Quanto sono pericolosi gli orsi?
Gli orsi bruni diventano pericolosi solo in rare e particolari condizioni, ma ci sono comunque comportamenti da seguire per evitare aggressioni
Mercoledì sera è avvenuta la prima aggressione mortale di un orso in Italia nella storia contemporanea. Andrea Papi, un ragazzo di 26 anni di Caldes, in provincia di Trento, è stato ucciso nei boschi della zona mentre stava tornando da una corsa sul monte Peller. Il suo corpo era stato ritrovato nella notte fra mercoledì e giovedì dopo alcune ore di ricerche, e aveva segni compatibili con l’aggressione di un orso. L’autopsia ha dato la conferma ufficiale delle cause della morte. Il corpo del ragazzo presentava graffi, segni di un morso al braccio, ferite profonde al torace e al collo.
Il presidente della provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti ha firmato un’ordinanza che prevede la cattura e l’abbattimento dell’orso, che dovrebbe essere riconosciuto grazie a test genetici svolti su campioni organici ritrovati sul luogo dell’attacco. La morte di Papi ha riaperto una discussione che in Trentino e in Alto Adige, dove vive una delle rare popolazioni di orsi bruni (Ursus arctos secondo la classificazione scientifica) d’Italia, ricompare ciclicamente quando un orso attacca un uomo: quanto sono pericolosi gli orsi?
Secondo un articolo scientifico pubblicato su Nature nel 2019 c’è la percezione che questi animali siano particolarmente pericolosi per gli esseri umani, soprattutto perché «tra tutti i grandi predatori terrestri e acquatici, gli attacchi perpetrati da orsi bruni sono quelli più raccontati dai media internazionali». «Anche se gli attacchi dell’orso bruno sono meno frequenti di quelli di altri predatori, questa specie ha il potere di attirare l’attenzione amplificata dei mass media, che ha il potenziale per influenzare negativamente l’atteggiamento del pubblico», spiega Nature.
Secondo lo stesso studio, tra il 2000 e il 2015 si sono verificati 664 attacchi di orsi a livello mondiale, di cui 95 sono risultati mortali. La maggior parte di queste morti sono avvenute in Nord America, sia da parte di orsi bruni che di orsi grizzly, che ne sono una sottospecie. Prima di quest’anno, in Italia erano state registrate 7 aggressioni in 150 anni: nessuna era risultata mortale.
In un’intervista a Repubblica in seguito alla morte di Papi, Piero Genovesi, uno dei maggiori esperti mondiali di orsi bruni e responsabile del Servizio per il coordinamento della fauna selvatica dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ci ha tenuto a sottolineare che «gli attacchi con feriti, in tutta Europa, ci sono tutti gli anni, ma le aggressioni mortali sono molto rare». In Svezia, dove vivono tra i 4 e i 5mila esemplari di orsi a fronte dei circa cento che vivono in Trentino, si registra circa un incidente all’anno, ma quelli mortali negli ultimi 15 anni sono stati soltanto due. In Romania, dove ci sono oltre 6mila orsi, molti dei quali abituati all’uomo, gli attacchi mortali sono stati 11 in 15 anni.
«Esperimenti effettuati in Scandinavia hanno dimostrato che la reazione dell’orso, se si accorge della presenza di un umano, è sempre di allontanarsi: perciò non basta avvicinarsi all’orso perché ci sia pericolo», spiega Genovesi.
Secondo una pagina informativa della provincia autonoma di Trento, gli orsi bruni diventano pericolosi solo in rare e particolari condizioni: quando sono feriti; se sono femmine con cuccioli appresso; se vengono sorpresi su carcasse o altre fonti di cibo; se vengono colti all’improvviso in un modo che li possa spaventare; se vengono disturbati nella propria tana; se si sentono troppo a proprio agio attorno agli esseri umani. Gli orsi infatti sono animali prevalentemente vegetariani e salvo eccezioni non vedono una minaccia nelle persone, e nemmeno sono interessati ad avvicinarle. Se però un orso si abitua alla presenza degli esseri umani potrebbe avvicinarsi più spesso, aumentando la possibilità di incontri e quindi di rischio per le persone.
«È importante ricordare che è assolutamente negativo e pericoloso sia per l’uomo che per l’orso cercare di attirare quest’ultimo con esche alimentari allo scopo di osservarlo, fotografarlo o filmarlo», ricorda per esempio la pagina della provincia autonoma di Trento. «Con questa pratica il plantigrado perde il timore nei confronti dell’uomo, associando anzi la presenza umana alla possibilità di reperire cibo in modo facile».
Ad aumentare il pericolo è il fatto che, in posti come il Trentino-Alto Adige, le popolazioni di orsi siano state reintrodotte soltanto di recente, dopo un periodo di estinzione dovuto alla caccia: in queste regioni spesso le pratiche di prevenzione e interazione con gli orsi sono andate perdute e le persone del posto (oltre che i turisti) non sono più abituate a condividere il paesaggio con un grosso animale onnivoro.
Secondo gli esperti, residenti e turisti che si addentrano nei boschi e in altre zone abitate dagli orsi bruni dovrebbero ricordare di restare sui sentieri; parlare a voce alta; tenere il proprio cane al guinzaglio; non avvicinarsi alla fauna selvatica, nemmeno per scattare una fotografia; non lasciare cibo a disposizione degli animali; restare fermi o allontanarsi lentamente in caso di incontro ravvicinato, e non colpire gli animali. In paesi in cui la popolazione di orsi è presente da anni, come il Canada, queste raccomandazioni sono contenute in centinaia di cartelli sparsi nelle zone più frequentate dagli orsi.
Parlando al Corriere del Trentino nel 2017, Andrea Mustoni, biologo responsabile dell’Area ricerca scientifica e divulgazione del Parco Adamello Brenta, spiegò che «posto che il rischio zero non esiste, è dimostrato a livello globale che più comunicazione si fa, e meno aggressioni ci sono».