Il governo israeliano ha sospeso la contestata riforma della giustizia
Ma cercherà comunque di approvarla entro l'estate: è probabile che le proteste non si fermeranno
Il governo israeliano sospenderà fino all’estate il percorso legislativo della contestata riforma della giustizia, dopo le grandi proteste e lo sciopero generale provocati dal licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant, che si era detto contrario alla riforma. Lunedì sera il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha annunciato con un discorso la sospensione della riforma fino alla fine della sessione della Knesset, il parlamento israeliano, e oltre, così da avere «una vera possibilità di dialogo». Netanyahu ha però aggiunto di non essere disposto a tollerare che «una minoranza di estremisti voglia fare a pezzi il nostro paese e portarci alla guerra civile».
Tra domenica e lunedì decine di migliaia di persone avevano protestato contro la legge, mentre i sindacati e importanti settori imprenditoriali avevano indetto uno sciopero generale. Lunedì, tra le altre cose, i sindacati avevano bloccato l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, il più importante del paese, impedendo tutte le partenze e gli arrivi. Avevano chiuso anche scuole, università, banche, centri commerciali, ambasciate all’estero, mentre ospedali e ambulatori avevano ridotto i servizi al minimo.
La riforma della giustizia, che secondo i suoi critici mette a rischio l’autonomia del sistema giudiziario israeliano, è stata tuttavia soltanto sospesa, e Netanyahu ha promesso ai suoi alleati di estrema destra che sarà approvata entro la fine della sessione estiva della Knesset: il prossimo 2 aprile chiuderà per una pausa tra due sessioni legislative, e si prevede che Netanyahu cercherà di usare questo tempo per raggiungere un accordo con l’opposizione. La questione della riforma giudiziaria si è tuttavia molto polarizzata, ed è probabile che le proteste, che vanno avanti ormai da mesi, non si fermeranno.
La riforma proposta da Netanyahu, di cui una prima parte è già stata approvata, toglie poteri alla Corte suprema per affidarli al governo: prevede tra le altre cose che il governo possa nominare i giudici della Corte Suprema, la rimozione di alcuni strumenti di controllo del sistema giudiziario sul governo e in generale una più ampia libertà dell’esecutivo sulle nomine dei giudici. La riforma è molto contestata perché in Israele, dove non esiste una vera e propria Costituzione, la Corte suprema ha un ruolo eccezionalmente importante ed è uno dei pochi contrappesi al potere del governo in carica.
La possibilità che la riforma potesse essere bloccata o sospesa ha creato enormi divisioni dentro al governo, e la decisione è arrivata dopo lunghi negoziati. Il governo di Netanyahu è composto di un’alleanza tra il Likud, il partito di Netanyahu appartenente alla destra nazionalista, e altri partiti di estrema destra e vicini agli ultraordotossi israeliani. Per tutta la giornata di lunedì gli esponenti dei partiti ultraortodossi della coalizione, per cui la riforma della giustizia è un elemento fondamentale del patto di governo, avevano minacciato di lasciare la maggioranza se la riforma fosse stata bloccata.
In particolare Itamar Ben-Gvir, leader del partito di estrema destra Potere Ebraico e ministro della Pubblica sicurezza, aveva annunciato che si sarebbe dimesso se l’approvazione della riforma fosse stata bloccata. Netanyahu ha trovato un compromesso con Ben-Gvir in cui ha promesso che la riforma sarà in ogni caso approvata entro l’estate, dandogli in cambio la possibilità di creare una nuova milizia nazionale, un corpo armato che sarebbe in un certo senso al comando diretto di Ben-Gvir. Su questa milizia al momento non ci sono molte informazioni.
Poco prima che Netanyahu parlasse, Ben-Gvir ha scritto su Twitter: «La riforma passerà. La milizia nazionale verrà istituita. Il budget che ho richiesto per il ministero della Pubblica Sicurezza verrà approvato nella sua interezza».
La sospensione della riforma è probabilmente il risultato dell’accumularsi delle proteste e delle contrarietà sia tra la popolazione israeliana sia all’interno del governo stesso.
Le dimissioni del ministro della Difesa Gallant, in particolare, hanno creato una serie di reazioni estremamente ampie. Gallant aveva chiesto di fermare la riforma perché costituiva un «chiaro e immediato e tangibile pericolo per la sicurezza dello stato», soprattutto a causa del fatto che centinaia di militari e riservisti si stavano rifiutando di prestare servizio per protesta. Domenica Netanyahu aveva rimosso Gallant dal suo incarico.
L’estensione della contrarietà alla riforma in settori sempre più ampi della società israeliana ha probabilmente preoccupato Netanyahu, che fino a ora aveva sempre ignorato le proteste. È probabile che abbiano contribuito alla decisione di sospendere l’iter della riforma anche le divisioni crescenti all’interno della coalizione di governo. La maggioranza di Netanyahu al parlamento israeliano (64 deputati su 120) è solida per gli standard della politica locale ma non rende il primo ministro immune da eventuali rivolte interne.