Com’era la vita ad Alcatraz, che chiuse 60 anni fa
La prigione fu usata per meno di trent'anni, ma divenne famosa nel mondo per le condizioni dure e la massima sicurezza
Il 21 marzo del 1963, sessant’anni fa, chiuse per sempre il penitenziario federale di Alcatraz, la prigione più famosa della storia americana e una delle più note del mondo. Restò aperta solo 29 anni, tra il 1934 e il 1963, che le bastarono per fissarsi nell’immaginario popolare, in primo luogo per la sua collocazione. Era stata costruita sull’omonima isola, dalla superficie di poco superiore agli 85.000 metri quadrati, rocciosa e distante due chilometri da San Francisco, in California: circondata da un braccio di mare della baia caratterizzato da acque gelide e soggetto a forti correnti e maree.
Ma Alcatraz divenne famosa anche per essere un carcere duro e quasi inviolabile: era stato progettato dal Federal Bureau of Prisons, l’amministrazione federale statunitense che si occupa dei penitenziari, proprio per questo. Ad Alcatraz venivano mandati i prigionieri di più difficile gestione, quelli che si temeva altrove avrebbero creato problemi o tentato la fuga. Era pensata come una soluzione temporanea: quando il detenuto avesse mostrato segni di buona condotta sarebbe stato trasferito. La sua collocazione, le sue regole, la sua struttura la rendevano anche una prigione da cui era molto difficile fuggire, ma nonostante questo nei 29 anni della sua storia furono tentate 14 evasioni. Ci provarono in 36, sei detenuti furono uccisi dalle guardie, di 5 si persero le tracce, gli altri furono tutti catturati. Sui cinque di cui non si seppe più nulla nacquero leggende e storie, ma l’ipotesi più credibile è che siano morti affogati durante il tentativo di traversata a nuoto.
I tentativi di fuga sono stati raccontati in molti film, libri, documentari e videogiochi, dal 1960 a oggi: Alcatraz è entrata nell’immaginario comune, non solo in America, come simbolo di prigione di massima sicurezza, oltre che per aver ospitato detenuti come Al Capone o l’altro celebre gangster del Proibizionismo George Kelly, detto “Machine Gun”.
– Leggi anche: Alcatraz, la storia e le fughe
La vita dei detenuti ad Alcatraz era molto dura, ai limiti della tortura, soprattutto nei primi quindici anni in cui fu in funzione. Era l’epoca d’oro della criminalità americana: il Proibizionismo era appena finito ma i gangster che erano diventati potenti durante quegli anni erano rimasti, e il governo degli Stati Uniti doveva far vedere che contro il crimine faceva sul serio. L’isola di Alcatraz fu acquistata nel 1933, era in precedenza di proprietà dell’esercito (ci sorgeva un forte): doveva diventare la prima prigione ad unire il massimo della sicurezza alle condizioni più dure e crudeli per i detenuti, quella che oggi viene chiamata una prigione “super max” (oggi l’unica super max degli Stati Uniti è ADX Florence, in Colorado).
Nei primi anni di Alcatraz i detenuti avevano fondamentalmente diritto a cibo, vestiti, un tetto e cure mediche. Tutto il resto, come per esempio la lettura, le ore d’aria, la possibilità di parlare con altri carcerati, i colloqui con i parenti, era considerato un privilegio, da guadagnarsi con la buona condotta o totalmente esclusi. Anche la possibilità di lavorare all’interno delle strutture, molto ambita perché permetteva di dare un ritmo e rendere meno monotone le lunghe giornate, era riservata solo a qualcuno.
La prigione aveva una capienza massima di 336 carcerati, ma non arrivò mai ai limiti. Ogni detenuto aveva una cella personale, di 1,5 metri di larghezza per 3,7 metri di lunghezza. Le celle singole erano state intese come soluzioni di isolamento: fino alla fine degli anni Trenta vigeva la regola del silenzio assoluto, anche nei rari momenti in cui i prigionieri erano in compagnia. La prigione era divisa in blocchi e i corridoi avevano ironicamente i nomi di grandi strade americane: quello principale era detto Broadway, uno slargo con un orologio era Times Square, corridoi laterali erano detti Sunset Strip e Park Avenue.
I prigionieri venivano svegliati alle 6:30, alle 6:55 andavano in mensa per la colazione, entro le 7:30 la cella doveva essere pulita per iniziare l’eventuale turno di lavoro (lavanderia, pulizie, sartoria, giardinaggio): in realtà non esisteva la possibilità di spendere i soldi guadagnati, che restavano in un fondo. Il turno lavorativo durava fino alle 16:15, con un’interruzione dalle 11:20 per il pranzo: durava 20 minuti, alla fine di ogni pasto si contavano forchette, coltelli e cucchiai per evitare che venissero prelevate e usate come armi. La cena era servita alle 16:25, alle 16:50 i detenuti erano chiusi in cella, le luci si spegnevano alle 21:30. Il cibo era una delle poche cose positive della prigione, descritto come uno dei migliori di tutto il sistema penitenziario americano.
