Cosa fa Lotta Comunista, oltre a distribuire giornali
Dietro ai giovani educati che fanno proselitismo per strada ci sono un partito organizzato e molte lezioni di marxismo
di Angelo Mastrandrea
Alle 9 di mattina Luca Gabriele, uno studente ventenne di Arte e scienza dello spettacolo alla Facoltà di Lettere dell’università La Sapienza di Roma, riceve una telefonata sul suo cellulare. Lo chiamano dal Circolo operaio di San Lorenzo, un quartiere che si trova tra la stazione ferroviaria Termini, l’università e il cimitero del Verano. Il circolo è una delle due sedi romane di Lotta Comunista, un partito politico che si definisce internazionalista, marxista e soprattutto leninista. Gabriele è un loro militante e per due o tre giorni alla settimana, «a seconda di quanto ho da studiare e degli esami», partecipa alle attività, che vanno dall’aiuto alle persone in difficoltà all’organizzazione di dibattiti e manifestazioni.
Stanno cercando qualcuno che vada a diffondere all’università Lotta Comunista, un mensile di analisi teorica con grandi titoli, una grafica che ricorda i fogli di sinistra degli anni Settanta, articoli che si estendono a tutta pagina, a volte anche su due, senza foto, e un sommario riassuntivo in ultima pagina invece che sotto il titolo d’apertura. Il tempo di prendere un autobus sotto casa, vicino alla stazione Tiburtina, e Gabriele nel giro di un’ora è al circolo, che si trova al pianterreno e nel seminterrato di un palazzo in via di Porta Labicana, una stradina lastricata di sanpietrini che costeggia il lato esterno delle mura aureliane, fatte costruire attorno al 270 dopo Cristo dall’imperatore Aureliano per difendere Roma da una possibile invasione barbarica.
I militanti di Lotta Comunista vengono spesso definiti come “i testimoni di Geova del comunismo” da chi vuole ironizzare sulle loro tecniche di proselitismo, basate su una propaganda capillare affidata a giovani di buone maniere che avvicinano le persone, ci discutono a lungo, raccolgono indirizzi e numeri di telefono per poi ricontattarli o portargli il giornale a casa, e sul settarismo, che li rende una sorta di organizzazione carbonara di cui non si conoscono i vertici. Loro sostengono che a dirigere il partito è il giornale, che funziona da «organizzatore collettivo» con gli articoli che danno la linea e orientano i militanti. Come il partito non ha un segretario ma una sorta di comitato collegiale di cui non si conoscono i componenti, così il giornale non ha un direttore ma una redazione diffusa nei circoli che discute cosa scrivere e l’impaginazione.
«Ogni compagno può proporre un articolo, che poi viene vagliato e discusso prima di essere pubblicato», dice Gian Giacomo Cavicchioli, professore di storia e filosofia in un liceo. L’ultimo numero si occupa dell’anniversario della guerra in Ucraina e sostiene che «l’imperialismo non può garantire la stabilità della spartizione e dell’ordine tra le potenze, come già accadde alla vigilia della Prima e della Seconda guerra mondiale». Per arrivare a questa tesi si utilizzano i Quaderni sull’imperialismo di Lenin, filtrati da uno scritto del fondatore di Lotta Comunista, Arrigo Cervetto. All’interno ci sono articoli con titoli tipo «Lenin e la tattica dei comunisti inglesi» o «’98 di sangue di Bava Beccaris», in riferimento al celebre episodio milanese del 1898, quando una rivolta contro l’aumento del prezzo del pane fu repressa violentemente dal generale Fiorenzo Bava Beccaris, che ordinò di sparare sulla folla anche con i cannoni (morirono 81 civili).
Gli autori sono tutti uomini e questo conferma l’impressione di un partito a netta prevalenza maschile, soprattutto tra chi dirige e prende le decisioni. Gabriele è entusiasta del giornale, nonostante la preminenza di temi legati al passato: «È uno strumento per analizzare la realtà», dice.
«Siamo un’organizzazione di militanza rivoluzionaria: perché dovremmo gridare ai quattro venti nome e cognome dei responsabili?», disse nel 2011 al quotidiano Il Secolo XIX Franco Grondona, all’epoca segretario della Fiom di Genova e operaio all’Ansaldo. «Le origini del nostro partito affondano le radici nella Resistenza, perché i fondatori erano partigiani che ruppero con il Pci dopo la cosiddetta svolta di Salerno del 1944», quando il segretario Palmiro Togliatti approvò la nascita del governo di unità nazionale con tutti i partiti che componevano il Comitato di liberazione nazionale, guidato dal generale Pietro Badoglio, spiega il professor Cavicchioli.
