Chi era davvero il presunto assassino del “caso dell’ombrello bulgaro”
Un documentario appena uscito mostra aspetti inediti di uno dei più incredibili omicidi compiuti durante la Guerra Fredda
A metà marzo in Danimarca è uscito un documentario su Francesco Gullino, un agente segreto italo-danese che fu noto col nome in codice “Piccadilly” nonché sospettato di essere l’assassino di Georgy Markov, un dissidente bulgaro ucciso a Londra nel 1978 con una minuscola pallottola avvelenata sparata probabilmente dalla punta di un ombrello. L’episodio fu così insolito ed eclatante da restare noto come il “caso dell’ombrello bulgaro”. Nonostante prove e indizi a suo carico, Gullino non fu mai incriminato per quell’omicidio; fino alla sua morte, nel 2021, di lui si seppe molto poco. Il documentario Paraplymordet, del giornalista danese Ulrik Skotte, mostra lati inediti della sua personalità, tra cui le sue simpatie naziste.
Markov era un giornalista e scrittore molto critico nei confronti del regime comunista bulgaro di Todor Zivkov, affiliato all’Unione Sovietica. Quando fu ucciso aveva 49 anni: viveva a Londra dal 1972, anno in cui il regime lo aveva condannato in contumacia a oltre sei anni di carcere per diserzione, e lavorava per BBC e per Radio Free Europe. Fu avvelenato mentre aspettava l’autobus: un uomo alle sue spalle lo urtò a una gamba con un ombrello, per poi scusarsi e allontanarsi. Nelle ore successive Markov sentì vampate di calore, giramenti di testa, dolore alla gamba colpita e gli salì la febbre: morì quattro giorni dopo per insufficienza cardiaca. L’avvelenamento fu confermato dall’autopsia: nella gamba colpita dall’ombrello fu trovata una micro capsula contenente ricina, una sostanza di origine vegetale letale anche in piccolissime quantità.
Pur chiarendo le cause della morte, le indagini non portarono a individuare un responsabile: Gullino, la persona su cui emersero più indizi, fu interrogato solo nel 1993, quando dopo il crollo dell’Unione Sovietica furono aperti gli archivi della Darzhavna Sigurnost (DS), i servizi segreti bulgari, per cui Gullino lavorava col nome in codice di “Piccadilly”, e che al tempo erano alleati del KGB sovietico. L’interrogatorio durò 11 ore, poi Gullino fu rilasciato per mancanza di prove. Nuovi sospetti emersero nel 2008, grazie a un’inchiesta del giornalista investigativo bulgaro Hristo Hristov, anche in quel caso senza prove sufficienti da portare al suo arresto. Gullino negò per tutta la vita di aver avuto un qualche ruolo nella morte di Markov.
Gullino era nato in Piemonte nel 1945, era rimasto orfano ed era stato cresciuto da una zia che gestiva un bordello. Nel corso delle indagini emerse che i servizi segreti bulgari lo avevano reclutato nel 1971, dopo un suo arresto in Bulgaria per contrabbando di droga. Le informazioni su di lui dicevano che era stato addestrato e mandato più volte in missione, ogni volta con passaporti falsi, e che era stato a Londra per diverse settimane prima dell’assassinio di Markov. Sembra che nel 1977, l’anno prima dell’omicidio di Markov, gli sarebbe stato comunicato che avrebbe partecipato a un tentativo di ucciderlo.
Nel fascicolo dei servizi segreti bulgari su di lui, però, mancano tutte le pagine relative ai giorni dell’omicidio, forse eliminate per far scomparire prove incriminanti sull’operato del regime. Non fu mai possibile insomma dimostrare definitivamente che Markov era stato ucciso da Gullino: il caso fu chiuso nel 2013.
Il documentario di Skotte non contiene prove sul ruolo di Gullino nell’omicidio di Markov, ma dà di lui un’immagine molto più dettagliata e meno evanescente di quella nota finora. Di Gullino si è sempre saputo molto poco: è stato descritto come un personaggio camaleontico e molto ambiguo, adattabile a qualsiasi contesto. «Era un maestro dell’infiltrazione, poteva entrare in qualsiasi tipo di ambiente e diventare la persona che voleva», ha detto Skotte al Guardian.
Il documentario è basato su una grossa quantità di materiale che Skotte aveva ottenuto anni fa dalla famiglia di Gianfranco Invernizzi, un regista italo-danese che conosceva bene Gullino, che voleva fare un film su di lui e che era morto nel 2005. Il materiale consisteva in numerose scatole di documenti, fotografie e registrazioni delle conversazioni tra Gullino e Invernizzi.
Tra le altre cose le scatole contenevano centinaia di fotografie di donne nude, molte delle quali in pose pornografiche, che Gullino – almeno secondo Skotte – aveva scattato spacciandosi per un agente di moda, per poi chiedere favori sessuali alle aspiranti modelle. È un dettaglio notevole: Gullino era sempre stato raccontato da chi lo aveva conosciuto come una persona senza nessun interesse per il sesso.
Di Gullino il documentario racconta anche la sua fascinazione per il fascismo e il nazismo, raccontata da lui stesso in una serie di conversazioni con Invernizzi, registrate a sua insaputa: anche questo è un dettaglio inedito e notevole, considerando che Gullino era una spia al servizio di un regime comunista. Nelle varie scatole ottenute da Skotte c’è un calendario di Benito Mussolini e il Mein Kampf di Adolf Hitler, e una fotografia di una modella avvolta in una bandiera nazista.
Tra le fonti consultate da Skotte, ha raccontato lui stesso, ce ne sono alcune che menzionano informazioni che Gullino avrebbe consegnato al PET, i servizi segreti danesi. Non è chiaro quali siano queste informazioni e Skotte sta continuando a indagare al riguardo: la sua idea, per ora non confermata da prove, è che riguardassero importanti casi al centro di altre indagini e Gullino le avesse cedute in cambio della propria libertà, nonostante le prove sul suo ruolo nell’omicidio di Markov.
Gullino è morto nell’estate del 2021, in Austria, dove viveva da solo: «era la persona più sola del mondo», ha detto Skotte. Il suo corpo fu ritrovato una settimana dopo la sua morte: fu cremato e seppellito in una tomba anonima.
– Leggi anche: Il “caso dell’ombrello bulgaro” è stato chiuso