La legge ugandese che prevede il carcere per le persone LGBTQ+
Criminalizza chi è omosessuale, bisessuale o trans: l'ha approvata il parlamento ma non è detto che entri in vigore
Il parlamento dell’Uganda, paese dell’Africa orientale da 45 milioni di abitanti, ha approvato un disegno di legge che criminalizza le persone che appartengono a una minoranza sessuale. La legge deve ora essere firmata dal presidente Yoweri Museveni e per varie ragioni non è detto che riesca a completare tutto l’iter ed entrare in vigore, nonostante in passato il presidente abbia espresso posizioni discriminatorie e intransigenti nei confronti delle persone omosessuali. Se dovesse succedere, comunque, l’Uganda diventerebbe il primo paese africano a vietare e punire per legge il solo fatto di identificarsi come gay, lesbiche, bisessuali, trans o queer. Oltre 30 paesi africani, tra cui l’Uganda, vietano già le relazioni tra persone dello stesso sesso.
La legge prevede pene che vanno dai dieci anni di prigione all’ergastolo (e in alcuni casi anche la pena di morte) in base alla “gravità” della violazione. Tra i casi di “omosessualità aggravata” sono inclusi quelli in cui una delle parti che partecipa a un’attività sessuale con qualcuno dello stesso sesso è minorenne o sieropositivo.
Le attività sessuali tra persone dello stesso sesso in Uganda erano già punibili con la prigione da una vecchia legge coloniale che punisce «la conoscenza carnale contronatura». In base alla nuova legge, però, amici e familiari di persone che fanno parte della comunità LGBTQ+ avrebbero il dovere di denunciare alle autorità chiunque si identifichi con una minoranza sessuale. Anche gli individui o le istituzioni che sostengono o finanziano attività o organizzazioni per i diritti LGBTQ+, o pubblicano, trasmettono e distribuiscono materiali in loro favore rischiano di essere perseguiti e incarcerati.
I dubbi sull’entrata in vigore della legge non dipendono tanto dalle posizioni di Museveni, che già nel 2014 aveva firmato un testo simile poi bloccato dalla Corte costituzionale ugandese. Dipendono dal fatto che di recente il presidente ha definito prioritario mantenere buone relazioni con i paesi occidentali, che avevano protestato già nove anni fa e che potrebbero reagire molto negativamente anche in questa occasione. Le pressioni dei paesi occidentali, insomma, potrebbero spingere Museveni a ripensarci e non firmare.
L’Uganda era già un paese molto conservatore, dove era difficile vivere da persona appartenente alla comunità LGBTQ+. Negli ultimi anni però si sono diffuse soprattutto online delle teorie del complotto che accusano «forze internazionali» non meglio definite di voler promuovere l’omosessualità nel paese per corromperne la società. Anche la decisione della chiesa anglicana – di cui fa parte il 35 per cento della popolazione ugandese – di riconoscere i matrimoni civili tra le persone dello stesso sesso è diventato un grosso tema di scontro nel paese.
La convinzione che l’omosessualità sia importata dall’Occidente è piuttosto diffusa in molti paesi africani, e secondo la giornalista Laetitia Leunkeu «viene cavalcata da alcuni leader politici e religiosi per alimentare preoccupazioni popolari e mantenere invariate le loro legislazioni che incentivano la persecuzione delle persone omosessuali e, in particolare, dei giovani uomini gay».
Questa convinzione è però «in contrasto con la realtà storica e le ricerche antropologiche del continente», continua Leunkeu: «gli studi confermano le radici coloniali dell’attuale conservatorismo africano: è l’omofobia, o meglio la criminalizzazione dei rapporti omosessuali, a essere stata importata dalle potenze coloniali ai tempi della spartizione dell’Africa, per poi essere rafforzata successivamente dall’azione di gruppi religiosi statunitensi e, in altri contesti, islamici».