Perché i biglietti dei concerti sono diventati così costosi
C'entrano il rincaro dell'energia e l'inflazione, ma anche come il mercato della musica sta cambiando le entrate degli artisti
Il biglietto più economico per assistere all’unico concerto italiano estivo del rapper americano Kendrick Lamar, il 17 luglio all’arena di Verona, costa 104 euro. Ne servono 46 per il peggior posto del forum di Assago, il “sesto settore numerato visione laterale limitata”, in occasione del concerto di Madonna il prossimo 23 novembre. Un posto in piedi nel settore più distante dal palco all’Autodromo di Monza per il concerto di Bruce Springsteen a luglio costa 100 euro, nel più vicino 150. Anche per vedere i Coldplay a giugno negli stadi da una buona visuale servono almeno cento euro. E per ascoltare dal vivo diversi artisti italiani, e non soltanto i nomi più noti, servono ormai abitualmente alcune decine di euro.
Negli ultimi mesi chiunque abbia cercato di comprare biglietti per un concerto in programma tra la primavera e l’estate si è probabilmente accorto che i prezzi sono aumentati in modo significativo rispetto agli ultimi anni. Anche se le ragioni possono essere diverse, la crescita riguarda molti paesi del mondo e non soltanto l’Italia: si spiega con una serie di aumenti – cachet degli artisti, allestimento dei palchi, commissioni delle piattaforme per la vendita dei biglietti, spese di viaggio – che tutti insieme incidono sul prezzo finale. Se per alcune di queste voci è piuttosto semplice risalire all’origine dell’aumento, per altre è complesso perché dipendono da fenomeni più generali e difficili da inquadrare, come l’influenza delle piattaforme di streaming e la presenza di poche grandi multinazionali che controllano una quota significativa del mercato della musica.
Anche le conseguenze di questi rincari non sono scontate. I tanti sold out registrati in pochi minuti dimostrano che il prezzo è collegato comunque a una domanda molto intensa, e che ci sono moltissime persone disposte a sborsare un sacco di soldi per i concerti. Da un certo punto di vista, quindi, esiste il mercato anche per biglietti dai prezzi così alti: i concerti citati prima di Springsteen, Madonna e Coldplay sono tutti esauriti (quello di Lamar no, ma era stato in Italia l’anno scorso). Ma ci sono sempre più timori legati al rischio che la maggior parte dei concerti sia ormai riservata soltanto a persone benestanti, e che questa tendenza al rincaro evidente ormai a tutti possa avere gravi conseguenze sulla salute dell’industria musicale sul lungo periodo.
Diversi addetti ai lavori sentiti dal Post dicono che una parte consistente degli aumenti è dovuta alla crescita dei compensi degli artisti, più noti come cachet. Rispetto al 2019, quindi prima dell’interruzione degli eventi dal vivo dovuta alla pandemia, i cachet sono raddoppiati e in alcuni casi triplicati. La sensazione, secondo diversi organizzatori, è che si sia approfittato della necessità fisiologica di adeguarli al costo della vita con un carico maggiore rispetto alla normale inflazione. Vale per tutti gli artisti, italiani e stranieri.
Questo andamento è anche un segnale dell’ormai evidente centralità dei concerti per la sostenibilità economica della musica. In seguito all’espansione delle piattaforme di streaming e al conseguente crollo delle vendite dei supporti fisici e della musica digitale, i concerti sono diventati la principale fonte di guadagno. Gli streaming, infatti, assicurano agli artisti pochi centesimi di euro di guadagno a ogni ascolto, e non hanno compensato nemmeno lontanamente quello che in precedenza si guadagnava dalla vendita dei dischi.
Puntare sui concerti significa anche investire in una produzione sempre più notevole e spettacolare: palchi molto grandi, ballerini e ballerine, luci e sgargianti effetti scenici attirano l’attenzione dei media e del pubblico, e garantiscono che lo spettacolo sia molto documentato sui social network, ma costano moltissimo. Nell’ultimo anno e mezzo la tendenza a prediligere produzioni grandi e costose ha coinvolto soprattutto i grandi nomi stranieri, ma anche diversi artisti italiani.
Una parte dei rincari legati alle produzioni si spiega anche con cause più evidenti e per certi versi universali. Il costo dell’energia e dei carburanti, cresciuto nell’ultimo anno e mezzo soprattutto in seguito all’invasione russa in Ucraina, ha inciso in modo significativo anche sull’organizzazione degli eventi come sul resto dell’economia. Spostare tir carichi di scenografie e impianti audio, bus con tecnici ed entourage costa molto di più rispetto al passato, così come l’energia per allestire un palazzetto o uno stadio, tra le altre cose con affitti più cari.
