Qual è il problema col PNRR
In realtà ce ne sono molti: alcuni risolvibili a breve dal governo, per sbloccare l'ultima rata di aiuti del 2022, altri più strutturali
Negli ultimi giorni diversi membri del governo di Giorgia Meloni hanno ammesso ritardi e ostacoli nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), il piano del governo italiano su come spendere i finanziamenti stanziati dall’Unione Europea per contrastare la crisi economica dovuta alla pandemia da coronavirus. Il ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto, fra gli altri, ha spiegato che è «matematico» che il governo non riuscirà a raggiungere alcuni degli obiettivi previsti dal piano. Sono timori che circolavano da mesi, ma è la prima volta che il governo li ha esplicitati così chiaramente da quando è entrato in carica, cinque mesi fa.
Il PNRR prevede spese per circa 191,5 miliardi di euro. Questi soldi non arrivano tutti in una volta. Ogni sei mesi la Commissione Europea, che per conto dell’Unione Europea si occupa del monitoraggio dei vari piani nazionali, versa una rata da diversi miliardi in base al rispetto di scadenze e obiettivi imposti all’inizio del piano. Il loro mancato rispetto può far perdere il diritto a ricevere una parte di finanziamento. Più di frequente capita che la Commissione sospenda il versamento della rata per spingere il governo a fare di più per raggiungere gli obiettivi fissati.
È esattamente quello che è successo in questi giorni. In settimana la Commissione Europea ha fatto sapere che esaminerà i risultati raggiunti dall’Italia negli ultimi sei mesi del 2022 soltanto a fine aprile, un mese dopo quanto previsto. E solo allora approverà o rinvierà l’erogazione della rata prevista, che vale 19 miliardi di euro.
Alla base del rinvio ci sono diversi problemi nell’attuazione del piano, sebbene sulla carta i 55 obiettivi previsti dal piano per il secondo semestre del 2022 siano stati tutti raggiunti. Alcuni sono piuttosto circoscritti e dovuti ad alcune perplessità della Commissione su decisioni prese dal governo. Altri sono più strutturali, e sono stati evidenziati di recente anche dal periodico rapporto di revisione dell’attuazione del PNRR realizzato dalla Corte dei Conti.
Le perplessità della Commissione riguardano alcuni aspetti molto precisi. Il Sole 24 Ore spiega per esempio che sono emersi dubbi sia sulla riforma della gestione delle concessioni portuali, che la Commissione giudica troppo generosa per chi vincerà gli appalti, sia sulla fattibilità della costruzione di alcune reti di teleriscaldamento. Poi c’è la questione dei nuovi stadi di Firenze e Venezia, di cui si parla ormai da qualche mese: il governo le aveva inserite nel PNRR, e chiesto fondi per finanziarne in parte la costruzione. La Commissione invece non le ritiene vere e proprie opere di riqualificazione urbana e sociale, motivo per cui ora si discute di una loro possibile esclusione dal PNRR.
– Leggi anche: Perché gli stadi di Firenze e Venezia potrebbero essere esclusi dal PNRR
La Stampa scrive che nei prossimi giorni il governo dovrebbe venire incontro alle richieste della Commissione Europea inserendo alcuni emendamenti sulle concessioni portuali e la realizzazione di impianti di teleriscaldamento nel contesto dell’iter di approvazione parlamentare del decreto-legge che a metà febbraio aveva modificato la gestione del PNRR. Non è ancora chiaro cosa succederà invece ai finanziamenti per gli stadi di Firenze e Venezia.
I problemi strutturali invece sono noti da tempo, e sono stati ribaditi dal rapporto periodico della Corte dei Conti. L’Italia ha tradizionalmente enormi difficoltà a spendere i fondi europei che riceve, soprattutto per via di lacune nelle amministrazioni a livello locale. Circa metà dei finanziamenti del PNRR passano per i Comuni, che in teoria nei mesi scorsi avrebbero dovuto assumere personale specifico per gestire i fondi in arrivo. In realtà i contratti a tempo determinato – il PNRR andrà completato entro il 2026 – non sono risultati particolarmente attrattivi per tecnici e funzionari.
A Livemmo, per esempio, frazione del comune di Pertica Alta, in provincia di Brescia, il PNRR ha stanziato 20 milioni per costruire piste ciclopedonali, ristrutturare edifici per farli diventare alloggi per i turisti, convertire alcuni capannoni abbandonati in luoghi di lavoro per artigiani del legno e produttori di formaggio. Per attuare questi progetti il Comune cercava un geometra e un ingegnere, ma il bando che si è chiuso la settimana scorsa non ha ricevuto alcuna candidatura. «Nella nostra valle c’è tanto lavoro, per cui è normale che si preferisca un contratto nel privato rispetto ad uno che scade nel 2026 e che è poco incentivante sul fronte della retribuzione», ha detto al Giorno Giovanmaria Flocchini, sindaco di Pertica Alta.
Nel suo rapporto, la Corte dei Conti ha notato che le «modalità di reclutamento del personale dedicato al PNRR con formule non stabili hanno fatto emergere non poche difficoltà, per le amministrazioni, nel garantire la continuità operativa delle strutture». In altre parole: finora gli enti locali non sono riusciti a trovare il modo di assumere personale che si occupi in maniera efficiente di gestire i fondi del PNRR.
Questo problema strutturale e irrisolto causa anche una certa difficoltà nell’erogazione dei pagamenti dei progetti, per esempio alle aziende che dovrebbero realizzare i lavori. Nel 2022 poco meno dell’80 per cento dei progetti del PNRR ha ricevuto uno stanziamento definitivo di fondi, ma quello che la Corte dei Conti definisce «tasso di finalizzazione dei finanziamenti», cioè l’erogazione vera e propria dei fondi, è fermo al 41 per cento dei progetti. «Particolarmente a rilento l’avanzamento dei pagamenti nelle missioni legate alle politiche agricole, all’istruzione scolastica e agli interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei Comuni», si legge nel rapporto della Corte dei Conti.
La Corte dei Conti ha anche ipotizzato dei problemi nelle modifiche alla gestione del PNRR, introdotte a febbraio, che di fatto hanno accentrato alcuni poteri in un organo che fa capo alla presidenza del Consiglio, la cosiddetta “struttura di missione”.
«L’importante azione di riorganizzazione richiederà un’attuazione senza soluzione di continuità con gli attuali moduli organizzativi; ciò al fine di evitare che la fase di avvio delle nuove strutture sia caratterizzata da tempistiche e difficoltà simili a quelle già segnalate […] con conseguenti rischi di rallentamenti nell’azione amministrativa proprio nel momento centrale della messa in opera di investimenti e riforme», ha scritto la Corte.