Nell’editoria per ragazzi il dibattito sulle modifiche ai libri di Roald Dahl non è cosa da poco
Scrittori e addetti ai lavori discutono e si interrogano sulle conseguenze che avranno o potrebbero avere su un intero settore
di Ludovica Lugli
Nell’ultimo mese le modifiche ai libri per ragazzi del celebre scrittore Roald Dahl, decise dall’editore britannico insieme alla società che ne detiene i diritti d’autore per rimuovere dettagli ritenuti offensivi per le sensibilità contemporanee, hanno ispirato un intenso dibattito tra addetti ai lavori dell’editoria e no. La discussione ha riguardato i principi della libertà d’espressione, la legittimità di censurare e intervenire su opere del passato, il ruolo e gli eventuali scopi dei libri per l’infanzia e l’opportunità di esporre i bambini a contenuti che oggi sono considerati più problematici di un tempo. Ma soprattutto all’estero sono state analizzate le ragioni commerciali della decisione, e quello che rivelano sull’industria culturale contemporanea.
Il dibattito si è svolto tra scrittori e altri addetti ai lavori dell’editoria per l’infanzia, molti dei quali ne hanno discusso la prima settimana di marzo alla Bologna Children’s Book Fair, la più importante fiera internazionale di libri per ragazzi, che ha organizzato diverse conferenze su questo tema e altri collegati, che si sono aggiunte a un gran numero di opinioni pubblicate sui media. Se la maggior parte dei commentatori ha espresso vari gradi di scetticismo sulle modifiche, c’è anche chi ne ha ridimensionato la rilevanza, oppure ha ritenuto che, pur non condividendole, iniziative di questo tipo contengano elementi di ragionevolezza di cui vale la pena quantomeno discutere.
Dahl è l’autore di La fabbrica di cioccolato e Il GGG, tra gli altri, ed è morto nel 1990. I suoi romanzi per ragazzi sono ancora acquistati e letti da moltissime persone nel mondo. Netflix, che dal 2021 possiede la Roald Dahl Story Company, la società che controlla e gestisce i diritti d’autore, sta lavorando a una serie di nuove trasposizioni delle sue storie.
Le modifiche ai testi, che sono perlopiù di entità ridotta ma molto numerose, sono state fatte perché continuino a essere «apprezzati da tutte le persone anche oggi», ha detto l’editore Puffin Books: riguardano ad esempio il frequente uso degli aggettivi «grasso» e «brutto» che nelle storie di Dahl, che quasi sempre parlano di una rivalsa dei protagonisti bambini contro chi li ha maltrattati crudelmente, sono spesso associati a personaggi, generalmente adulti, con caratteristiche morali negative. Non cambiano le trame dei libri, ma in molti casi spostano il punto di vista implicito del narratore e cambiano il significato delle frasi in cui sono state inserite. Di molte è facilmente comprensibile il fine, mentre altre sono state giudicate meno sensate anche da chi era meglio predisposto verso questo tipo di intervento. Ad esempio è stato rimosso l’aggettivo “nero” riferito al cappotto («palandrana» nella traduzione italiana) del GGG.
Nel mondo, e in Italia in particolare, la stragrande maggioranza degli scrittori e delle persone che hanno commentato la questione si è concentrata sul fatto che Puffin Books e la Roald Dahl Story Company hanno cambiato le parole di un autore morto e che dunque non poteva dare il proprio consenso all’operazione. Questa scelta è stata considerata una violazione della libertà d’espressione e quindi duramente criticata, al punto che, pochi giorni dopo l’articolo del Telegraph che aveva reso note le modifiche, Penguin Random House, il grande gruppo editoriale a cui appartiene Puffin Books, ha annunciato che pubblicherà una collana di 17 libri di Dahl nella versione originale, in aggiunta a quelli modificati.