Lotta comunista fu fondata però solo nel 1965 a Genova, quando i fuoriusciti dal Pci, che si erano chiamati Azione comunista, si fusero con un gruppo di operai comunisti libertari espulsi a loro volta dalla Federazione anarchica italiana (Fai) perché erano diventati leninisti e contestavano l’assenza di organizzazione. Il neonato partito contestò al Pci la «deriva stalinista» e ancora oggi ritiene che in Unione Sovietica sia stato realizzato non il comunismo ma un capitalismo di Stato. Tra i simpatizzanti degli inizi c’erano Bruno Fortichiari, uno dei fondatori del Partito comunista d’Italia nel 1921 a Livorno, e il politologo Giorgio Galli. A Genova Lotta Comunista ha ancora il maggior numero di militanti, tra i quali c’è Antonio Benvenuto, il console onorario della Compagnia unica lavoratori merci (Culmv) che rappresenta gli operai portuali, i cosiddetti “camalli”. Ogni primo maggio, festa dei lavoratori, organizzano in città un corteo al quale partecipano migliaia di persone.
Lotta Comunista è un partito che non partecipa alle elezioni. «Fin dall’inizio abbiamo deciso di astenerci», dicono. Uno dei responsabili del circolo di San Lorenzo, Salvatore Poerio, dice che «la maggioranza dei nostri sostenitori è delusa dalla sinistra e noi non chiediamo a nessuno per chi vota». Prediligono l’attività politica svolta nelle loro sedi e con il volontariato, e quella culturale con il giornale e la casa editrice, alle manifestazioni di piazza. «Siamo un’organizzazione sobria, non ci piacciono le urla e le fiammate movimentiste», dicono. Commemorano l’anniversario della Rivoluzione d’ottobre in Unione Sovietica e la festa dei lavoratori il primo maggio, hanno circoli operai in molte città italiane, da Milano a Napoli, e pure all’estero, come a Parigi e a Varsavia, e sono presenti in maniera organizzata in molti luoghi di lavoro, in particolare all’Istat, a Leonardo e a Poste Italiane. «Siamo presenti anche in molte fabbriche del Nord, perché abbiamo scelto di insediarci nei luoghi collegati con il cuore industriale dell’Europa», spiega Poerio.
Dicono di non avere rapporti con nessuna forza politica della sinistra e neppure con altri movimenti della sinistra extraparlamentare. Di solito non partecipano alle manifestazioni, ci vanno solo a diffondere il giornale Lotta Comunista. Tuttavia alla fine di ottobre, quando alcuni studenti contestavano un convegno organizzato alla Sapienza da Azione universitaria, un movimento giovanile vicino a Fratelli d’Italia, hanno preso parte a un’assemblea. «Abbiamo proposto di aprire l’università ai migranti che arrivano in Italia, ma la nostra idea non è stata accolta da nessuno», dice Gabriele. «Siamo isolati da tutti, non ci vogliono», dicono, anche se non sono chiari i confini tra l’esclusione e l’auto-isolamento. Dicono anche di non prendere soldi da nessuno: «Ci teniamo alla nostra indipendenza economica e di classe», spiega Poerio.
«Siamo l’unico movimento di sinistra che fa politica all’interno dell’università, per questo molti ragazzi ci avvicinano», sostiene Gabriele, che contesta ai collettivi studenteschi la mancanza di organizzazione, che a suo avviso non consente di raggiungere alcun risultato. Lotta Comunista è invece gerarchica e procede per obiettivi, i militanti sono invitati a studiare e allo stesso tempo a prestare servizio nei circoli. Per diventare un membro a tutti gli effetti è necessario un periodo di formazione che dura «almeno cinque anni», nei quali si studia, si partecipa alle attività dei circoli e si fa volontariato, che «consente di conoscere la realtà», spiega Gabriele. Andrea Camusi, un altro insegnante di storia e filosofia, spiega che a Lotta Comunista non si sottoscrive nessuna tessera, ma «si viene e si fa». «Nei nostri circoli passano decine di migliaia di giovani», dice, «però c’è forte turn over perché molti, soprattutto tra i più giovani, dopo un po’ abbandonano» perché non riescono a partecipare con costanza.
All’interno del circolo alcuni militanti stanno preparando le copie da portare all’università. Su un tavolo ci sono edizioni in diverse lingue, dal francese al portoghese, dal greco al russo. Dicono di distribuirne 40 mila copie al mese in tutta Italia, vendute a due euro ciascuna davanti a scuole e università, ai supermercati e alle fermate della metropolitana oppure recapitate a casa o lasciate nelle cassette della posta a chi lo richiede. Il ricavato della vendita di quello che Cervetto definiva «l’Economist del movimento operaio» serve a finanziare le diverse attività del movimento, dall’acquisto di cibo e farmaci per le persone in difficoltà alle spese per mantenere le sedi. «Ci riuniamo una volta alla settimana per darci degli obiettivi», dice Gabriele. Ora il principale è far partecipare il numero più alto possibile di studenti a una campagna antirazzista e di solidarietà nei confronti dei migranti. Lo slogan dell’iniziativa è «accogliamo il mondo per cambiare il mondo».
