Ci vuole troppo tempo per fare un grande impianto fotovoltaico in Italia
Per concludere tutti i passaggi burocratici ci vogliono dai tre ai cinque anni, e anche per questo siamo indietro rispetto agli obiettivi
di Angelo Mastrandrea
Il 31 luglio del 2021 una delle otto aziende fondatrici che fanno parte dell’Alleanza per il fotovoltaico, una rete di venticinque imprese italiane del settore energetico, ha chiesto al ministero dell’Ambiente la Valutazione d’impatto ambientale (VIA) per un impianto solare cosiddetto utility scale, vale a dire di grandi dimensioni, su alcuni terreni agricoli. La Valutazione d’impatto ambientale è una procedura che ha lo scopo di individuare eventuali rischi di un progetto per l’ambiente, per la salute e per il benessere delle persone, e di indicare le misure per eliminarli o ridurli. È obbligatoria per gli impianti fotovoltaici che superano i 10 megawatt di potenza massima, com’è il caso del progetto presentato dall’azienda italiana alla fine di luglio del 2021. A rilasciarla è una commissione di esperti nominati dal ministero dell’Ambiente.
Nel 2021 gli esperti erano quaranta, ma il Consiglio dei ministri a novembre li ha aumentati a 70, per smaltire più velocemente tutte le procedure in lista d’attesa. «Lo sblocco delle autorizzazioni per nuovi impianti di energia da fonti rinnovabili resta uno degli obiettivi principali dell’azione di governo» ha detto il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, a un convegno a margine della COP27, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si è tenuta lo scorso novembre. In media, solo per ottenere la Valutazione d’impatto ambientale ci vogliono 230 giorni. Per arrivare al via libera definitivo per la costruzione di un impianto si impiegano dai tre ai cinque anni: i lunghissimi tempi di approvazione sono tra i fattori per cui l’Italia è ancora così indietro nello sviluppo delle energie rinnovabili.
«Se calcoliamo la media di installazione degli ultimi tre anni, pari a 0,56 gigawatt, rischiamo di raggiungere l’obiettivo di 70 gigawatt di nuovi impianti a fonti rinnovabili al 2030 tra 124 anni» ha scritto l’associazione Legambiente nel rapporto “Comunità rinnovabili”.
L’azienda che ha richiesto la VIA è specializzata nella realizzazione di impianti chiamati agrisolari, che producono energia elettrica su terreni agricoli senza consumare suolo e senza sottrarre spazi all’agricoltura e all’allevamento poiché i pannelli sono sistemati sollevati da terra, in modo da consentire le lavorazioni agricole e il pascolo degli animali. Un responsabile ha accettato di parlare a patto che non si faccia il suo nome o dell’azienda, e non si scriva in quale regione vuole realizzare il progetto. I documenti inviati al ministero contenevano il progetto preliminare, una sintesi tecnica, uno studio di impatto ambientale e le misure previste per compensare gli impatti negativi. L’11 novembre del 2021 gli esperti del ministero hanno chiesto alcune integrazioni, che l’azienda ha inviato il 26 novembre. I documenti consegnati non sono stati ritenuti ancora sufficienti, così tre giorni dopo l’azienda ha inviato una seconda integrazione.
Un anno dopo, il 23 novembre del 2022, la commissione ha aperto la procedura: ha pubblicato la sintesi del progetto sul portale web del ministero dell’Ambiente, dove gli abitanti avevano 45 giorni di tempo per inviare le loro osservazioni, e lo ha notificato agli enti locali coinvolti perché esprimessero il loro parere. Il 3 dicembre gli esperti hanno chiesto altri documenti all’impresa, che li ha inviati il 14 dicembre. Dopo un mese e mezzo, lette le valutazioni dei cittadini e i pareri degli enti coinvolti, l’azienda ha presentato le sue controdeduzioni. Gli esperti del ministero dell’Ambiente hanno chiesto un’ulteriore integrazione al progetto, che è stata inviata il 24 febbraio del 2023. Ora si attendono altre osservazioni degli abitanti e degli enti locali, a cui l’impresa potrà ribattere ancora una volta. Al termine ci sarà il parere finale della commissione e l’eventuale decreto che autorizza l’impianto dal punto di vista ambientale. Il tempo stimato per l’approvazione è di altri 75 giorni. Quando la Valutazione d’impatto ambientale sarà concessa, saranno trascorsi due anni dalla presentazione del progetto, eppure l’azienda sarà ancora a metà del percorso burocratico.