Tra gli altri si è espresso contro l’operazione Salman Rushdie, scrittore noto in tutto il mondo anche in quanto vittima di persecuzioni dovute alle sue parole. Rushdie ha ricordato che Dahl, come persona, potrebbe essere criticato per molti motivi – è noto che avesse idee antisemite e comportamenti prevaricanti nei confronti di quelli con cui lavorava, tra le altre cose – ma non per questo, secondo lui, bisognerebbe cambiare ciò che scrisse. «Roald Dahl non era un angelo, ma questa è una censura assurda. Puffin Books e i gestori dei diritti di Dahl dovrebbero vergognarsi», ha commentato.
È stato ricordato anche che a Dahl capitò di modificare una parte di un suo libro dopo aver ricevuto delle grosse critiche. Il libro era La fabbrica di cioccolato, uscito nel 1964: nella prima versione gli Umpa-Lumpa, i lavoratori della fabbrica di Willy Wonka, erano descritti come uomini neri di bassa statura che l’imprenditore dolciario aveva incontrato in Africa. Quando nel 1970 si seppe che dal libro sarebbe stato tratto un film, la National Association for the Advancement of Colored People (NAACP), una delle più importanti organizzazioni per i diritti civili degli Stati Uniti, disse che la storia degli Umpa-Lumpa evocava la schiavitù delle persone africane. Dahl disse che non c’era un intento razzista nella storia, ma decise di cambiare la descrizione dei personaggi nella successiva edizione del romanzo (del 1973) togliendo i riferimenti all’Africa e al colore della pelle degli Umpa-Lumpa, diventati a quel punto esseri fantastici.
Inoltre si sa che nella fase di editing – cioè di rifinitura del testo – precedente alla pubblicazione di molti suoi libri, le case editrici chiesero a Dahl di rendere meno cattivi o moralmente criticabili vari suoi personaggi, cosa che in alcuni casi lui accettò. Tra questi ci fu la signorina Dolcemiele di Matilde, un personaggio positivo, che nelle intenzioni originali era povera perché aveva perso il proprio denaro giocando d’azzardo. Tuttavia su molti altri aspetti dei suoi romanzi criticati già quando lo scrittore era vivo Dahl non accettò di fare revisioni, per questo chi ha criticato le modifiche della Puffin Books e della Roald Dahl Story Company dice che è evidente che lui non le avrebbe accettate.
In Italia Pierdomenico Baccalario, affermato scrittore per ragazzi, ha organizzato una petizione online contro le modifiche che ha raccolto più di novemila adesioni ed è stata firmata tra gli altri da Mariagrazia Mazzitelli, direttrice editoriale di Salani, la casa editrice che pubblica le traduzioni italiane dei romanzi per ragazzi di Dahl.
A inizio marzo sia Baccalario che Mazzitelli hanno partecipato a una conferenza riguardo agli interventi editoriali sulle opere di autori morti e sui classici organizzata nel corso della Bologna Children’s Book Fair. Baccalario ha ricordato come alcuni anni fa Mazzitelli gli avesse detto che se un romanzo di Dahl arrivasse oggi da un editore, inedito, sarebbe difficilmente pubblicato senza modifiche. Mazzitelli ha risposto che il ruolo dell’editore è proprio quello di decidere come un testo ancora da pubblicare debba essere migliorato, ma che nel caso di Dahl si parla d’altro: «Cambiando i suoi testi si va contro la libertà d’espressione. Una libertà che prevede anche di spiegare ai bambini che la vita in passato era diversa, e che la civiltà non è comparsa improvvisamente, ma lentamente. La letteratura accompagna lo sviluppo della civiltà».
Mazzitelli ha firmato la petizione di Baccalario a titolo personale, mentre Salani, che ha solo i diritti sulle traduzioni italiane, non ha per ora commentato la vicenda.