Altri preparano i pacchi con olio, pasta e scatolame da consegnare alle persone che ne hanno fatto richiesta, un’attività cominciata durante la pandemia e che hanno deciso di proseguire anche dopo «perché c’è tanta gente che non ha i soldi nemmeno per comprarsi da mangiare». «Siamo arrivati a consegnarne 1.500 al giorno, e altrettanto ha fatto l’altro nostro circolo romano», che si trova a Monteverde, un quartiere residenziale nella zona sud di Roma, dice Poerio. «Raccogliamo beni di prima necessità e alimenti per bambini per chi è in difficoltà, anche per persone anziane sole che non hanno la forza di uscire a fare la spesa e poi ce la rimborsano», spiega Massimo Ferranti, un impiegato della compagnia telefonica Wind Tre che distribuisce i pacchi nell’area sud-ovest di Roma insieme ad alcuni compagni di lavoro.
Nel suo ufficio il professor Cavicchioli sta invece curando l’edizione completa delle opere di Marx. Si tratta di un’attività che, a suo dire, impiega decine di volontari nel lavoro di traduzione e di editing. «Abbiamo comprato i diritti dei 36 volumi pubblicati dagli Editori Riuniti negli anni Settanta e stiamo traducendo quelli mancanti, per il momento siamo a quota 46, in Italia finora non c’era riuscito neppure il Pci», racconta con orgoglio. Negli scaffali lungo le pareti sono esposte le opere pubblicate dalla casa editrice Lotta Comunista e da una seconda, Pantarei, che fa capo sempre a loro: si va da Engels a Lenin per arrivare agli scritti dei fondatori del partito, il savonese Cervetto e il genovese Lorenzo Parodi, che vengono letti con attenzione e studiati dai militanti insieme ai classici del comunismo.
Verso le 10:30 Gabriele esce dal circolo per andare all’università con il suo pacco di giornali. Attraversa a piedi San Lorenzo, il quartiere “rosso” per eccellenza di Roma, dove avevano la loro sede la federazione romana del Partito comunista italiano, il quotidiano L’Unità e il più grande sindacato italiano, la Cgil, nonché movimenti extraparlamentari come Lotta Continua e Autonomia Operaia. Tra i palazzi che portano ancora i segni dei bombardamenti angloamericani del 1943 si trovano librerie, centri sociali e luoghi di ritrovo anarchici e della sinistra antagonista. Gabriele è a Roma da pochi mesi e non conosce la storia del quartiere, che per molti studenti è solo il luogo della vita notturna universitaria. Ha affittato una camera vicino alla stazione Tiburtina, dove gli affitti costano meno che altrove e da dove può prendere il bus notturno che lo porta al suo paese, Cassano allo Ionio, in Calabria. Per strada racconta che a casa sua non si parlava di politica e di averla scoperta al Liceo classico, studiando filosofia e storia. Poi, appena arrivato a Roma, «un compagno mi ha fermato per propormi Lotta Comunista, chiedendomi se volevo partecipare alle attività del circolo, e io ho accettato», dice.
Era Ahmad Ismaili, un ragazzo laureato in Ingegneria meccanica. «Mi si è presentato dicendo ciao, sono Luca e sono marxista, era la prima volta che mi accadeva, in genere i ragazzi che vengono qui lo fanno per fare volontariato con gli immigrati», dice. Ora diffondono insieme il giornale sotto la Minerva, la statua simbolo della Sapienza che si trova nella piazza al centro della cittadella universitaria. Indossano la cravatta per mostrarsi seri e presentabili e per distinguersi dal cliché del militante di sinistra che veste in maniera trasandata, propongono con garbo il giornale ai passanti, intrattengono conversazioni che a volte durano anche mezz’ora.
Gabriele è un tipo tranquillo e riservato, Ismaili è più spigliato e ironico. Durante una pausa, racconta di essere nato a Roma da una famiglia alawita proveniente da Latakia, la principale città portuale della Siria, e si definisce con una battuta «un siriano di Arco di Travertino», il quartiere della periferia orientale in cui vive. Ha conosciuto Lotta Comunista due anni fa. «C’era la pandemia e avevo voglia di impegnarmi e di fare qualcosa per gli altri», spiega. Da allora è uno dei militanti più attivi e i suoi compagni lo considerano il più bravo a diffondere il giornale. «Quando mi dicono che gli studenti non sono interessati alla politica, rispondo che non è vero perché si fermano in tanti e spesso mi lasciano il loro numero di telefono per essere ricontattati», dice.
