Le rage room servono davvero a gestire meglio la rabbia?
Sono stanze in cui spaccare cose un po' per gioco e un po' per sfogarsi: possono dare sollievo, ma perlopiù momentaneo
Fare attività fisica è considerato uno dei modi più utili per liberarsi dallo stress e in qualche caso anche dalla rabbia, ma c’è anche chi ottiene una sensazione simile dallo spaccare bottiglie o elettrodomestici con un piede di porco fino a ridurli in centinaia di pezzettini. Visto che spaccare cose in casa non è propriamente consigliato, esistono posti in cui lo si può fare legalmente e in sicurezza, le cosiddette “rage room”. Queste “stanze della rabbia” sono promosse come soluzioni per sfogare frustrazioni e aggressività, ma la loro utilità per affrontare i disturbi più seri è dibattuta.
Le rage room sono stanze insonorizzate in cui una persona o piccoli gruppi di persone possono spaccare stampanti, ammaccare lavatrici e colpire bottiglie con mazze da baseball, grossi martelli o sbarre di metallo. Una sessione dura dai 15 minuti in su e il costo varia in base al tempo, al numero dei partecipanti e a quello che si vuole rompere: di solito per poche decine di euro ogni persona ha diritto a una ventina di oggetti generici, come bicchieri, piatti e tazze di ceramica, e a uno o due di medie dimensioni, tra cui vasi, quadri, radio e stampanti. Per un costo extra poi si può richiedere di usare un attrezzo diverso, come una vanga o una mazza da golf, di avere a disposizione oggetti di dimensioni maggiori o ancora di portare le proprie cose da rompere.
Di solito una stanza di questo tipo è grande una quarantina di metri quadrati ed è rivestita di pannelli fonoassorbenti e protettivi sia sulle pareti che a terra. Quando viene usata, partono canzoni di musica hard rock che servono a dare la carica e fanno da sottofondo a piatti che volano, monitor presi a mazzate e bottiglie ridotte in frantumi. La musica, a volumi piuttosto alti, serve a coprire il rumore degli attrezzi che sbattono contro le cose, ma anche le urla o le ingiurie di chi le sta spaccando: le rage room sono pensate per essere luoghi per così dire privati, in cui è lecito fare qualcosa che normalmente sarebbe proibito o comunque sconveniente.
Per accedere alle stanze è necessario indossare casco, guanti e protezioni per il corpo, e rispettare alcune norme di sicurezza, tra cui – ovviamente – non avere comportamenti violenti nei confronti di altre persone. Il personale controlla attraverso telecamere che chi è all’interno della sala non diventi troppo aggressivo, e nel caso interviene.
Alcuni fanno risalire l’origine delle rage room al 2008, quando a Tokyo fu inaugurato un locale in cui era possibile lanciare tazze e piatti contro un muro per sfogare lo stress. Negli anni seguenti spuntarono posti simili anche in altri paesi, dove le cose si potevano spaccare con l’ausilio di attrezzi vari sempre per motivi analoghi. A partire da una decina di anni fa furono aperte rage room negli Stati Uniti, in Argentina, nel Regno Unito e anche in Italia: la prima fu la Camera della rabbia a Forlì, nel 2013, e poi ne seguirono altre, per esempio a Roma, a Bologna e a Bari. Oggi quelle sono state chiuse, ma ne sono state aperte di nuove in diverse città tra cui Milano, Torino e Genova.
È difficile dire con certezza cosa porti una persona a provare una rage room e stabilire a che pubblico si rivolga. Un cliente che è stato con la moglie e il figlio da Anger Games, un’azienda con diverse sedi in Italia, dice di essere stato spinto dalla rabbia, mentre una donna che l’ha provata insieme alla figlia adolescente e a un’amica aveva la curiosità di sapere che sensazione si provasse a fare qualcosa che di norma non si può fare. C’è insomma chi vuole provare una cosa insolita un po’ per gioco e chi effettivamente cerca un modo per sfogare lo stress o una sofferenza più complicata da affrontare, come un lutto.
Daniele Boccardi e Gabriele Uperi, gli addetti di una rage room di Milano, dicono che chi ci va per la prima volta all’inizio sembra sempre un po’ stranito ed è spesso in imbarazzo all’idea di cominciare a spaccare tutto, ma poi ci prende la mano piuttosto in fretta. Alcuni di quelli che hanno provato l’esperienza in una sera infrasettimanale di marzo raccontano di aver trovato quasi frustrante non essere riusciti a “completare il lavoro”, spaccando del tutto un monitor o una statuetta più solida del previsto. Tutti comunque dicono di essersi sentiti soddisfatti, un po’ più rilassati, e che lo rifarebbero anche subito.
Per Danny Defabiani, il gestore di un ristorante in provincia di Vercelli, è stato per esempio «catartico» poter spaccare le bottiglie di vetro, che gli ricordavano il suo lavoro. Boccardi racconta anche di una donna sui 60 anni che aveva avuto un lutto in famiglia, e che gli disse di essere rimasta profondamente sorpresa dall’esperienza: sapeva che spaccando cose nella rage room «non si sarebbe risolto tutto, ma disse di vederlo come un punto di inizio».
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A volte le rage room sono utilizzate per il cosiddetto team building, cioè le attività pensate per rafforzare lo spirito di gruppo tra colleghi o collaboratori. In qualche caso invece sono gli psicoterapeuti a consigliare di provarle ai pazienti che hanno problemi di gestione delle emozioni, con l’idea che siano posti in cui poter sfogare la rabbia in maniera controllata.
Sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito è stato osservato che la maggior parte delle persone che frequentano le rage room è composta da donne, una tendenza confermata anche da chi le gestisce in Italia (gli addetti di Anger Games dicono che sono il 60-70 per cento). Un motivo potrebbe essere il fatto che uomini e donne tendano a gestire lo stress in maniera diversa, come spiega uno studio dell’American Psychological Association, l’organizzazione che riunisce gli psicologi negli Stati Uniti. A livello generale infatti è più frequente che i primi sfoghino lo stress attraverso l’attività fisica, mentre le seconde parlando o sfogandosi con altre persone.
Uno studio condotto nel 2015 dall’Università statale dell’Arizona in collaborazione con l’Università dell’Illinois a Chicago ha evidenziato che inoltre le donne tendono a essere giudicate più negativamente rispetto agli uomini quando esprimono rabbia. Per questi motivi, c’è chi ha ipotizzato che le rage room possano essere percepite dalle donne come luoghi generalmente più riservati per sfogare le proprie frustrazioni, perché non sono viste, sentite né giudicate da nessuno, come accadrebbe nella quotidianità.
Sono poche le persone che ritornano più di una volta, ma in qualche caso succede, raccontano gli addetti della rage room di Milano, che comunque di norma ha una coda di circa un mese nelle prenotazioni. Sia Boccardi che Uperi dicono di non aver mai visto comportamenti eccessivamente violenti né grossi incidenti: nonostante le protezioni qualche taglio è comunque possibile procurarselo.
Da un lato, l’idea che sfogare le emozioni attraverso il proprio corpo possa avere effetti positivi non è nuova. Dall’altro, vari psicoterapeuti sostengono che spaccare cose dia un senso di soddisfazione solo temporaneo, ma che sul lungo periodo possa essere pericoloso.
Nella sua definizione più condivisa, la rabbia è un’emozione che insorge in vari tipi di situazioni, come quando non si riesce a soddisfare un proprio bisogno, non si riceve una ricompensa che si ritiene meritata o ci si sente trattati in maniera iniqua. Spesso si tende a percepirla come un’emozione negativa, ma come spiega la psicoterapeuta Sabrina Verderio ha una sua utilità: può motivare una persona a fare una cosa che altrimenti non avrebbe fatto e può pertanto trasformarsi in gesti e azioni positive. Se non espressa in maniera costruttiva e gestita in maniera adeguata, però, può portare a manifestare comportamenti aggressivi.
In un libro dedicato alle tecniche su come affrontare lo stress quotidiano, i professori di psicologia statunitensi Charles Brooks e Michael Church scrivono che «non c’è dubbio» che sfogare la propria aggressività su oggetti inanimati come si fa in una rage room possa provocare «un effetto di immediata soddisfazione». Il problema tuttavia è che questo senso di soddisfazione è solo temporaneo. Secondo lo psicologo Kevin Bennett, docente all’Università statale della Pennsylvania, il fatto è che mettersi a colpire oggetti inanimati può portare una persona a trasformare le proprie frustrazioni in gesti di violenza fisica ogni qualvolta si provino rabbia o ansia, nell’errata convinzione che sia un modo per sfogarle in maniera sana e definitiva.
Come ha riassunto la psicologa clinica Ramani Durvasala, insomma, «dal momento che la rabbia è un fenomeno così variegato, una rage room potrebbe essere una valvola di sfogo» per chi è in grado di gestire le proprie emozioni in maniera efficace, ma «potrebbe semplicemente rendere più persistente la rabbia» in altre persone.
È d’accordo anche Verderio, che pur riconoscendo l’utilità di sfruttare il corpo per gestire le emozioni nota che il gesto di distruggere cose non sembra una strategia adatta per risolvere rabbia, ansia o frustrazioni in maniera duratura.
Verderio si occupa da dieci anni di “mindfulness”, una forma di meditazione che deriva dal buddismo e che, spogliata da elementi religiosi, viene usata per il trattamento di stress, depressione e altri disturbi di salute mentale. Dal 2017 inoltre si dedica all’analisi bioenergetica, un metodo di psicoterapia che integra proprio esercizi corporei ai tradizionali colloqui verbali di psicoterapia. Una persona che fa terapia con questo approccio viene per esempio invitata a inginocchiarsi e battere i pugni su un materasso, e al termine dell’esercizio commenta le sue sensazioni durante l’esecuzione di quei gesti con uno psicoterapeuta.
Secondo questo metodo, in questo modo è possibile canalizzare in maniera efficace rabbia, ansia o frustrazioni in gesti precisi e controllati, acquisire consapevolezza delle proprie emozioni e al tempo stesso sciogliere le tensioni accumulate a livello fisico.
Uno studio comparativo pubblicato nel 2022 sulla rivista Current Psychology suggerisce invece un approccio un po’ diverso. Basato sull’analisi dei risultati di 46 studi clinici su vari aspetti relativi alla gestione della rabbia, lo studio conclude che il percorso più efficace per gestire e prevenire la rabbia combina la mindfulness e la terapia cognitivo-comportamentale, uno degli approcci di psicoterapia più diffusi, che punta ad aiutare una persona a individuare i propri comportamenti ricorrenti e le proprie modalità di ragionamento o interpretazione della realtà, con l’obiettivo di sostituirli o integrarli con altri più funzionali.
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