– Leggi anche: La fiera di libri per ragazzi a cui non sono ammessi i ragazzi
Anche Bianca Pitzorno, i cui romanzi per ragazzi sono stati apprezzati da generazioni di bambini italiani, si è espressa contro le modifiche ai libri di Dahl: «Trovo pazzesca l’operazione di revisione del testo. La sua particolarità è che era crudele, non risparmiava ai bambini le brutture della vita. Per questo piace tanto. Io non permetterei mai una cosa simile ai miei libri per bambini, la considero una censura inaccettabile. E vieterò per testamento che lo facciano i miei eredi».
C’è però chi la pensa diversamente. Sul suo profilo su Facebook e anche a Bologna Davide Morosinotto, un altro affermato scrittore per ragazzi che appartiene a una generazione più giovane di Pitzorno (lei ha 80 anni, lui 43), si è detto favorevole alle modifiche ai testi di Dahl, e in generale agli adattamenti di romanzi meritevoli del passato, se sono necessari a far sì che i ragazzi continuino a leggerli e capirli in futuro.
Li ha paragonati alle fiabe, il cui racconto nel tempo è stato più volte cambiato, e ha osservato che quando i libri sono tradotti da una lingua all’altra, le modifiche di “aggiornamento” linguistico avvengono spesso: «È normale che un editore ogni tot di anni “svecchi” le traduzioni facendole rifare da zero per adattarle al linguaggio corrente, e invece l’originale non possa essere toccato. Cosicché, leggendo che so il Giornalino di Giamburrasca, ci ritroviamo davanti ancora oggi incomprensibili lapis e arcaici giuochi con la u, che da bambino mi avevano lasciato tanto perplesso. In questo modo facciamo un servizio all’opera di Vamba? Direi di no». Molti hanno obiettato notando che le fiabe sono per loro natura racconti orali, nati e tramandati dalla collettività, non scritti, e dunque fissati da qualche parte e con un autore preciso. Bruno Tognolini, un altro noto scrittore per ragazzi, ha aggiunto: «Anche le storie scritte cambiano, se sono vive: ma nella mente dei lettori, non nella stampa».
È comunque innegabile che oggi alcuni romanzi per ragazzi del passato sono molto più conosciuti nei loro adattamenti cinematografici (e nelle derivate riduzioni in forma di libri) realizzati da Disney: è il caso dei romanzi su Peter Pan di James Matthew Barrie, di Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie e del suo sequel di Lewis Carroll e di Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino di Carlo Collodi (che ha avuto poi molti altri adattamenti).
Nel Regno Unito, paese di Dahl e di Puffin Books, e negli Stati Uniti, si è discusso anche del ruolo di Netflix nella vicenda delle modifiche ai testi di Dahl, e delle dinamiche economiche e commerciali che coinvolge.
Lo scrittore americano Christian Lorentzen, che ha tra i suoi libri più venduti una riscrittura in inglese contemporaneo (con testo originale a fronte) di Romeo e Giulietta di William Shakespeare, ha sottolineato che anche se in un certo senso le modifiche sono una violazione della libertà d’espressione, sono state fatte da chi ha il diritto legale di farlo in quanto detentore della proprietà intellettuale delle opere. «I morti non controllano più ciò che hanno creato. Kafka voleva che tutti i suoi scritti fossero bruciati e Max Brod gli disobbedì, e così conosciamo l’opera di Kafka. Sì, hanno compiuto una censura morale, ma lo stanno facendo per preservare una vacca da mungere di proprietà intellettuale nel maggior numero di piattaforme possibili per tutto il tempo che possono», cioè prima che i libri di Dahl finiscano nel pubblico dominio tra vari decenni.
La Roald Dahl Story Company ha voluto precisare che la revisione del linguaggio usato da Dahl, mirata a rimuovere le parole che potessero essere considerate offensive, era iniziata prima che Netflix la comprasse. Ma secondo Lorentzen è possibile che gli eredi dello scrittore avessero avviato l’operazione proprio in vista della vendita alla piattaforma di streaming, come si ristruttura una casa che si vuole vendere per ottenere un guadagno maggiore.