Con loro c’è anche Alice Merico, una studentessa di Medicina all’università di Tor Vergata. Proviene da Poggiardo, un paesino del Salento, e i suoi genitori sono sostenitori di Lotta Comunista, per questo «quando sono arrivata a Roma li ho contattati subito», racconta. Chiara Regano, una studentessa romana di Sociologia, diffonde invece il giornale davanti alla facoltà di Scienze politiche. «Vengo da una famiglia di sinistra, mio nonno era del Pci, ho cominciato a prendere il giornale alla stazione di Ostia, dove mi intrattenevo a parlare con loro, mi piaceva quello che dicevano, mi sono incuriosita e ho cominciato a frequentarli», dice.
Alle due del pomeriggio i diffusori, in tutto una decina, si riuniscono per fare un bilancio della mattinata. Non parlano delle copie vendute, ma tirano fuori dei bloc-notes dove hanno annotato le persone che hanno lasciato il numero di telefono per essere ricontattate. Ismaili li raccoglie tutti per portarli al circolo. «Li invitiamo a partecipare alle attività di volontariato, in particolare a una campagna antirazzista e di solidarietà con gli immigrati», spiegano.
Rientrato al circolo, Gabriele dedica il pomeriggio alla distribuzione dei pacchi alimentari. Si fa dare la lista con gli indirizzi e i numeri di telefono delle persone a cui portare i generi alimentari e parte senza concedersi neppure una pausa. L’area da coprire è molto vasta, i tempi di spostamento dipendono dal traffico e c’è bisogno di un’automobile. Si va dal Tuscolano, nel quadrante sud-est di Roma, dove a una donna proveniente dal Bangladesh aggiunge ai beni di prima necessità anche un uovo di pasqua per il suo bambino, al Quarticciolo, una borgata di case popolari costruite durante il fascismo all’estrema periferia orientale, dove il destinatario è un detenuto napoletano agli arresti domiciliari. «Quando invece facciamo le consegne nel quartiere andiamo a piedi», spiega, anche se ogni pacco pesa diversi chilogrammi e non è facile da portare.
Al rientro si fa il bilancio della campagna di reclutamento e si fissano i prossimi obiettivi. In tre giorni sono stati diffusi 26 mila volantini e una persona su tre di quelle avvicinate «ha aderito alle nostre proposte». C’è bisogno di una squadra di militanti che vada a Napoli nel fine settimana ad aiutare la sezione locale nella diffusione del giornale e nella distribuzione dei pacchi, si sta organizzando la manifestazione del primo maggio a Roma e inoltre bisogna «fare 1.500 contatti davanti alle scuole superiori e chiamare 1.300 persone che hanno lasciato i loro numeri di telefono». Si conviene che è necessario «dosare le forze».
Alle 22 c’è il corso di marxismo. Funziona così: si prende un tema di attualità, lo si sviscera attraverso un’attenta lettura dei giornali, non solo quelli italiani, e poi si vede cosa hanno scritto sul tema i fondatori del comunismo e di Lotta Comunista. Il tema del giorno è l’immigrazione e la relazione è affidata a Salvatore Poerio, che siede davanti a una tela rossa con l’effigie di Lenin e un manifesto con lo slogan «prima i proletari» che vuole fare il verso al «prima gli italiani» della destra. A seguirlo ci sono un centinaio di persone. «C’è una classe mondiale che si sposta», esordisce, facendo l’esempio della «macchina invisibile del turismo» in Qatar, per la quale migliaia di lavoratori migranti sono stati impiegati in condizioni, di fatto, di schiavitù.
Per spiegare il fenomeno, utilizza un articolo del New York Daily Tribune nel quale l’autore Karl Marx spiegò che l’emigrazione forzata ha cause inverse rispetto a ciò che si pensa: «Non sono le persone a premere sulle forze di produzione, cioè a emigrare alla ricerca di lavoro, ma sono le forze di produzione a cercare i lavoratori migranti per sfruttarli». Parla poi dei barconi arrivati in Italia e della strage di Cutro, cita Engels sui «milioni di cinesi che saranno costretti a emigrare e verranno in massa in Europa» e apre una lunga parentesi sul razzismo di cui hanno sofferto gli italiani, in particolare in Svizzera. Gabriele segue con attenzione e prende appunti. Nel dibattito che si apre è il primo a prendere la parola. Si è fatta quasi mezzanotte e la sua giornata da militante non si è ancora conclusa.