Un ulteriore passaggio è stato introdotto lo scorso anno a metà luglio. Un emendamento al cosiddetto decreto Aiuti presentato dal governo di Mario Draghi ha introdotto l’obbligo della Valutazione preventiva di interesse archeologico (VPIA), che viene rilasciata dalla Soprintendenza ai beni archeologici e che analizza l’impatto della realizzazione dell’opera rispetto alle esigenze di tutela del patrimonio archeologico. L’azienda dovrà inviare alla Soprintendenza il progetto preliminare, allegando una relazione di un archeologo professionista che attesta l’assenza del rischio che durante i lavori possano essere trovati reperti archeologici. La Soprintendenza dovrebbe rispondere entro un mese e mezzo, ma «la cosa più probabile è che non arrivi nessuna risposta, come nella maggioranza dei casi sta accadendo per queste domande», spiega Andrea Cristini, portavoce dell’Alleanza per il fotovoltaico. Per questo «molte aziende stanno facendo ricorso al Tar», il Tribunale amministrativo regionale, dice ancora Cristini.
L’emendamento approvato, presentato dalla deputata del Partito Democratico Chiara Braga, secondo l’Alleanza per il fotovoltaico ha prodotto l’effetto di rallentare ancora di più i tempi di approvazione dei progetti. Il Tar impiega in media due anni per esprimersi e un eventuale ricorso di una delle parti al Consiglio di Stato sarebbe valutato entro altri due mesi. I giudici di solito propendono per il cosiddetto silenzio assenso, cioè ritengono che la mancata risposta della Soprintendenza vada intesa come un accoglimento della richiesta.
Di fronte alle proteste delle imprese energetiche, il 16 febbraio il Consiglio dei ministri ha inserito una norma nel cosiddetto decreto PNRR, che semplifica le procedure di approvazione dei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, finanziati con i fondi del Recovery Plan europeo. La Valutazione d’interesse archeologico non è più richiesta in via preventiva ma avviene in parallelo alla VIA, per evitare che il ministero della Cultura intervenga più di una volta, riducendo così di qualche mese i tempi di approvazione. L’azienda, una volta ottenuto il via libera della Soprintendenza, dovrà inviare il progetto alle direzioni generali dei ministeri dell’Ambiente e della Cultura, che dovranno dare un parere favorevole comune alla realizzazione dell’impianto. Nella maggioranza dei casi, sostiene l’Alleanza per il fotovoltaico, gli uffici ministeriali non si trovano d’accordo sull’approvazione e rinviano la decisione finale al Consiglio dei ministri. «Il conflitto tra i ministeri purtroppo riguarda circa l’80 per cento delle domande e questo allunga ancora di più i tempi», dice Cristini.
Nel frattempo, gli altri paesi dell’Europa mediterranea hanno accelerato l’approvazione di impianti rinnovabili, in particolare fotovoltaici. La Grecia, che già nel 2020 copriva con le fonti rinnovabili il 21,7 per cento della domanda totale di energia del paese, ha inaugurato ad aprile del 2022 in Macedonia occidentale un grande parco solare composto da 500 mila pannelli double face, cioè che catturano il sole dal fronte e dal retro. All’inizio di aprile il governo greco, di centrodestra, ha avviato un programma di «democrazia energetica» rivolto ad agricoltori e cittadini che prevede incentivi per l’installazione di pannelli solari sui tetti delle abitazioni e nei campi. L’obiettivo è arrivare al 35 per cento di energia da fonti rinnovabili entro il 2030.
In Spagna nel 2022 il governo del socialista Pedro Sanchez ha approvato 182 parchi eolici e solari di grandi dimensioni, mentre le 17 comunità autonome di cui è composto il paese ne hanno autorizzato altri 1.236, più piccoli. Il quotidiano spagnolo El Paìs ha scritto che nei prossimi anni gli esperti attendono «una esplosione di rinnovabili» nel paese, in particolare di energia solare, dovuta all’accelerazione nelle autorizzazioni da parte del governo e delle comunità autonome.
In Italia, nello stesso periodo sono stati approvati impianti fotovoltaici per appena 2,5 gigawatt e la potenza complessiva installata è di 12,6 gigawatt, nonostante gli incentivi statali legati ai bonus per le ristrutturazioni. Stando ai dati forniti da Terna, la società che gestisce la rete elettrica, il fotovoltaico copre solo l’8,7 per cento della produzione nazionale di elettricità, mentre il 18,9 per cento dell’energia italiana è prodotta da fonti rinnovabili. «Di questo passo, non raggiungeremo mai gli obiettivi previsti» dice Cristini.
