Netanyahu vuole andare avanti con la riforma della giustizia, nonostante le proteste
Il primo ministro israeliano lo ha confermato giovedì, dopo la contestata approvazione di una prima parte della legge
Giovedì sera il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, a capo del governo più di destra della storia d’Israele, ha fatto un discorso in televisione in cui ha detto di voler andare avanti con il suo contestatissimo piano di riforma del sistema giudiziario, nonostante le enormi proteste che proseguono da gennaio e che si sono ripetute anche ieri in diverse città israeliane. La riforma vorrebbe togliere poteri alla Corte suprema, che in Israele ha un ruolo eccezionalmente importante, per affidarli al governo. Durante il suo discorso, Netanyahu ha detto che la riforma serve a «rafforzare la democrazia» con un migliore equilibrio tra legislatori eletti e giudici non eletti, e ha aggiunto: «non vogliamo una Corte controllata, ma una Corte equilibrata».
Le proteste di giovedì hanno coinvolto migliaia di persone e portato a 75 arresti: erano già in corso da mercoledì, ma si sono intensificate dopo l’approvazione di una prima parte della riforma, cioè una legge che riduce le possibilità di dichiarare il primo ministro inadatto al suo ruolo. Con la nuova legge, di fatto, il procuratore generale non potrà più rimuovere Netanyahu dal suo incarico, una possibilità di cui si era parlato nei giorni scorsi: Netanyahu è infatti imputato per corruzione in alcuni processi, e la procuratrice generale Gali Baharav-Miara aveva accennato all’eventualità che venisse dichiarato inadatto al suo incarico per l’evidente conflitto di interessi della sua posizione.
La legge è stata approvata dal parlamento dopo ore di dibattito molto intenso, con 47 voti contrari e 61 voti favorevoli: il minimo indispensabile, visto che il parlamento israeliano ha 120 seggi.
La riforma della giustizia proposta da Netanyahu è contestata perché in Israele, dove non esiste una vera e propria Costituzione, la Corte suprema è uno dei pochi contrappesi al potere del governo in carica al momento: chi contesta la riforma ritiene quindi che toglierle poteri sia un pericolo per la democrazia israeliana.
Giovedì, dopo l’approvazione della legge, alcuni organizzatori delle proteste avevano detto di voler “paralizzare” il paese. Ci sono stati scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, che hanno usato cannoni d’acqua per cercare di disperdere le proteste, anche questa volta molto partecipate e trasversali: hanno coinvolto studenti di scuole e università, lavoratori di diversi settori e pensionati.
Tra le altre cose, i manifestanti hanno occupato e bloccato strade di grande scorrimento con pneumatici incendiati, tra cui una delle principali di Tel Aviv e l’ingresso del porto di Ashdod, più a sud. Sono stati bloccati anche alcuni eliporti vicino a Cesarea, dove Netanyahu ha una casa. Un altro gruppo di manifestanti ha protestato davanti a un centro congressi vicino all’aeroporto Ben Gurion, a Tel Aviv, in cui uno dei ministri del governo stava partecipando a un incontro. A Bnei Brak, un quartiere di Tel Aviv abitato prevalentemente da ebrei ultraortodossi, alcuni residenti hanno sparato fuochi d’artificio dagli edifici verso i manifestanti: non ci sono notizie di feriti. Ci sono stati scontri anche a Petah Tikva, sempre vicino alla capitale, tra chi protestava e diversi sostenitori di Netanyahu.
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