La pandemia, inoltre, ha costretto moltissimi tecnici rimasti senza lavoro a cambiare professione. Secondo uno studio della fondazione centro studi Doc, una delle cooperative che in Italia organizzano il lavoro dei lavoratori dello spettacolo, tra il 2020 e il 2021 il 30 per cento dei tecnici ha cambiato lavoro. Mancano soprattutto gli operatori che montano i palchi, i fonici e gli addetti al facchinaggio.
Demetrio Chiappa, presidente della cooperativa Doc Servizi, dice che la scarsa disponibilità di tecnici ha influito sui costi in modo relativo, almeno per quanto riguarda i compensi del personale. «La crescita di fatturato tra i nostri soci è stata leggera, meno del 10%. Il problema, semmai, è che la mancanza di lavoratori ha portato più ore di lavoro, con rischi legati alla sicurezza, a cui noi siamo molto sensibili», spiega. «Tra tutti gli aumenti, quelli dei tecnici e degli addetti al facchinaggio sono quelli che incidono di meno, perché rimangono sempre gli ultimi operatori della filiera».
C’è poi un’altra questione che riguarda i cachet degli artisti, cioè la limitata concorrenza nell’organizzazione dei concerti. La maggior parte dei grandi eventi dipende dalle stesse aziende. In Italia, per esempio, operano due grossi gruppi internazionali: l’americana Live Nation e la tedesca Eventim. Quest’ultima negli ultimi anni ha acquisito diversi promoter nazionali come D’Alessandro e Galli, Friends & Partners, Vertigo e Vivo Concerti. Entrambe le multinazionali gestiscono artisti, organizzano concerti e hanno anche piattaforme che vendono biglietti. Nel 2010 Live Nation si è fusa con Ticketmaster, mentre dal 2007 Eventim ha TicketOne.
Le multinazionali hanno soldi e potere per acquistare e gestire in blocco i tour di artisti internazionali, con un notevole vantaggio economico e competitivo rispetto ai concorrenti nazionali, oltre che con una certa libertà di imporre cachet, decisioni e prezzi. «Questa concentrazione del mercato incide perché una multinazionale può fare politiche sovranazionali, per esempio può comprare un artista per tutto il mondo, proponendo contratti più appetibili», spiega Nicola Romani di DNA Concerti, tra le più note agenzie indipendenti di booking e di produzione di eventi. «Per le altre agenzie è molto difficile competere, se non impossibile. Il controllo quasi totale del mercato, compresi i prezzi, è un problema».
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Le multinazionali hanno più possibilità di alzare i cachet degli artisti, anche di nomi non di primo piano, perché hanno un notevole potere economico e possono permettersi di rischiare dei flop. Questo è un vantaggio rispetto agli organizzatori locali che devono per forza far tornare i conti di ogni concerto, fissando prezzi sufficientemente competitivi per essere sicuri di vendere tutti o quasi i biglietti. Il costo dei cachet più alti, anche di cantanti e band non di forte richiamo, finisce inevitabilmente per essere pagato dagli spettatori attraverso l’aumento generale del costo dei biglietti, e l’effetto principale di questa corsa al rialzo è un aumento di tutti i cachet: in sostanza si fissa una soglia economica sotto cui l’intero mercato non può scendere.
Il mercato nazionale è ovviamente influenzato da dinamiche più globali, come le politiche delle piattaforme di ticketing che determinano il prezzo finale dei biglietti, e in particolare l’incidenza delle commissioni. A metà febbraio su questo tema è intervenuto perfino il presidente americano Joe Biden: «Porremo fine alle commissioni di servizio inique sui biglietti per concerti ed eventi sportivi e faremo in modo che le aziende rendano note tutte le commissioni in anticipo», ha detto.
La presa di posizione di Biden finora è servita a poco. La scorsa settimana Robert Smith, il cantante della band inglese dei Cure, ha pubblicato alcuni tweet per dire di essere disgustato in seguito alle lamentele di diversi fan in merito alle commissioni aggiuntive imposte da Ticketmaster sulla vendita dei biglietti per il tour negli Stati Uniti. I Cure avevano scelto di tenere i biglietti a un prezzo abbordabile, intorno ai 20 dollari. Molti fan hanno tuttavia diffuso schermate dei carrelli virtuali di Ticketmaster per denunciare che in alcuni casi i costi di commissione superavano il costo del biglietto. La band ha trattato con Ticketmaster per abbassare le commissioni e la piattaforma ha infine offerto un rimborso calcolato sul prezzo originale.
Anche il cantautore e chitarrista canadese Neil Young ha protestato contro le commissioni troppo elevate. «Ricevo lettere che mi incolpano per biglietti da tremila dollari. Quei soldi non vanno a me. Gli artisti devono preoccuparsi dei fan derubati che li incolpano per le commissioni di Ticketmaster. È finita. I vecchi tempi sono passati», ha scritto Young.
