniti, e che sarebbe opportuno liberarsi da questa dipendenza.
In teoria il concetto è piuttosto importante, in realtà è estremamente vago e non è mai stato davvero concretizzato oltre alle dichiarazioni di principio, soprattutto a causa delle divisioni tra paesi membri, che non riescono a mettersi d’accordo su come e a che livelli quest’autonomia strategica dovrebbe essere raggiunta. Alcuni paesi, come quelli dell’Europa dell’est, non si fidano della volontà dei paesi dell’Europa centrale di mettere in pratica una difesa comune, e temono che senza la protezione americana si troverebbero esposti alle minacce della Russia. Altri, come la Francia, ritengono che l’autonomia strategica dovrebbe essere estesa il più possibile, ben oltre il campo della difesa e delle relazioni internazionali.
Come ha scritto di recente Andrew Cottey, professore dello University College di Cork, «l’autonomia strategica europea è sempre stata un concetto amorfo e retorico. Tra gli stati membri dell’Unione c’è una varietà di posizioni, che vanno dagli europeisti che sostengono un’Unione più indipendente dagli Stati Uniti fino agli atlantisti convinti». Secondo Cottey, i paesi membri negli ultimi anni sono stati disposti a parlare ampiamente di autonomia strategica soltanto perché il concetto «non prevede nessun impegno concreto».
La prima menzione dell’autonomia strategica in un documento ufficiale dell’Unione Europea risale a dieci anni fa, quando fu citata nelle conclusioni di una riunione del Consiglio Europeo nel dicembre del 2013. Ma l’autonomia strategica divenne centrale nel discorso europeo nel 2016, quando l’allora Alta rappresentante per la politica estera Federica Mogherini ne fece l’elemento portante del documento sulla strategia globale dell’Unione. Al tempo si faceva riferimento all’autonomia strategica soprattutto nel campo della difesa: l’idea generale era che l’Unione dovesse diventare capace di difendere se stessa anche senza l’aiuto degli Stati Uniti.
L’anno successivo, nel 2017, Emmanuel Macron tenne un importante discorso alla Sorbona in cui estese enormemente il concetto, sostenendo che l’Unione Europea dovesse diventare autonoma non soltanto nel campo della difesa, ma anche dell’economia, della finanza e in varie scelte importanti che riguardano la politica internazionale. Macron peraltro parlò di «sovranità», e non di autonomia. I due concetti – quello di “autonomia strategica europea” e quello di “sovranità strategica europea” – sono spesso considerati sinonimi anche se a riguardo c’è un certo dibattito.
Il periodo tra il 2016 e il 2017, in cui emerse per la prima volta con vigore il concetto di autonomia strategica, era molto particolare per le relazioni tra Europa e Stati Uniti. Donald Trump era il presidente americano, e la sua politica estera di “America First” prevedeva un ripudio piuttosto netto degli obblighi di difesa e sostegno degli alleati che tradizionalmente gli Stati Uniti si erano sobbarcati dopo la Seconda guerra mondiale. Trump riteneva la NATO un’alleanza obsoleta, e pretendeva tra le altre cose che i paesi europei facessero di più per contribuire alla propria difesa.
I leader europei si trovarono, loro malgrado, a immaginare un mondo in cui non sarebbero più stati difesi dagli Stati Uniti – un mondo, peraltro, in cui il loro peso e la loro importanza anche economica stava andando via via riducendosi. Alcuni, come l’allora cancelliera tedesca Angela Merkel, lo fecero controvoglia. Altri, come Macron, con molto più entusiasmo, anche perché l’idea dell’autonomia strategica concordava piuttosto bene con la scarsa sopportazione che molti governi francesi nella storia ebbero per il sistema di alleanze americano.
In un’intervista molto famosa nel 2019, tra le altre cose, Macron disse che la NATO era in stato di «morte cerebrale», e che l’Europa doveva trovarsi un nuovo e proprio sistema di difesa comune, che dipendesse meno dagli Stati Uniti. L’invasione russa dell’Ucraina, in realtà, ha mostrato piuttosto chiaramente che sulla NATO Macron si sbagliava.
– Ascolta Globo: La rinascita della NATO
La sconfitta di Donald Trump alle elezioni del 2020 e l’arrivo alla Casa Bianca di Joe Biden, un politico molto più tradizionalista e affidabile in politica estera, ha tranquillizzato la maggior parte dei leader europei sul fatto che la difesa garantita all’Europa dagli Stati Uniti non sarebbe stata ritirata. L’invasione russa dell’Ucraina, in cui gli Stati Uniti si sono sobbarcati il grosso delle spese e delle incombenze legate al sostegno della resistenza ucraina, hanno mostrato che gli Stati Uniti sono ancora essenziali per la difesa europea. Per questo, nel corso dell’ultimo anno, alcuni analisti hanno perfino sostenuto che l’idea dell’autonomia strategica fosse stata abbandonata.
Il concetto di autonomia strategica europea è tornato al centro dell’attenzione di recente, sia per le interviste di Macron sia, più in generale, perché l’Europa sta cominciando di nuovo a chiedersi cosa succederà se le elezioni statunitensi del 2024 saranno vinte da un Repubblicano isolazionista, o nuovamente da Donald Trump. L’autonomia strategica mantiene però tutte le ambiguità e i problemi di qualche anno fa.
In linea di principio, sul concetto di autonomia strategica concordano un po’ tutti. L’idea che l’Unione Europea debba sapersi difendere da sola e che debba contare di più nelle grandi questioni internazionali è sostenuta da tutti i leader europei. Paradossalmente, è sostenuta anche dagli Stati Uniti, che da sempre chiedono agli alleati europei di aumentare il proprio impegno e le proprie responsabilità nella difesa. Prima di Donald Trump anche Barack Obama definì «free riders» i paesi europei (oltre che alcuni paesi arabi), una parola che significa un po’ scrocconi e un po’ parassiti.
Tuttavia la maggior parte dei paesi dell’Unione Europea (e soprattutto i più grandi, come Francia, Germania e Italia) non ha mai raggiunto gli obiettivi minimi di spesa militare previsti per esempio dalla NATO, e la guerra in Ucraina ha mostrato enormi difficoltà e problemi nel settore della difesa. La Germania, per esempio, ha faticato a inviare sufficienti aiuti militari all’Ucraina anche a causa del fatto che le sue forze armate sono piuttosto obsolete.
Il problema principale, sostengono i critici, è che l’Europa desidera l’autonomia strategica in teoria, ma non è disposta ad affrontare le enormi spese e a fare i compromessi necessari per ottenerla.
A questo si aggiungono anche le divisioni all’interno dell’Unione. Nel corso dell’ultimo anno di guerra in Ucraina i paesi dell’Europa dell’est hanno acquisito sempre maggior peso politico e rafforzato le loro posizioni fortemente atlantiste, cioè favorevoli a un’alleanza molto forte con gli Stati Uniti. Per questi paesi, la protezione militare statunitense è essenziale, e sarà molto difficile convincerli che un’alternativa europea possa fornire le stesse garanzie.