Gli allevamenti intensivi vanno verso l’alto

Per risparmiare suolo e concentrare la produzione, in Cina si costruiscono impianti con decine di piani per centinaia di migliaia di maiali, con diversi rischi

(New China TV / YouTube)
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Un gruppo di ricerca dell’Istituto Weizmann per le Scienze in Israele ha stimato che l’intera biomassa dei mammiferi selvatici terrestri del pianeta equivale a circa 20 milioni di tonnellate, cui si aggiungono 40 milioni di tonnellate dei mammiferi che vivono negli oceani. È una quantità relativamente ridotta, se si considerano i 390 milioni di biomassa costituita dagli esseri umani e l’enorme quantità di mammiferi in allevamento, stimata dal gruppo di ricerca a 630 milioni di tonnellate.

La maggior parte di questi animali vive in allevamenti intensivi, dove vengono cresciuti soprattutto per le loro carni e per altri prodotti, come latte, cuoio e pellicce. Queste modalità di allevamento sono sempre più impiegate e l’alta domanda sta portando a sperimentare nuove soluzioni, come enormi impianti verticali per ridurre il consumo di suolo e che possono ospitare milioni di animali.

Mediamente, per ogni essere umano ci sono 3 chilogrammi di biomassa costituita dai mammiferi selvatici terrestri, mentre quella da mammiferi in allevamento è quasi 30 volte tanto. Nel calcolo sono compresi bovini, suini, equini, leporidi (lepri e conigli) e altri mammiferi, mentre non sono calcolati moltissimi altri animali non mammiferi che vengono allevati per il consumo delle loro carni o di altri prodotti come polli e pesci.

Mentre l’allevamento degli animali di piccola taglia su scala ridotta e per il consumo diretto – come le galline tenute nei cortili – ha un impatto ambientale relativamente contenuto, l’allevamento intensivo e su scala industriale determina maggiori conseguenze negative per l’ambiente specie nel caso di animali di taglia maggiore. In media comporta un alto consumo di acqua, un maggiore inquinamento del suolo e una quantità elevata di emissioni di gas serra, che contribuiscono al riscaldamento globale. Nonostante ciò, gli allevamenti intensivi sono sempre più diffusi sia per l’aumento della popolazione in generale, sia per le maggiori disponibilità economiche nei paesi in via di sviluppo in cui c’è un cambiamento nelle abitudini alimentari.

Il consumo di carne in generale è aumentato notevolmente negli ultimi decenni. Nel 2010 a livello globale si consumavano 41,5 chilogrammi pro capite di carne e nel 2019 si era già arrivati a 43,2 chilogrammi a persona. Gli allevamenti di animali sono aumentati e si sono espansi negli ultimi decenni: nel 2020 sono stati allevati 33,1 miliardi di polli, il 130 per cento in più rispetto al 2000. Sempre nel 2020, a livello globale sono stati prodotti 337,2 milioni di tonnellate di carne, con il raddoppio nella produzione di carni bianche derivanti dal pollame. In venti anni, la produzione di carne di maiale è aumentata del 20 per cento, segnando uno degli incrementi più significativi tra i mammiferi da allevamento, di pari passo con l’aumento nella produzione di carne bovina.

(Kara/Getty Images)

La produzione di carne suina negli ultimi anni ha avuto alti e bassi soprattutto a causa della peste suina africana, che ha causato grandi focolai rendendo necessario l’abbattimento di milioni di maiali. L’epidemia si è diffusa soprattutto negli allevamenti intensivi, dove grandi quantità di animali vivono a stretto contatto tra loro, rendendo più alto il rischio di contagio. È un problema crescente, considerato che secondo i dati raccolti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ben oltre la metà della produzione globale di carne di maiale deriva da allevamenti intensivi. Problemi simili sono riscontrati per il pollame con l’influenza aviaria, che sempre negli ultimi anni ha reso necessario l’abbattimento di milioni di esemplari e la chiusura di allevamenti. Allevatori, veterinari e altri esperti sanno che più gli animali sono concentrati in spazi ridotti più aumentano i rischi.

A questo si aggiunge la drastica riduzione della qualità della vita degli animali negli allevamenti intensivi in generale, e in quelli più affollati in particolare. Per questo, dove è possibile, gli allevamenti intensivi occupano comunque importanti porzioni di territorio con grandi capannoni, suddivisi al loro interno da recinti che ospitano più o meno sempre la stessa quantità di animali. In vari paesi i limiti di animali per metro quadrato sono indicati da leggi apposite, anche per garantire una minima forma di tutela alla loro qualità di vita.

L’occupazione di suolo per gli allevamenti non è trascurabile. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), il 78 per cento del territorio destinato alle attività agricole a livello globale è impiegato per l’allevamento e per la produzione di mangimi per gli animali che li abitano. L’occupazione non è naturalmente omogenea in tutto il pianeta ed è vincolata dalle caratteristiche del territorio e dal suo sfruttamento per altre attività, come quelle industriali. È anche il caso di alcune zone della Cina dove la disponibilità di terreni agricoli è scarsa e si sperimentano soluzioni alternative, come l’allevamento verticale.

Lo scorso febbraio era stata molto ripresa la notizia di un gigantesco impianto costruito a poca distanza dalla città di Ezhou nella provicina dello Hubei, nella Cina centrale. L’edificio è alto 26 piani e sembra un megacondominio di quelli che si possono osservare nelle periferie delle grandi conurbazioni. I suoi inquilini non sono persone, ma centinaia di migliaia di maiali allevati per la produzione di carne. I primi ospiti erano arrivati nel settembre del 2022 e l’obiettivo della società che lo gestisce è di arrivare ad allevare ogni anno almeno 600mila maiali. Alle spalle dell’edificio è già in costruzione un secondo allevamento verticale, gemello del primo, che sarà impiegato allo stesso scopo portando infine a una produzione annuale di 1,2 milioni di maiali.

