Il caso Trump-Stormy Daniels, in breve
È tornato improvvisamente attuale dopo l'incriminazione di Trump, risale a qualche anno fa ed è piuttosto intricato
Con l’incriminazione decisa giovedì da un tribunale di Manhattan, a New York, Donald Trump è diventato il primo ex presidente degli Stati Uniti a essere sottoposto a un processo penale. È un evento a suo modo storico, molto commentato sia negli Stati Uniti che altrove. Le accuse a carico di Trump non sono ancora state rese note, ma si sa che riguardano un caso di qualche anno fa tornato improvvisamente attuale: il presunto pagamento di 130mila dollari all’attrice di film porno Stormy Daniels, che Trump avrebbe fatto nel 2016 tramite il suo ex avvocato Michael Cohen per convincerla a non divulgare un rapporto sessuale avuto con lui una decina di anni prima.
La procura di Manhattan sostiene che il pagamento non sarebbe stato rendicontato correttamente secondo le rigide norme che riguardano le spese dei candidati politici (il pagamento venne effettuato verso la fine della campagna elettorale delle elezioni presidenziali del 2016).
La storia pubblica del caso iniziò nel 2018, quando il Wall Street Journal scrisse per primo di un presunto pagamento fatto all’attrice, il cui vero nome è Stephanie Clifford, in cambio del suo silenzio. Il rapporto sessuale su cui Clifford avrebbe dovuto tacere sarebbe avvenuto nel 2006, quando Trump aveva 60 anni e lei 27: i due si sarebbero incontrati durante un torneo di golf per celebrità in Nevada. Ai tempi Trump era già sposato con Melania Trump ed era molto noto come imprenditore e conduttore del reality show The Apprentice. Stando ai racconti di Clifford, i due avrebbero cenato e fatto sesso (cosa che Trump ha negato) e lui le avrebbe promesso che l’avrebbe fatta partecipare al suo programma, cosa che invece non accadde mai.
Negli anni successivi Clifford provò in più occasioni a vendere a vari giornali e riviste americane la storia del suo incontro con Trump, ma i suoi tentativi non andarono a buon fine. In un caso il giornale che voleva comprare la storia di Clifford contattò Trump per avere la sua versione e tutta la faccenda fu gestita da Cohen, che allora era l’avvocato dell’azienda di Trump, la Trump Organization, ma anche una specie di tuttofare personale di Trump. Cohen minacciò il giornale di fare causa e il giornale decise di lasciar stare. Clifford, da parte sua, raccontò di aver ricevuto minacce nel caso in cui avesse parlato del suo incontro con Trump.
Nel 2015 Trump decise di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti e la storia dell’incontro con Clifford, che continuava a dirsi disposta a raccontare pubblicamente la vicenda, acquisì improvvisamente un peso maggiore rispetto a quello che aveva avuto fino a quel momento.
Il pagamento di 130mila dollari per convincere Clifford a tacere definitivamente sull’incontro sarebbe stato effettuato proprio nel 2016, in piena campagna elettorale per le elezioni presidenziali, poi vinte da Trump contro Hillary Clinton. Sempre nel 2016, Cohen pagò 150mila dollari anche a un’altra donna, Karen McDougal, una ex modella della rivista per adulti Playboy, che voleva vendere ai giornali la storia di una sua presunta relazione con Trump tra il 2006 e il 2007.
Nel 2018, quando la storia del pagamento a Clifford divenne pubblica, Cohen disse di aver pagato Clifford a sue spese, senza essere stato incaricato da Trump e senza mai ricevere alcun rimborso. Successivamente Cohen cambiò versione e sostenne il contrario: che aveva pagato Clifford su ordine di Trump e che lui lo aveva rimborsato. Trump continuò a negare, salvo cambiare versione anche lui pochi mesi dopo, quando ammise di aver rimborsato Cohen per il pagamento dei 130mila dollari.
Il rimborso a Cohen sarebbe stato giustificato come un compenso per una consulenza legale, anche se la somma pagata da Trump a Cohen fu in realtà molto maggiore: 360mila dollari più un bonus di 60mila, per un totale di circa 420mila dollari. Non è chiaro se tutti quei soldi siano stati effettivamente versati a Clifford.
Pagare qualcuno per un cosiddetto non disclosure agreement (un documento che obbliga al segreto) non è di per sé illegale: il problema, secondo la procura di Manhattan che ormai da anni indaga sul caso, è che il pagamento a Cohen per restituirgli la cifra data a Daniels indicava una consulenza legale alla campagna elettorale di Trump, che non era mai avvenuta. Si trattava quindi di un uso illecito dei fondi della campagna. Ad agosto del 2018 Cohen si dichiarò colpevole per questo, e disse esplicitamente che Trump gli aveva ordinato di effettuare i pagamenti «allo scopo principale di influenzare le elezioni».
Cohen fu condannato a tre anni di prigione, trascorsi in parte in carcere e in parte agli arresti domiciliari. Nei confronti di Trump non furono presentate accuse, fino alla riapertura del caso a gennaio del 2023 da parte del nuovo procuratore distrettuale di Manhattan, Alvin Bragg.
Trump è stato incriminato giovedì scorso. Benché si sappia che le accuse riguardano il caso del pagamento a Stormy Daniels, non si sa quali siano di preciso. Un’ipotesi è che Trump sia accusato di non avere rendicontato correttamente il suo pagamento per nasconderlo, oppure di essersi comportato così per nascondere un secondo reato più grave (anche se non è chiaro quale). Trump, nel frattempo, è candidato alle primarie del partito Repubblicano per le elezioni del 2024: sostiene di essere innocente e ha definito le indagini in corso una «caccia alle streghe» per danneggiare la sua carriera politica.