Anche la giornalista della rivista britannica New Statesman Anna Leszkiewicz ha dato molta importanza a questo aspetto nell’analizzare quanto successo: «La proprietà intellettuale e l’espansione degli “universi” narrativi che attraggono sia i bambini che gli adulti nostalgici sono alcune delle risorse di maggior valore a Hollywood. In questo panorama mediatico è più interessante risistemare la letteratura che c’è già per armonizzarla con i valori che cerca, piuttosto che investire in nuove storie».
Secondo Leszkiewicz, peraltro, l’operazione può arrivare al massimo fino a un certo punto. Per quanto la Roald Dahl Story Company abbia cercato di cambiare i libri di Dahl perché abbiano le «qualità che le grandi aziende mediatiche chiedono ai contenuti per bambini», e cioè «“la rilevanza per il presente”, “la gentilezza” e “l’impatto positivo”», non è possibile rimuovere la «cattiveria» dai romanzi dello scrittore perché lo spirito delle sue storie è «spinoso, problematico e cattivo senza rimorsi». «Lì sta sia la sua attrattiva per i bambini sia ciò che noi, come genitori o adulti, troviamo sgradevole o addirittura repellente della sua opera e della sua vita personale».
In Italia ha parlato di questo conflitto Giovanna Zoboli, fondatrice di Topipittori, una casa editrice di libri per l’infanzia, che in un articolo su Doppiozero ha scritto: «Muoversi nel campo della letteratura per ragazzi impone scelte etiche ed estetiche quotidiane, soprattutto in relazione alla vendibilità dei prodotti. È facilissimo risultare scomodi, non graditi, essere percepiti come difficili, impopolari, incomprensibili. Banalizzare forme e contenuti è una prassi costante in un mercato che porta in palmo di mano i mediatori adulti, le loro esigenze e la loro scarsa conoscenza e attenzione verso i libri per ragazzi, e che tende a considerare i lettori bambini come una lucrosa fascia di consumatori a cui puntare nel modo più facile e sicuro».
Secondo Zoboli inoltre il paragone tra le modifiche ai libri di Dahl e le nuove versioni delle fiabe, ma anche le riscritture della Disney, non torna del tutto. Da un lato perché gli adattamenti hanno spesso lo scopo di rendere «leggibili a un pubblico di lettori inesperti» le opere del passato, non di renderle «non offensive». Dall’altro perché a suo dire l’appropriazione praticata dalla Disney è dichiarata: «Non erano più Pinocchio e Biancaneve, quelli che i cartoni animati raccontavano, erano Disney, al punto che oggi milioni di persone sono convinte che le storie originali siano opera del brand».
Solo una parte minoritaria dei numerosi interventi sul caso dei libri di Dahl si è spinta a mettere in discussione il valore delle sue opere. Lo ha fatto un po’ Philip Pullman, l’autore della Bussola d’oro e di tanti altri apprezzati romanzi per ragazzi, che durante un’intervista con un programma radiofonico di BBC ha lasciato intendere di non apprezzare i romanzi di Dahl per il loro valore artistico. «Le modifiche non hanno grandi conseguenze sulla letteratura. Se Dahl ci offende, facciamolo finire fuori catalogo. Leggiamo piuttosto tanti altri autori meravigliosi che scrivono oggi e che sono trascurati per l’immensa gravità commerciale di nomi come quello di Roald Dahl. (…) Non stiamo parlando di grandi libri come Oliver Twist, ad esempio, ma di narrativa per ragazzi molto popolare», ha detto.
Di recente vari recensori esperti di letteratura avevano avanzato critiche simili in occasione dell’uscita di una nuova biografia di Dahl, Teller of the Unexpected: The Life of Roald Dahl di Matthew Dennison. Alcuni avevano espresso un disagio di fronte alla cattiveria delle storie di Dahl, che è stata talvolta messa in relazione alla sua biografia e in particolare ai soprusi che lo scrittore subì da ragazzo nelle scuole private inglesi che frequentò, e che aveva romanzato nell’autobiografia per ragazzi Boy.
