La NATO fa fatica a trovare un nuovo capo
C'entrano la nuova importanza dell'alleanza militare e i requisiti molto particolari richiesti a chi deve guidarla
All’inizio del 2022 Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, l’alleanza militare che comprende la stragrande maggioranza dei paesi occidentali, si stava preparando a lasciare il suo incarico dopo otto anni di mandato, apprezzati in maniera trasversale. Per lui era già pronto l’incarico, decisamente più agevole, di nuovo direttore della Banca centrale della Norvegia, il suo paese natale.
Poi però il 24 febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina, e l’incarico di Stoltenberg è stato prolungato per evitare una transizione di poteri in un momento così delicato. L’estensione scade a settembre del 2023. Stoltenberg ha già chiarito che non intende chiederne un’altra, ma a distanza di pochi mesi non esiste un favorito o una favorita per sostituirlo. Anzi: i 31 paesi membri stanno facendo molta fatica a trovare candidati adatti per l’incarico.
«La guerra ha rimesso sotto i riflettori la NATO, e reso l’incarico di segretario generale più delicato dal punto di vista politico e di un profilo più alto rispetto al recente passato. I paesi membri sono diventati improvvisamente molto più prudenti nella scelta di chi sistemare su un podio perché parli al posto loro», ha scritto di recente Politico.
Quella di segretario generale è la carica più alta in grado della NATO. Dalla sua fondazione nel 1949 ad oggi, la NATO ha avuto 13 segretari generali, tutti uomini, tutti europei, e tutti ex ministri o importanti diplomatici di paesi membri, con anni di esperienza nel settore militare o nella diplomazia. L’incarico dura quattro anni, rinnovabili in teoria senza limiti. L’elezione del segretario generale avviene con un voto all’unanimità di tutti i paesi membri, a cose fatte: significa che le trattative si fanno prima del voto, con un processo informale di incontri e negoziati. «È la meno trasparente fra tutte le elezioni», ha detto un diplomatico europeo alla rivista Foreign Policy.
La natura di questo processo fa sì anche che l’elezione del segretario sia molto difficile da raccontare.
Ormai da mesi a Bruxelles, dove ha sede la NATO, si fa il nome dell’attuale presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, come potenziale sostituta di Stoltenberg. Von der Leyen potrebbe potenzialmente mettere d’accordo tutti: nonostante qualche inciampo e una valutazione finale che dipenderà molto da come gestirà gli ultimi mesi del suo mandato, è piuttosto rispettata, è stata per anni ministra della Difesa in Germania e già oggi conosce e collabora con diplomatici e leader politici di tutti i paesi membri della NATO.
Nel suo caso l’ostacolo principale sono i tempi. Alla NATO serve un nuovo segretario generale entro settembre, meglio ancora entro luglio, quando si terrà la riunione annuale di tutti i paesi membri. Il mandato di von der Leyen scadrà dopo le elezioni europee, che saranno nella primavera del 2024. In pochi pensano che von der Leyen abbia intenzione di interrompere il suo mandato da presidente della Commissione – fra l’altro nella fase finale, quando si concretizzeranno diverse misure promosse dalla Commissione nell’arco del mandato – per diventare segretaria generale della NATO.
«La presidente non è una candidata per quell’incarico», ha detto un portavoce di von der Leyen a Politico, «e non ha alcun commento su questa ipotesi».
Un altro nome che si fa spesso è quello dell’attuale prima ministra estone Kaja Kallas. Ha 45 anni, è in carica dal 2021 e il suo partito ha appena stravinto le elezioni parlamentari. In teoria il suo mandato scadrà nel 2027, ma nel caso venisse scelta per un incarico internazionale così prestigioso potrebbe anche decidere di dimettersi. Nel caso di Kallas l’ostacolo principale sembrano le sue posizioni sulla Russia, uno dei principali paesi avversari della NATO insieme alla Cina, considerate troppo ostili.
