Com’è riuscita Barbie a resistere fino a oggi
Da oltre mezzo secolo è la bambola più famosa e anche la più criticata, e l'evoluzione del modo in cui è stata promossa l'ha portata fino al cinema
Il 9 marzo del 1959 alla fiera internazionale del giocattolo di New York fu presentato il primo modello di Barbie, la bambola destinata a diventare la più famosa e la più venduta al mondo. Di norma i giocattoli per bambine e bambini hanno successo per qualche mese o qualche anno, e poi passano di moda. Nonostante nel tempo abbia attirato critiche legate soprattutto al suo aspetto, che riproduce proporzioni e canoni estetici irrealistici, per Barbie non è andata così: anche dopo decenni se ne continuano a vendere moltissime.
Come ha osservato Sameer Hosany, professore di marketing alla Royal Holloway University of London, il fatto che Barbie sia ancora un giocattolo di grande successo dipende da come le strategie promozionali di Mattel, l’azienda che la produce, si sono evolute nel tempo. Fu da subito un giocattolo popolare per come era fatto e per come ci si poteva giocare, e poi attirò l’attenzione di generazioni di bambine con le sue molte trasformazioni: negli ultimi decenni l’azienda è riuscita seppur con alcuni intoppi ad adattarla alle nuove sensibilità in tema di diversità, per non perdere quote di mercato.
La bambola Barbie fu inventata dalla statunitense Ruth Handler, che nel 1945 aveva fondato assieme al marito Elliot Handler e al socio Harold “Matt” Matson un’azienda di cornici e piccoli mobili per le case delle bambole. L’azienda si chiamava Mattel, un nome che metteva insieme le prime lettere di “Matt” ed “Elliot” (ma non di Ruth), e la nuova bambola Barbie, come la figlia degli Handler, Barbara. Barbie aveva lunghi capelli raccolti in una coda, il rossetto rosso e orecchini a cerchio; portava gli occhiali da sole in testa, sandali neri con un piccolo tacco e un costume da bagno intero a strisce bianche e nere.
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Ruth Handler raccontò che quando la figlia Barbara giocava con le bambole di carta tendeva a usarle per interpretare storie da adulti, così le venne l’idea di inventare una bambola tridimensionale, che avesse il corpo di una donna, anziché di una bambina. Per realizzarla si era ispirata a una bambola tedesca di polistirene chiamata Bild Lilli che aveva visto durante un viaggio in Europa: rappresentava una donna emancipata ed era pensata principalmente per gli adulti, ma anche le bambine potevano divertircisi e cambiarle i vestiti, che erano venduti a parte (qualche anno dopo Mattel ne comprò i diritti).
Quando Barbie fu presentata sul mercato statunitense era la prima bambola giocattolo con forme da persona adulta in un settore dominato da bambole con fattezze di bambine e controllato prevalentemente da uomini. Era alta poco più di 29 centimetri, e se messa in proporzione con il corpo di una donna vera alta 175 centimetri le sue misure sarebbero state 91 di seno, 86 di fianchi e 46 di vita, complessivamente inverosimili. Handler raccontò che secondo lei giocare con una bambola che aveva il seno era importante per l’autostima delle bambine: all’inizio vari critici sostennero che nessuno avrebbe voluto giocare con una bambola del genere, e invece non fu così.
Nel primo anno ne furono venduti 350mila esemplari, e poi se ne cominciarono a produrre di modelli sempre diversi. Assieme al successo però arrivarono le prime critiche, che riguardarono da subito i modelli proposti, considerati irrealistici: sia quelli estetici, per le proporzioni fisiche del corpo della bambola, sia quelli relativi agli stili di vita e alle aspirazioni lavorative difficilmente imitabili di molti modelli. Barbie poteva essere calciatrice, chirurga, astronauta o persino presidente degli Stati Uniti, e secondo qualcuno questo poteva influire negativamente sull’autostima delle bambine, anziché rappresentare un modello efficace di donna emancipata. Per altri ancora inoltre i cavalli, le automobili e gli aeroplani giocattolo venduti come accessori della bambola rispecchiavano uno stile di vita orientato al materialismo, che incoraggiava l’accumulo di ricchezze.
Negli anni Settanta alcune attiviste femministe dell’università di Berkeley, in California, bruciarono le Barbie associandole a un simbolo dell’oppressione da parte degli uomini. Nel 1994 uno studio finlandese sostenne che se Barbie fosse stata una vera donna, il suo corpo non sarebbe stato in grado di avere le mestruazioni. Sempre negli anni Novanta, un gruppo di artisti e attivisti conosciuto come Barbie Liberation Organization manomise alcune centinaia di Barbie parlanti (e G.I. Joe, uno dei più celebri soldati giocattolo) in segno di protesta contro gli stereotipi di genere, per via di alcune frasi pronunciate da una versione della bambola, come “le lezioni di matematica sono difficili!”. Un portavoce del gruppo raccontò al New York Times che l’operazione aveva l’obiettivo di attirare l’attenzione dei media e far capire come i giocattoli potessero avere effetti negativi sui bambini.
