In molte sedi locali della Croce Rossa non tornano i conti
Sono indebitate e costrette a tagli del personale, soprattutto per un aumento dei costi e per il mancato adeguamento dei rimborsi
Alla fine del 2022 il comitato locale della Croce Rossa di Pisa, in Toscana, non ha rinnovato dieci contratti a tempo determinato: i dipendenti sono passati da 80 a 70, con un conseguente taglio ai servizi di trasporto in ambulanza e assistenza sanitaria durante le manifestazioni. La riduzione del personale è dovuta alle difficoltà economiche. Con l’aumento del prezzo del carburante e senza un adeguamento dei rimborsi concessi dalla Regione, quasi invariati da dieci anni, è stato complicato far tornare i conti.
Le entrate hanno infine compensato le spese soltanto grazie alla vendita di alcuni immobili dell’associazione. «Non c’erano alternative: per noi è stato molto difficile rinunciare a dieci dipendenti, tra l’altro giovani», dice il presidente del comitato della Croce Rossa di Pisa, Antonio Cerrai. «Nei prossimi mesi sarà sempre più dura, se non cambierà qualcosa». E la sede di Pisa non è l’unica a trovarsi in questa situazione.
Molti altri comitati locali della Croce Rossa (così vengono chiamate le varie sedi) hanno i bilanci appesantiti da molte spese e poche entrate. La condizione di dissesto economico e debiti per centinaia di migliaia di euro, e in alcuni casi di milioni di euro, hanno portato al commissariamento di comitati locali in diverse regioni. Secondo l’ultimo aggiornamento sono 28 i comitati commissariati sui 689 presenti in tutta Italia: è un numero all’apparenza contenuto, in cui però non rientrano i tanti comitati in difficoltà economica e non ancora commissariati.
L’autonomia economica delle sedi locali è iniziata nel 2014 con la privatizzazione della Croce Rossa. Prima della riforma, la Croce Rossa era un’associazione di diritto pubblico non economico organizzata in comitati locali, regionali e in un comitato nazionale responsabile dei conti di tutti i comitati.
Nel primo decennio del Duemila molte ispezioni e relazioni del ministero dell’Economia e della Corte dei Conti evidenziarono una gestione economica approssimativa e alcune irregolarità: la Croce Rossa aveva accumulato debiti per decine di milioni di euro, sempre ripianati dallo Stato. Alla fine del 2009 il bilancio aveva un passivo di 41 milioni di euro.
Uno dei problemi maggiori di questa gestione economica era la scarsa attenzione da parte dei comitati locali, che potevano riversare i debiti sul comitato nazionale e quindi sulla spesa pubblica.
La trasformazione in associazione di promozione sociale di diritto privato impose ai comitati locali di approvare il bilancio come qualsiasi associazione che appartiene al cosiddetto terzo settore. I debiti accumulati nei decenni precedenti sono stati scaricati su una cosiddetta bad company, l’ESACRI, acronimo di “ente strumentale alla Croce Rossa Italiana”. Il ministero dell’Economia è comunque intervenuto garantendo diversi “contributi di riduzione del debito”.
La situazione economica generale è migliorata dal 2020 grazie alle entrate dovute al lavoro svolto durante le prime fasi dell’epidemia, per esempio la gestione del pronto soccorso in Lombardia, l’assistenza sulle navi quarantena, la misurazione della temperatura durante gli esami di Stato.
Oggi la Croce Rossa è un’associazione privata con dipendenti e oltre 150mila volontari che svolge un servizio pubblico essenziale, soprattutto il trasporto di pazienti verso gli ospedali.
Questo servizio garantisce alla Croce Rossa una parte consistente delle sue entrate, assicurate da convenzioni firmate tra i comitati locali e le regioni o con il Servizio sanitario nazionale attraverso gli ospedali e le aziende sanitarie locali. Oltre alla Croce Rossa ci sono anche altre associazioni, come le Misericordie d’Italia e le Pubbliche assistenze. Non esiste un vero tariffario nazionale: la sanità è di competenza delle regioni, per cui ogni comitato firma un accordo che prevede compensi e rimborsi per ogni servizio. «Le nostre tariffe regionali sono state adottate nel 2004, quando il gasolio costava un euro al litro», dice Cerrai, del comitato di Pisa. «Gli attuali rimborsi non bastano a coprire un’ora di servizio in cui lavorano due dipendenti. Dallo scorso ottobre siamo stati costretti a dismettere il servizio di ambulanza da mezzanotte alle 7 di mattina».
