I paesi produttori di petrolio ridurranno ancora la produzione
Domenica è stato annunciato un ulteriore taglio di 1,15 milioni di barili al giorno, il secondo in sette mesi
Domenica sera un numeroso gruppo di paesi produttori di petrolio guidati dall’Arabia Saudita ha annunciato un nuovo inatteso taglio della produzione di greggio di 1,15 milioni di barili al giorno, pari a circa l’1 per cento della produzione mondiale. La misura è stata decisa inizialmente dai governi di Arabia Saudita e Russia, a cui si sarebbero poi aggiunti quelli di Iraq, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Algeria, Oman e Kazakistan: sono alcuni dei paesi che rappresentano l’OPEC+, la più ampia organizzazione di paesi produttori di petrolio al mondo, anche se non tutti.
La misura annunciata domenica è stata definita «precauzionale»: ha quindi l’obiettivo di evitare un ulteriore calo del prezzo del petrolio.
Nelle ultime settimane il prezzo del petrolio è sceso ai suoi valori minimi degli ultimi 15 mesi, tra i 70 e gli 80 dollari al barile, per effetto tra le altre cose della crisi bancaria che ha coinvolto due istituti statunitensi e che ha portato al salvataggio di Credit Suisse da parte della banca svizzera UBS. I paesi produttori temono inoltre che, se la crescita dell’economia mondiale dovesse rallentare come da attese, la domanda di petrolio calerà, facendo scendere troppo il prezzo.
Dopo l’annuncio i prezzi sono già cresciuti, superando gli 85 dollari al barile.
Il grosso della riduzione sarà sostenuto dall’Arabia Saudita, che taglierà la sua produzione di petrolio di 500 mila barili al giorno. Anche la Russia ufficialmente partecipa all’operazione saudita, ma in realtà il governo russo aveva annunciato il taglio della produzione già alcune settimane fa, e probabilmente si tratta di una riduzione non volontaria: secondo varie analisi, l’industria estrattiva russa si troverebbe in difficoltà a causa delle sanzioni e del ritiro dal mercato russo di molte società occidentali che fornivano servizi e assistenza tecnica all’industria. Attualmente la Russia ha ridotto la produzione di 500 mila barili di petrolio al giorno, scendendo sotto i 10 milioni.
La riduzione della produzione, che entrerà in vigore dal primo maggio, segue quella di due milioni di barili al giorno deciso a ottobre dall’OPEC+. L’OPEC+ è un’organizzazione che include i 13 membri dell’OPEC, l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, tra cui Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, più altri paesi come la Russia: questi ultimi variano di volta in volta a seconda del tipo di accordo, anche se la Russia è ormai una presenza praticamente fissa. Al tempo la decisione fu apertamente criticata dagli Stati Uniti, che accusarono l’OPEC+ e in particolare l’Arabia Saudita di aiutare gli sforzi bellici della Russia, che ha nell’esportazione di petrolio e gas la sua principale fonti di entrate.
A partire da maggio i nuovi limiti della produzione – quelli annunciati domenica si sommano a quelli di ottobre – ridurranno di circa il 3,7 per cento la quantità di petrolio estratta giornalmente nel mondo e potrebbero avere effetti rilevanti sull’economia globale: l’aumento dei prezzi potrebbe far aumentare ulteriormente l’inflazione, in una fase in cui le misure volte al suo contenimento da parte delle banche centrali stanno mettendo in crisi alcuni istituti bancari. Molto dipenderà tuttavia dall’andamento dell’economia mondiale: se dovesse rallentare, la domanda si ridurrà e i prezzi potrebbero rimanere stabili.
La scelta compiuta in primo luogo dall’Arabia Saudita complicherà ulteriormente le relazioni fra il paese e gli Stati Uniti. I rapporti erano già peggiorati lo scorso ottobre, dopo l’annuncio della prima riduzione, quando l’amministrazione del presidente Joe Biden aveva espresso preoccupazione sugli effetti della misura sui prezzi per i consumatori finali negli Stati Uniti. Allora si era osservato come la capacità di influenza degli Stati Uniti sul regime saudita guidato dal principe ereditario Mohammed bin Salman fosse minore rispetto al passato.