In Italia c’è un Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) sottoscritto dai ministeri dello Sviluppo economico, dell’Ambiente e delle Infrastrutture e Trasporti a gennaio del 2020. Il suo obiettivo è rispettare l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, firmato dai 27 paesi dell’Unione Europea nel 2015: il PNIEC prevede che entro il 2030 l’Italia debba avere una potenza massima installata di 52 gigawatt da pannelli solari, con un investimento di 25 miliardi di euro, per poi arrivare a 150 gigawatt entro il 2050, con un investimento di 75 miliardi di euro. Queste cifre, secondo le stime, dovrebbero creare anche 40mila nuovi posti di lavoro. L’Alleanza per il fotovoltaico si dice disposta a investire subito sette miliardi, ma 635 progetti sono bloccati tra un passaggio burocratico e l’altro, per un totale di 26,7 gigawatt. Quattordici di questi non sono ancora stati approvati dal Consiglio dei ministri poiché i ministeri coinvolti non sono riusciti a mettersi d’accordo.
Una volta ottenute le autorizzazioni ambientali e archeologiche, e l’eventuale via libera del governo, il progetto deve essere approvato dalla Regione, che deve rilasciare la cosiddetta “Autorizzazione unica” necessaria per la costruzione dell’impianto. «A questo punto dovrebbe essere quasi una formalità, invece non lo è» dice spiega Cristini, perché la domanda viene inserita in una lista d’attesa di almeno un altro anno con tutti i progetti, anche quelli inferiori ai 10 megawatt di potenza, per cui è prevista una procedura regionale.
La Puglia e la Sicilia sono le regioni con più richieste di concessioni e, oltre che con la burocrazia, le imprese devono fare i conti anche con chi si oppone agli impianti fotovoltaici di grandi dimensioni. Tra i contrari c’è anche la Coldiretti, che nella val di Noto, in provincia di Siracusa, ha ottenuto dal Tar la sospensione di un progetto della società Limes Renewables Energy, che voleva coprire 80 ettari di terreni agricoli con pannelli solari fissati a terra.
L’Alleanza per il fotovoltaico garantisce che i progetti delle sue imprese sono realizzati tutti su terreni incolti e non consumano suolo perché sono sollevati da terra. Negli uffici della Regione Sicilia ci sono 667 richieste di impianti fotovoltaici in attesa di autorizzazione, per una potenza complessiva di 36,05 gigawatt. Il 2 aprile, intervenendo a un convegno organizzato dall’assessore regionale alle Attività produttive Edy Tamajo alle Terrazze di Mondello, uno dei ristoranti più noti e costosi di Palermo, il presidente della Sicilia, Renato Schifani, ha annunciato di voler «sospendere il rilascio delle autorizzazioni per il fotovoltaico perché dobbiamo valutare l’utile d’impresa con l’utile sociale e con il danno ambientale».
«Questa attività porta lavoro? L’energia rimane in Sicilia? No», ha proseguito. Schifani vuole chiedere al governo di modificare il decreto legislativo del 2003 sulle rinnovabili, nella parte in cui prevede che «sul fotovoltaico non possano essere imposte delle royalty [una percentuale degli incassi da devolvere agli enti locali, ndr], mentre questi impianti danno il tre per cento di energia ai comuni, come risarcimento del danno ambientale».
La legge prevede alcune «misure di compensazione» per i comuni nei quali viene realizzato un impianto fotovoltaico, come «interventi di miglioramento ambientale» per mitigare l’impatto del progetto, «di efficienza energetica, di diffusione di installazioni di impianti a fonti rinnovabili e di sensibilizzazione della cittadinanza». Schifani chiede che queste misure vengano estese alla Regione, quindi c’è il rischio di un ulteriore rallentamento dovuto a eventuali scontri politici con il governo nazionale.
«Se cominciamo con la moratoria delle regioni, magari dopo la Sicilia anche un’altra ci penserà, vedendo l’occasione per chiedere di più e fermare tutto» ha detto al Sole 24 Ore Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, l’associazione delle imprese del settore elettrico. Se tutto andrà per il meglio, l’azienda che ha presentato il progetto il 31 luglio del 2021 avrà impiegato tre anni per ottenere l’autorizzazione e cominciare i lavori, ma l’attesa potrebbe prolungarsi ancora.