Ogni piano costituisce una sorta di fattoria a sé, con vari livelli di specializzazione a seconda della fase di crescita dei maiali. Ci sono sezioni dedicate alle scrofe in gravidanza, ai porcellini appena nati e ai maiali ormai maturi e prossimi all’abbattimento per la macellazione. Le grandi quantità di mangime, circa 450 tonnellate al giorno, vengono distribuite ai vari piani attraverso un sistema di nastri trasportatori. Le mangiatoie vengono riempite automaticamente da un sistema computerizzato, in base all’età dei maiali nei recinti, al loro peso e alle loro condizioni di salute.

Uno dei piani dell’allevamento verticale intensivo di Ezhou (New China TV / YouTube)

I maiali sono tenuti sotto controllo attraverso un sistema di telecamere a circuito chiuso. I sorveglianti passano le giornate a osservare i monitor in una sala operativa e a segnalare agli addetti le aree in cui intervenire, per esempio se si inceppa qualcosa nel sistema di distribuzione del cibo o se qualche animale sembra avere problemi di salute.

Non è il primo caso al mondo di allevamento verticale (su scala più ridotta lo si fa talvolta per il pollame), ma è sicuramente uno degli impianti più grandi al mondo e potrebbe diventare un modello per la costruzione di strutture simili per lo meno in Cina. Il paese è il più grande consumatore al mondo di carne suina, tanto che il suo prezzo viene amministrato con attenzione dal governo cinese per mantenere bilanciata la domanda e l’offerta, riducendo il rischio di periodi di scarse forniture.

In media il prezzo della carne suina in Cina è comunque più alto rispetto ad altre aree del mondo, soprattutto a causa di un certo ritardo nell’industrializzazione del settore nel paese. La progressiva urbanizzazione ha inoltre fatto sì che sparissero moltissimi piccoli allevamenti. Secondo i dati raccolti dal New York Times, la quantità di fattorie che allevano meno di 500 maiali all’anno si è ridotta del 75 per cento tra il 2007 e il 2020, raggiungendo 21 milioni. In compenso sono aumentati gli allevamenti intensivi e di grandi dimensioni, anche se pochi hanno scelto l’approccio verticale dell’impianto vicino a Ezhou.

Per il governo cinese avere cibo a sufficienza per gli oltre 1,4 miliardi di abitanti della Cina è essenziale, anche per evitare le pesanti carestie che in passato interessarono il paese. A oggi il paese non ha però ancora le risorse adeguate per produrre abbastanza cibo: è il più grande importatore al mondo di prodotti agricoli, a cominciare da quasi la metà di tutta la soia prodotta e impiegata per lo più proprio negli allevamenti. Secondo il suo governo, la Cina ha grandi potenzialità di crescita nel settore considerato che possiede circa il 10 per cento del terreno agricolo globale e che non riesce ancora a sfruttarlo efficacemente.

In più occasioni il presidente cinese Xi Jinping ha ricordato che «un paese deve rinforzare la propria agricoltura prima di diventare una grande potenza, e solo un’agricoltura robusta può rendere un paese forte». Lo stesso principio è stato applicato anche agli allevamenti e in particolare a quelli di maiale, con istruzioni a tutti i governi locali di sostenere l’industria suina, a cominciare dal finanziamento dei progetti per la costruzione di impianti sempre più grandi.


Quello vicino a Ezhou è nato proprio dietro questa spinta e ha avuto una genesi singolare, considerato che fino a qualche tempo fa l’azienda che lo gestisce era specializzata nella produzione di cemento. I suoi dirigenti hanno messo a frutto le conoscenze nel settore, e la disponibilità di materia prima, per costruire il grande allevamento verticale a poca distanza dall’impianto di produzione del cemento, sfruttando una porzione di territorio relativamente ridotta sulla quale possono comunque far vivere centinaia di migliaia di maiali.

Pur riducendo l’occupazione di suolo, il grande impianto verticale consuma molta energia elettrica e acqua, di conseguenza ha un forte impatto ambientale. Se il modello dovesse funzionare e rivelarsi economicamente sostenibile, nei prossimi anni potrebbero essere costruiti altri allevamenti di questo tipo, ma i dubbi non sono solamente sulla loro sostenibilità ambientale.

La strettissima vicinanza di centinaia di migliaia di maiali fa aumentare sensibilmente il rischio della diffusione di infezioni, virali e batteriche, molto difficili da contenere. Un focolaio di peste suina africana, per esempio, potrebbe causare in poco tempo l’infezione di una enorme quantità di animali che dovrebbero essere poi abbattuti e distrutti, per evitare ulteriori contagi. La promiscuità dei maiali con il personale che lavora all’interno dei vari piani potrebbe inoltre causare salti di specie, con la diffusione di nuove malattie.

I responsabili dell’impianto di Ezhou dicono di effettuare numerosi controlli sanitari e di avere compartimentato l’edificio, in modo da rallentare e se possibile fermare per tempo i primi contagi evitando che si sviluppi un focolaio vero e proprio. L’allevamento verticale è però aperto da pochi mesi e solo quando funzionerà a pieno regime, insieme all’edificio gemello in costruzione, sarà possibile verificare l’efficace delle attività di controllo ed eventualmente di contenimento dei contagi.