– Leggi anche: È il grande momento dei romanzi rosa
Tra gli stand della fiera di Bologna invece un altro tema molto affrontato, di maggiore interesse per gli addetti ai lavori dell’editoria per l’infanzia ma più complesso da inquadrare, è quello dello scopo in generale dei romanzi per ragazzi e del loro ruolo nella cultura generale.
«Per me è stato un déjà vu perché questo dibattito si è già fatto più volte in Germania per casi simili», racconta Doris Breitmoser, direttrice dell’Associazione per la letteratura per bambini (AKJ), un’organizzazione tedesca. «È complicato prendere posizione perché da un lato c’è un’opera, un’opera d’arte, se si riconosce la letteratura per l’infanzia come letteratura, che dunque non dovrebbe essere censurata. Dall’altro ci sono gli interessi dell’autore, o dei suoi eredi, dell’editore e del pubblico. E nel caso della letteratura per l’infanzia il pubblico è particolare: non sono solo i bambini, quelli a cui il libro è indirizzato, ma anche chi compra il libro, cioè i genitori, che insieme a editori, bibliotecari e insegnanti filtrano i libri che arrivano ai bambini, fanno gatekeeping».
Sui social network vari genitori, anche italiani, hanno espresso un parere relativamente positivo sulle modifiche sui testi di Dahl, raccontando di essersi trovati in difficoltà leggendoli ad alta voce ai propri figli, arrivando a censurarne delle parti. «L’editoria per l’infanzia reagisce molto velocemente allo sviluppo della società perché vogliamo che i bambini si identifichino nei libri e che ci riconoscano il loro mondo, ma quando un libro ha 50 anni è chiaro che molte cose non funzionano più», continua Breitmoser.
Il punto è che non è facile mettersi d’accordo su quale sia lo scopo dei romanzi per ragazzi, e su quale sia il ruolo e il livello di consapevolezza e maturità da attribuire ai ragazzi come lettori. Nicola Galli Laforest di Hamelin, un’associazione di Bologna che dal 1996 si occupa di educazione alla lettura di bambini e ragazzi, commenta: «Quando “puliamo” un testo stiamo dicendo che i lettori non sono in grado di capirlo. Può anche darsi che alcuni non lo siano, ma ci stiamo prendendo noi il diritto di decidere per tutti quanti». Galli Laforest dice di essere impaurito da un dibattito senza sfumature, e riferendosi alle modifiche ai testi di Dahl ritiene che mentre alcune sono «stupide e inaccettabili», di altre «si potrebbe discutere».
«Ad esempio, in Matilde sostituire “padre” e “madre” con “genitori” la vivo come una violenza perché il personaggio di Matilde ha un padre e una madre», ha continuato: «Vale più l’atto estetico o quello morale? Nel mondo dei libri per ragazzi non se ne esce. In Italia in particolare nella bilancia tra pedagogia ed estetica che esiste da sempre nell’editoria per ragazzi prevale la prima, e infatti nelle scuole si leggono soprattutto libri a tema, ad esempio sulla mafia, sul bullismo, eccetera. Io ho il terrore che così si trasmetta l’idea che leggere sia solo quella cosa lì».
Anselmo Roveda, scrittore e coordinatore redazionale di Andersen, mensile dedicato a letteratura e illustrazione per l’infanzia, ha opinioni simili: «Non si dà al lettore della letteratura per l’infanzia il diritto all’intrattenimento o a un momento estetico, non gli si dà il pieno potere interpretativo». Si tende a pensare che i bambini non siano ancora in grado di leggere criticamente insomma, e che «le storie insegnino un unico comportamento possibile, che neuroprogrammino i loro lettori». Questo, per Roveda, è un errore: «Magari trovando certe parole in un vecchio libro nel lettore può nascere una riflessione».
– Leggi anche: La prima puntata di Comodino, il podcast del Post sui libri