Il processo a una delle bande criminali più violente di Roma
È il gruppo che aveva sede nel quartiere della Rustica, con un capo che come seconda attività faceva la comparsa cinematografica
Il pubblico ministero Edoardo De Santis ha chiesto 145 anni complessivi di carcere per i 13 membri della cosiddetta banda di La Rustica, un gruppo di trafficanti di stupefacenti noto per essere particolarmente violento. La richiesta del pm è arrivata al termine del processo con rito abbreviato che si sta svolgendo a Roma sulle attività del gruppo, che si chiama così per il quartiere omonimo della periferia romana dove la banda aveva la sede operativa. Durante le indagini è stato scoperto anche un locale dove sono state picchiate e torturate persone che dovevano al gruppo dei soldi. Massimo Carminati, trafficante di droga ed ex terrorista fascista soprannominato “Cecato” per via di una ferita all’occhio sinistro, intercettato nel 2013 disse, parlando della banda: «Quelli so’ brutti forte».
L’uomo individuato come capo della banda di La Rustica si chiama Daniele Carlomosti, 44 anni, detto il “Bestione” o il “Gigante” per via della sua stazza imponente. Lui e le altre 12 persone erano state arrestate nel maggio del 2022. Come seconda attività Carlomosti faceva la comparsa cinematografica: ha partecipato per esempio alla serie Romanzo criminale e a film come Gangs of New York e Come un gatto in tangenziale. Sul suo profilo Facebook, tra centinaia di fotografie di orologi costosi e Rolex, ci sono selfie con vari attori famosi.
Tuttavia secondo le accuse della procura Carlomosti era soprattutto uno dei principali trafficanti di stupefacenti di Roma. Dalla Rustica, nella zona orientale della città a ridosso del raccordo anulare, il gruppo criminale si sarebbe conquistato il dominio del traffico di droga in buona parte della città. La procura cominciò a indagare su Carlomosti e il suo giro da quando nel quartiere iniziarono una serie di sparatorie. A quanto risulta dalle indagini, Carlomosti in passato entrò in contrasto con il fratello Simone e nel 2017 tentò di ucciderlo con colpi di pistola.
Durante una telefonata intercettata Carlomosti disse: «Siamo quattro gruppi che stiamo insieme. Io compro questa parte, l’amico mio fa la parte di Roma Sud e i Castelli e un altro a Cinecittà e quindi quando arriva una cosa ce l’abbiamo tutti noi». In sostanza l’obiettivo del gruppo era controllare direttamente o indirettamente tutto il traffico di stupefacenti in città.
Carlomosti agiva in maniera cauta, senza incrociare le proprie attività con quelle di importanti clan criminali attivi a Roma. Uno dei suoi complici si rivolse per esempio a esponenti del clan Senese per ottenere il permesso di assassinare una persona che doveva alla banda di La Rustica dei soldi. Il permesso venne accordato. Il clan Senese è il gruppo criminale guidato da Michele Senese, detto “o pazzo”, camorrista trasferitosi da Afragola a Roma e considerato uno dei boss criminali più temuti della città.
Allo stesso modo altri criminali chiedevano a loro volta a Carlomosti il permesso per portare a termine alcune operazioni. Lo stesso Fabrizio Piscitelli, detto “Diabolik”, capo della Curva Nord della Lazio e trafficante di droga ucciso il 7 agosto del 2019, aveva chiesto il permesso per spaventare un debitore. Tra le varie alleanze, Carlomosti ne aveva una con Alessandro Corvesi, a sua volta alleato di Elvis Demce, capo di una delle due bande appartenenti alla mafia albanese che si erano combattute per il controllo del traffico di droga dall’Albania a Roma.
Mettendo sotto controllo i telefoni di Carlomosti e dei suoi complici, la procura avrebbe anche scoperto l’esistenza dell’appartamento dove la banda portava i debitori per punirli. Lo fece per esempio l’11 dicembre del 2018 quando un uomo di 49 anni, detto “Fagiolo”, uno spacciatore che doveva alla banda 64mila euro per una partita di droga, era stato spogliato e picchiato per cinque ore. In quell’occasione Carlomosti disse: «A me dieci chili di fumo non li toglie nemmeno Totò Riina». Carlomosti fece preparare l’appartamento con teloni di plastica in modo da non sporcare di sangue pavimento e pareti.
Nell’intercettazione si sente il capo della banda dire «Ti taglio a pezzi e vado a prendere i soldi dalla famiglia tua. Ti sto ammazzando». Poi due complici, noti come Baciccio e Zizzo, avrebbero preso le chiavi dell’uomo per andare a casa sua. Carlomosti diede queste indicazioni: «Voi andate, ha i Rolex. Prendeteli. Io resto, lo lego e gli do due mazzate. Gli devo rompere tutte e due le braccia perché fa il dj». E rivolto a un’altra persona presente nella stanza: «Passatemi il trapano». In quell’occasione il capo della banda avrebbe anche mandato immagini dell’uomo pestato e legato ai suoi familiari. Quella sera “Fagiolo” si presentò all’ospedale Pertini di Roma, barcollante e sanguinante, dicendo di aver avuto un incidente stradale. Nei giorni successivi consegnò ai componenti della banda 21mila euro per pagare in parte il suo debito.
Poco prima che i componenti della banda venissero arrestati, nel maggio del 2022, i Carabinieri riuscirono a bloccare l’acquisto di mille chili di hashish che stavano per essere trasportati dal Marocco in Spagna e poi in Italia con un gommone. In quel caso, su segnalazione degli investigatori italiani, fu la polizia marocchina a bloccare il carico.
A processo con Carlomosti ci sono anche la moglie, Romina Faloci, e la zia, Cecilia Leo: si occupavano della logistica individuando i locali dove venivano tenuti gli stupefacenti. Per il braccio destro di Carlomosti, Fabio Pallagrosi, sono stati chiesti 16 anni mentre per un altro componente della banda, Armando De Propris, la richiesta è di dieci anni. Quest’ultimo è il padre di Marcello De Propris, condannato a 25 anni per l’omicidio di Luca Sacchi, ucciso a Roma nella notte tra il 23 e il 24 ottobre del 2019 vicino al John Cabot Pub, nel quartiere Appio.