La popolarità e diffusione di Barbie, un oggetto diventato quotidiano per milioni di bambine, sollevò insomma presto un acceso dibattito intorno alla questione se la bambola avesse un qualche tipo di responsabilità sociale, proprio per via del ruolo di modello che per molti versi aveva assunto.
Malgrado queste critiche, Barbie continuò a essere molto apprezzata. Nel 2006 si stimò che ne fossero state vendute più di un miliardo in tutto il mondo. Dopo un periodo di crisi, legata anche al cambio dei gusti di bambine e bambini in tema di giocattoli, negli ultimi otto anni le vendite hanno ripreso a crescere progressivamente, fino a 1,7 miliardi di dollari di incassi in tutto il mondo nel 2021, contro i 905 milioni del 2015. Sul sito del marchio, Mattel dice di vendere più di 100 Barbie ogni minuto, per un totale di 58 milioni di esemplari all’anno. Per arrivarci però l’azienda ha dovuto adattare continuamente la bambola ai tempi.
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In un articolo su The Conversation, Hosany ha ripercorso alcune tappe del successo di Barbie, individuandone alcune più importanti di altre: come quando Mattel introdusse altri personaggi che facevano parte del suo universo. Nel 1961 fu creato Ken, il suo storico fidanzato, che prendeva il nome dal figlio degli Handler, Kenneth; poi via via comparvero la sorella minore Skipper e varie amiche, tra cui Midge e Christie, il primo personaggio afroamericano del mondo di Barbie. In più, nel tempo Mattel creò varie storie collegate al personaggio, a cui aveva dato un nome completo, così come un luogo e una data di nascita: Barbara Millicent Roberts, nata ovviamente il 9 marzo nella cittadina fittizia di Willows, nel Wisconsin.
Questo assortimento di personaggi, unito alle storie legate al mondo di Barbie divulgate da Mattel – per esempio quella della rottura del fidanzamento con Ken, annunciata nel giorno di San Valentino del 2004 –, sono servite per creare un legame emotivo più profondo con i fan e a mantenere alto l’interesse per il marchio. Al contempo, Mattel ha ampliato l’offerta di prodotti, che negli anni hanno spaziato dagli abiti ai cosmetici per bambine ai videogiochi. Il fatto che molte Barbie siano in edizione limitata inoltre ha favorito il collezionismo, mentre accessori che richiamano a un senso di nostalgia del passato, come i dischi in vinile, contribuiscono ad attirare l’attenzione del pubblico adulto, che può permettersi di spendere di più, spiega sempre Hosany.
Negli ultimi anni anche Mattel si è adattata alle nuove sensibilità legate alla rappresentazione delle diversità e ha ideato nuovi prodotti per continuare a vendere Barbie a un pubblico sempre più eterogeneo. Lo ha fatto in parte appropriandosi dei valori legati all’emancipazione femminile – che da una decina d’anni sono sempre più presenti nella retorica e nel marketing delle grandi aziende e delle multinazionali, proprio perché attraenti per le nuove generazioni – e in parte attraverso modelli con caratteristiche fisiche più verosimili.
Nel 2016 per esempio ha lanciato una linea di Barbie con sette tonalità di pelle, varie acconciature e tre nuove corporature, con fianchi più formosi o gambe un po’ più corte. Nel 2017 ha messo in commercio la prima bambola con il velo islamico (hijab), mentre più di recente ha aumentato i modelli che rappresentano persone con disabilità.
Anche in questo caso Mattel è stata accusata da alcuni critici di aderire a questi nuovi modelli e valori per bieche ragioni di marketing: in ogni caso le nuove strategie dell’azienda hanno funzionato, visto che con i nuovi modelli presentati nel 2016 le vendite dell’azienda erano aumentate del 7 per cento rispetto all’anno precedente.
Una delle iniziative più recenti di Mattel per cercare nuove fonti di guadagno, ma anche un altro modo per continuare a far restare Barbie interessante per il pubblico, riguarda il cinema. Oltre sessant’anni dopo la sua prima apparizione, la bambola sarà infatti la protagonista del prossimo film dell’attrice e regista femminista Greta Gerwig, il primo film non di animazione sul mondo di Barbie e il primo pensato per il cinema e non per la tv.
Mattel aveva avviato le trattative per fare un film a tema già nel 2009, ma da allora il progetto era stato assegnato e tolto a diverse case di produzione, registi e sceneggiatori anche per via del grande controllo che l’azienda vuole esercitare sull’immagine della bambola. Alla fine come regista è stata scelta Gerwig, che si è affermata grazie a film come Lady Bird e Piccole donne, e ne ha scritto anche la sceneggiatura assieme al compagno Noah Baumbach, noto soprattutto per aver diretto nel 2019 Storia di un matrimonio. I film scritti o diretti da Gerwig e Baumbach sono spesso incentrati su personaggi femminili drammatici e poco canonici (e perciò molto lontani dall’immaginario di Barbie).
Barbie uscirà il 21 luglio del 2023 e sarà interpretato tra gli altri da Margot Robbie e Ryan Gosling, rispettivamente nel ruolo di Barbie e Ken.