In Irlanda del Nord i “Troubles” non sono mai finiti del tutto
Nonostante gli accordi di pace di 25 anni fa tra unionisti e nazionalisti: oggi a compiere le violenze sono soprattutto gruppi paramilitari
Il 10 aprile del 1998, 25 anni fa, in Irlanda del Nord furono firmati gli accordi del Venerdì Santo, lo storico trattato che pose fine ai cosiddetti “Troubles”, il periodo di violenze tra indipendentisti e unionisti nordirlandesi in cui per oltre trent’anni, tra la fine degli anni Sessanta e la fine dei Novanta, vennero compiuti attentati terroristici in tutto il paese. Nonostante gli oltre due decenni di pace, le divisioni tra i due schieramenti non sono finite, e alcune forme di violenza sono continuate. Soprattutto nelle aree più povere dell’Irlanda del Nord sono rimasti attivi gruppi paramilitari, che col passare del tempo sono diventati sempre più un problema.
Durante i “Troubles” gli unionisti, per la maggioranza protestanti, erano favorevoli alla permanenza dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito, mentre i repubblicani, cattolici, volevano unirsi all’Irlanda (l’Irlanda del Nord è stata per decenni a maggioranza protestante, ma di recente sono diventati di più i cattolici). Entrambi gli schieramenti potevano contare su formazioni paramilitari: l’Irish Republican Army (IRA), legata ai repubblicani del partito Sinn Féin, e l’Ulster Defence Association (UDA), legata agli unionisti dell’Ulster Unionist Party (UPP).
Con gli accordi del Venerdì Santo vinsero formalmente gli unionisti, dato che l’Irlanda restò parte del Regno Unito: ma le loro fazioni più radicali hanno sempre considerato quegli accordi una vittoria incompleta, minacciata dalla possibilità di una futura riunificazione dell’Irlanda. Gruppi come l’UDA e altri più piccoli, come l’Ulster Volunteer Force (UVF) o il Loyalist Volunteer Force (LVF), non hanno mai smesso di esistere, e nel tempo hanno esteso le proprie attività criminali, per esempio nel traffico di droga, e spesso con faide interne che hanno ulteriormente intensificato gli episodi di violenza.
In misura minore hanno continuato a compiere attacchi anche gruppi estremisti nazionalisti come il Continuity IRA e il New IRA, entrambi ispirati all’IRA, contrari agli accordi del Venerdì Santo e favorevoli alla riunificazione delle due Irlande.
Uno degli ultimi attacchi si è verificato a fine febbraio di quest’anno, quando proprio il New IRA ha tentato di uccidere con dieci colpi di pistola John Caldwell, ispettore capo di polizia, ferendolo gravemente. A seguito di questo episodio l’MI5, agenzia di intelligence interna al Regno Unito, ha innalzato il livello di minaccia terroristica in Irlanda del Nord da “sostanziale”, cioè con attacchi ritenuti probabili, a “grave”, cioè con attacchi «altamente probabili».
Anche perché negli ultimi anni alle tensioni tra le due parti ha contribuito Brexit, che ha reso lo status dell’Irlanda del Nord e la sua separazione dall’Irlanda molto più incerti, destabilizzando il delicato equilibrio raggiunto con gli accordi del 1998.
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Secondo dati del governo nordirlandese, tra il 15 e il 30 per cento degli abitanti dell’Irlanda del Nord ha subìto danni causati dalle attività dei gruppi paramilitari, che comprendono pestaggi, sparatorie, gambizzazioni, incendi o bombe molotov lanciate su mezzi di trasporto o edifici. Uno degli ultimi attacchi ha colpito una casa a Donaghadee, dichiarata pochi giorni prima il miglior posto in cui vivere in Irlanda del Nord: in quel caso l’attacco è stato attribuito a una faida interna all’UDA legata al traffico di droga.
Le attività dei gruppi paramilitari sembrano proliferare soprattutto nelle aree più povere del paese, quelle in cui ci sono maggiori disuguaglianze sociali e livelli di istruzione più bassi. Una fonte anonima citata dal Financial Times ha raccontato di alcune delle modalità con cui i due gruppi unionisti arruolano nuovi membri: attraverso il controllo del commercio di marijuana e cocaina attraggono adolescenti che si rivolgono a loro per comprarle, diventandone dipendenti e in molti casi accumulando debiti. Quando non riescono a pagarli il gruppo propone loro due possibilità: venire puniti – con pestaggi o azioni più violente – oppure arruolarsi.
Secondo Colm Walsh, sociologo della Queen’s University di Belfast, i gruppi paramilitari unionisti contano circa 12mila membri, e sono diventati «qualcosa di molto più simile alla criminalità organizzata e persino ai gruppi mafiosi» che a un gruppo mosso da obiettivi politici. Adele Brown, direttrice del Programma di lotta contro i gruppi paramilitari, il crimine e la criminalità organizzata del governo nordirlandese, ha detto al Financial Times che oggi i gruppi paramilitari sono responsabili di «sfruttamento criminale dei bambini, abuso delle donne, controllo coercitivo, criminalità economica» ed estorsione, tra le altre cose.
Contrastare le attività dei gruppi paramilitari è complicato, anche per il radicamento ormai molto profondo che hanno in alcune aree, dove hanno creato legami di fiducia con la popolazione locale. Ci sono persone che si rivolgono ai paramilitari per risolvere problemi o per ottenere giustizia perché si fidano più di loro che della polizia. Secondo Brown, «in alcune aree la gente si sente al sicuro anche se questi gruppi compiono crimini contro le loro stesse comunità». Un esempio recente si è verificato a Newtownards, città a est di Belfast, quando di recente i residenti si sono rivolti proprio a un gruppo paramilitare unionista per chiedere aiuto contro una banda criminale che aveva compiuto diversi attacchi, tra cui uno in un centro commerciale.
Secondo Quintin Oliver, consulente politico che aveva guidato la campagna per il Sì nel referendum per gli Accordi del Venerdì Santo (cioè per sostenere gli accordi e mettere fine ai “Troubles”), la forza e il potere guadagnati dai gruppi paramilitari sono il risultato di una serie di azioni politiche che hanno «permesso lo sviluppo di una società a due velocità: la classe operaia e tutti gli altri».
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