Per il resto, soprattutto se non si accedeva al lavoro, la detenzione ad Alcatraz era descritta come una dolorosa attesa di trasferimento, in cui si bisognava fare i conti contro la tentazione della fuga, la depressione e gli istinti suicidi: furono 5 in 29 anni, a cui si aggiunsero 8 omicidi.
Le condizioni erano rese più difficili dalle misure di sicurezza. I prigionieri erano sottoposti alla conta 13 volte durante una giornata, i secondini erano noti per la loro brutalità, in parte suggerita da un generale clima di violenza all’interno del carcere: i detenuti afroamericani, ad esempio, erano tenuti separati dagli altri per i frequenti episodi di violenza razzista. Lo staff della prigione contava inizialmente 155 persone, che vivevano sull’isola, in strutture esterne al carcere ma comunque con una mobilità molto limitata. Lavoravano 40 ore alla settimana su turni di otto ore, con la possibilità, piuttosto utilizzata, di straordinari.
Col passare del tempo, e soprattutto a partire dagli anni Cinquanta, ai detenuti furono concessi alcuni diritti in più, come quello di usufruire con più costanza della biblioteca della prigione. Divenne un risorsa centrale per la vita all’interno del penitenziario, pur non essendo fisicamente accessibile ai prigionieri. Aveva a disposizione fra i 10mila e i 15mila libri, per lo più ereditati dall’esercito: i detenuti potevano richiederli compilando un modulo e inserendolo in una cassetta nella sala mensa. I libri venivano recapitati in cella, al massimo tre romanzi, una decina di libri per studiare, una bibbia e un dizionario. Si potevano chiedere anche riviste, ma le pagine relative a episodi di cronaca erano censurate; i quotidiani non erano a disposizione e proibiti, i libri non potevano contenere descrizioni di sesso, crimini o violenza.
Fu introdotta anche un’ora al giorno in cui era possibile utilizzare degli strumenti musicali, che venivano suonati per lo più in cella: si racconta che già Al Capone, che rimase ad Alcatraz fra il 1934 e il 1939, avesse ottenuto il permesso di suonare il banjo.
Il cortile, Recreation Yard, fu usato per tutti gli anni in cui la prigione rimase aperta, anche se con più intensità negli ultimi quindici anni, quando era concesso per cinque ore al giorno il sabato e la domenica: fu anche il luogo dove fu tentata l’evasione più violenta, una sorta di rivolta con un tentativo di sfruttare degli ostaggi per lasciare l’isola. Avvenne nel 1946, è conosciuta come la Battaglia di Alcatraz e fu risolta dall’intervento dei Marines.
Solitamente nel cortile si giocava a softball, scacchi e soprattutto a baseball: fu disegnato un campo, si coprì una parete con dei cuscini (per le dimensioni ridotte degli spazi i corridori ci finivano spesso contro) e furono organizzate dalle quattro alle otto squadre (a seconda dei periodi) per un campionato interno.
Col passare dei decenni Alcatraz si trasformò in una prigione un po’ meno rigida e più simile alle altre del paese, ma continuò ad avere costi di gestione altissimi, causati dall’isolamento e dalla necessità di portare via nave ogni bene necessario e di pagare di più il personale. Alla fine degli anni Cinquanta si spendevano 10 dollari al giorno per prigioniero, contro i 3 dollari di media per gli altri penitenziari federali. Agli inizi degli anni Sessanta poi le strutture del carcere mostravano di aver bisogno di una grande ristrutturazione, soprattutto per effetto della salsedine marina: i costi furono stimati in 5 milioni di dollari. Dopo un primo tentativo di ristrutturazione, il Federal Bureau of Prisons decise di abbandonare la struttura. Il 21 marzo 1963 gli ultimi prigionieri e le ultime guardie furono trasferiti e il penitenziario fu chiuso per sempre.
Dopo anni di abbandono e un’occupazione durata 19 mesi da parte di una comunità di nativi americani a partire dal 1969, l’isola e le sue strutture furono acquistate prima dall’ente parchi della California e poi da quello federale. L’isola di Alcatraz è attualmente un’attrazione turistica raggiungibile con un viaggio in traghetto di 15 minuti da San Francisco, ed è visitata da oltre un milione di turisti ogni anno.