«Gli artisti hanno il pallino in mano e sono loro a determinare tutto ciò che gli altri componenti dell’intera filiera fanno» spiega Claudio Trotta, fondatore di Barley Arts, una delle agenzie più note in Italia che tra le altre cose organizza i concerti italiani di Bruce Springsteen. «Gli artisti possono semplicemente dire di no: no alle speculazioni sulla passione dei propri fan». Alcuni casi virtuosi esistono anche in Italia, anche se non di primo piano e comunque legati prevalentemente a nicchie: i Verdena, storica band di rock indipendente, da sempre cerca di limitare il prezzo dei biglietti. Anche la band Lo Stato Sociale ha scelto di mantenere prezzi popolari per i biglietti del prossimo tour.
Negli ultimi anni Trotta è stato tra gli organizzatori che si sono schierati in modo più deciso contro il secondary ticketing, un’altra delle cause dell’aumento dei prezzi dei biglietti. Con il secondary ticketing, i biglietti dei concerti vengono acquistati da persone o bot automatici che poi li rimettono in vendita su siti come Viagogo a prezzi maggiorati, spesso molto maggiorati. Il risultato è che i biglietti spesso vengono esauriti pochi minuti dopo la messa in vendita, e l’unico modo per trovarli è spendere centinaia di euro: a volte non vengono rivenduti, per cui restano persino dei posti vuoti.
Contro la pratica del secondary ticketing sono state approvate norme apposite, ma di fatto è una pratica che continua a esistere. Lo dimostra un recente provvedimento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), che venerdì scorso ha multato la piattaforma di rivendita di biglietti di eventi Viagogo per 12,24 milioni di euro per violazione delle norme relative al secondary ticketing. Secondo l’Agcom, Viagogo ha venduto quantità «consistenti» di biglietti senza le dovute autorizzazioni, e in alcuni casi a prezzi 10 volte superiori a quelli nominali, di 68 eventi organizzati fra l’aprile e l’ottobre del 2022 in Italia. Tra gli altri ci sono concerti di Blanco, Måneskin, Subsonica e Renato Zero.
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Molte delle strategie adottate per limitare il secondary ticketing si sono rivelate inefficaci o addirittura controproducenti. Una di queste, il cosiddetto dynamic pricing, è un algoritmo che regola il prezzo di un prodotto in vendita online sulla base di quanto le persone (anche una piccola parte) sono disposte a pagare per averlo. È introdotto soprattutto negli Stati Uniti e ha contribuito a far alzare ulteriormente il prezzo dei biglietti. Il caso più noto che mostra le possibili controindicazioni del dynamic pricing riguarda il cantante americano Bruce Springsteen: una parte dei biglietti del suo tour negli Stati Uniti, che avevano un prezzo di partenza intorno ai 200 dollari, hanno raggiunto cifre spropositate, oltre i 5.000 dollari.
Questo sistema non è una novità ed è da tempo molto usato in altri settori dell’e-commerce, come per esempio quello dei voli aerei e delle prenotazioni di alberghi. Anche su Amazon molti prodotti hanno prezzi che variano frequentemente e anche significativamente, proprio perché la piattaforma cerca di guadagnare il massimo seguendo le oscillazioni del loro valore di mercato. In Italia questo sistema non è stato ancora introdotto, anche se diversi addetti ai lavori dicono che è soltanto una questione di tempo. «Personalmente credo che il dynamic pricing sia ancora più dannoso del secondary ticketing», dice Trotta. «Sono seriamente preoccupato per il futuro di maestranze, artisti, strutture e promoter che lavorano in ambiti non di massa e che rischiano di vedere la propria attività danneggiata artisticamente, economicamente e mediaticamente per una probabile assenza di risorse e interesse da parte del pubblico travolto da una offerta le cui modalità influiscono fortemente sulla domanda».
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Nonostante i prezzi molto alti, i biglietti di quasi tutti i grandi eventi in programma nei prossimi mesi in Italia vengono venduti in pochi minuti. C’è quindi un mercato con una domanda, un’offerta e un prezzo che si regolano a vicenda. L’esclusione di molte persone per ragioni logistiche o economiche, tuttavia, è un problema di cui gli organizzatori discutono da tempo, anche se è difficile prevedere quali saranno le conseguenze sul lungo periodo di questa crescita dei prezzi. «Se ci basiamo esclusivamente sul mercato, un biglietto può crescere in modo potenzialmente infinito», dice Romani di DNA. «Anche gli artisti devono porsi questo problema, come hanno fatto i Cure. Il bene offerto, cioè la musica, non può essere legato soltanto al puro consumo. Soluzioni come il prezzo dinamico, per esempio, rischiano di escludere moltissimo pubblico per motivi economici. Gli organizzatori dovrebbero lavorare per garantire un compenso equo all’artista e allo stesso tempo soddisfare il pubblico».
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