Dall’inizio della guerra in Ucraina, Kallas si è fatta molto notare anche sui giornali internazionali come una delle leader con le posizioni più dure nei confronti della Russia e del suo presidente Vladimir Putin: una caratteristica che condivide peraltro con diversi altri leader politici dei paesi baltici, fra i più esposti all’aggressività russa per ragioni storiche e geografiche. Diversi paesi potrebbero pensare che per un incarico del genere ci vorrebbe una figura un filo più conciliante.
«Kallas è una leader molto schietta e questo potrebbe dare fastidio ad alcuni paesi dell’Europa occidentale», ha spiegato a Foreign Policy Max Bergmann, esperto di Europa del think tank Center for Strategic and International Studies. «Penso per esempio alla Francia, che potrebbe avere delle riserve su Kallas. Cosa succederebbe se il presidente francese Emmanuel Macron conducesse delle trattative private con Putin e Kallas le condannasse pubblicamente?».
Mark Rutte, primo ministro dei Paesi Bassi dal 2010, ha invece il problema opposto: viene percepito come troppo poco netto nei confronti di Russia e Cina, soprattutto dai paesi baltici e da quelli dell’Europa orientale. I Paesi Bassi inoltre non hanno una grande tradizione militare, e sembrano ancora lontani dal raggiungere l’obiettivo condiviso da tutti i paesi NATO di impiegare il 2 per cento del proprio PIL per le spese militari. In teoria tutti i paesi si sono impegnati a raggiungere l’obiettivo entro il 2024: i Paesi Bassi hanno già annunciato che non riusciranno a farlo, e che si prenderanno almeno un altro anno di tempo (oggi hanno una spesa militare poco al di sotto dell’1,5 per cento del proprio PIL).
Il paese di provenienza del candidato o della candidata non è una questione di poco conto. Gli Stati Uniti non hanno mai espresso un segretario generale: sia perché si ritiene che debba avere familiarità e ottime relazioni in tutta Europa, sia perché per prassi indicano la persona che ricopre la carica militare all’interno dell’alleanza. Francia e Germania sono paesi dal peso specifico enorme ma anche quelli che mantengono una posizione meno netta nei confronti di Cina e Russia: nel suo viaggio diplomatico in Cina, ancora in corso, il presidente francese Emmanuel Macron si è portato dietro una cinquantina di grossi imprenditori francesi, segno del fatto che non vuole interrompere i rapporti commerciali con la Cina sebbene quest’ultima sia il principale alleato internazionale della Russia di Putin.
Non è un caso che sia Stoltenberg sia il suo predecessore Anders Fogh Rasmussen, danese, provengano da paesi dell’Europa del Nord, contro cui circolano meno diffidenze (e che di solito producono leader rispettati ma non eccessivamente ingombranti).
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Ci sarebbe il Regno Unito, che però continua ad avere cattivi rapporti con i paesi europei dopo l’uscita dall’Unione Europea. Qualche tempo fa il New York Times ha scritto che a Washington stanno cercando di spingere il nome di Chrystia Freeland, vice prima ministra del Canada. Freeland, ex giornalista, è stata anche ministra degli Esteri, parla cinque lingue fra cui l’italiano e il russo ed è considerata una leader carismatica: ma ha origini ucraine, cosa che secondo alcuni potrebbe indispettire i russi.
In più suo nonno lavorava per il quotidiano ucraino Krakivski Visti, un organo di propaganda nazista noto fra le altre cose per i suoi contenuti antisemiti: Putin insomma avrebbe gioco facile nel descriverla come discendente dei nazisti ucraini che secondo la propaganda russa sono il vero obiettivo dell’invasione militare dell’Ucraina (tesi smentita, fra le altre cose, dagli attacchi giornalieri e indiscriminati che l’esercito russo compie contro i civili ucraini).
Alla fine fonti consultate dai giornali ritengono che diversi paesi potrebbero chiedere a Stoltenberg di rimanere segretario generale, magari con una estensione breve e a patto che sia l’ultima. L’incarico che aspettava Stoltenberg, del resto, non esiste più: l’anno scorso l’economista Ida Wolden Bache è stata nominata governatrice della banca centrale norvegese. Bache ha solo 50 anni – un’età molto bassa per la responsabile di una banca centrale – e probabilmente resterà al suo posto per molti anni.