Alle entrate contribuiscono anche il trasporto chiesto da privati (per esempio da persone che non possono andare in ospedale in autonomia), l’assistenza sanitaria durante eventi e manifestazioni, e le donazioni. «Che però non sono sufficienti: noi prima della vendita degli immobili di proprietà avevamo accumulato debiti per un milione e 25mila euro», continua Cerrai.
Oltre ai rincari e al mancato adeguamento dei rimborsi, molti comitati pagano errori di gestione e investimenti sbagliati. È il caso del comitato di Como, che negli ultimi anni ha accumulato debiti per 7 milioni di euro soprattutto per via di operazioni immobiliari azzardate. La maggior parte dei debiti è in carico alle banche che hanno concesso mutui per un milione e 800mila euro per la costruzione della sede di Lipomo e di Lanzo d’Intelvi. Fornitori come gli addetti alla manutenzione delle ambulanze e le aziende che ricaricano le bombole di ossigeno sono in credito di altri due milioni di euro.
L’anno scorso, inoltre, la Guardia di Finanza ha sequestrato circa 150mila euro all’ex presidente del comitato di Como, Matteo Fois, e a un dipendente amministrativo. Secondo l’accusa, i due avrebbero ottenuto rimborsi non dovuti, utilizzato buoni pasto dei dipendenti per spese personali, avrebbero rivenduto mezzi donati dai Vigili del Fuoco e pagato veicoli di soccorso più del dovuto in cambio di sconti per auto private.
Il commissario straordinario, Alberto Piacentini, ha assicurato che la Croce Rossa di Como non chiuderà nonostante i debiti. Si sta cercando un modo per ripianarli e tra le ipotesi c’è la vendita della nuova sede di Lipomo al comitato nazionale che peraltro ha un credito di 1,6 milioni di euro nei confronti del comitato locale.
A Pavia la situazione è simile a Pisa. Il numero di dipendenti è lo stesso, 70, e le entrate non compensano le uscite. Nel 2022 il comitato locale ha ottenuto un milione di euro dai servizi di trasporto in ambulanza in convenzione e 800mila dai servizi per i privati. Troppo poco per pagare tutti gli stipendi. Anche a Frosinone la Croce Rossa è indebitata: nel 2020 emerse una gestione poco oculata nei bilanci precedenti e anomalie contabili per oltre 300 mila euro. Lo scorso dicembre i quattro dipendenti sono stati licenziati e dal 2023 il servizio viene portato avanti esclusivamente dai volontari.
In Piemonte il presidente del comitato regionale, Vittorio Ferrero, sta cercando di risolvere i problemi economici di alcuni comitati come Vercelli e Limone Piemonte. Il Piemonte è una delle regioni dove sono presenti più comitati, dipendenti e volontari in rapporto alla popolazione: 94 comitati, 720 dipendenti e oltre 22mila volontari. «Negli anni abbiamo dato una risposta a una sanità che sta cambiando, garantendo assistenza capillare anche nei piccoli comuni e nelle zone di montagna, ma non tutto può sempre andare bene», dice Ferrero. «Talvolta ci possono essere delle difficoltà economiche, anche fisiologiche e dipendenti da situazioni particolari dei comitati o strategie non adeguate».
Ferrero è piuttosto ottimista sulla possibilità di far tornare i conti anche per via del sistema di convenzionamento con la Regione, basato sulla rendicontazione delle spese: se aumenta la spesa per il carburante, aumenta anche il rimborso. Ci sono poi tariffe calcolate con costi base e con rimborsi chilometrici che tengano conto di diversi fattori, tra cui le zone in cui intervengono le ambulanze. In totale la convenzione con la Regione porta ai comitati dai 28 ai 30 milioni di euro all’anno. «La pandemia ha fatto avvicinare molte persone ai nostri comitati», dice Ferrero. «Nel 2021 i volontari hanno svolto 3 milioni di ore di volontariato per un valore di 45 milioni di euro. Nella maggior parte dei comitati locali la generosità delle persone ci ha consentito di far fronte all’aumento delle bollette, dei costi dei materiali e della benzina».