Il più grande avversario di Erdogan
Kemal Kilicdaroglu è il candidato di quasi tutte le opposizioni alle elezioni di maggio in Turchia, ed è quanto più lontano ci sia dal presidente turco, per modi e carisma
di Eugenio Cau
A inizio marzo sei partiti dell’opposizione turca, riuniti in quella che è stata definita la “Tavola dei Sei”, hanno scelto un unico candidato per sfidare il presidente Recep Tayyip Erdogan alle elezioni presidenziali che si terranno a maggio: è Kemal Kilicdaroglu, il leader del Partito popolare repubblicano (CHP), il principale partito d’opposizione. Kilicdaroglu ha 74 anni ed è a capo del CHP da quasi 15. È un politico molto popolare ma poco carismatico, e anche per questo la sua nomina è stata accolta con una certa riluttanza all’interno della stessa coalizione di opposizione.
Kilicdaroglu è un politico universalmente noto per la sua onestà e frugalità, che nel corso degli anni ha saputo ottenere alcune importanti vittorie elettorali nonostante il progressivo e sempre più opprimente autoritarismo di Erdogan, che ha via via ridotto e minacciato l’indipendenza dei media, del sistema giudiziario e di molte altre istituzioni turche.
La candidatura unitaria di Kilicdaroglu ha tuttavia creato grossi scetticismi all’interno della sua stessa coalizione, al punto da metterne in pericolo l’esistenza. La Tavola dei Sei è estremamente variegata e comprende partiti che vanno dal centrosinistra alla destra nazionalista, che si sono coalizzati attorno ad alcune riforme di principio (per esempio: abolire il presidenzialismo e ridurre la concentrazione del potere nelle mani del presidente) e soprattutto in nome dell’estremo tentativo di scalzare dal potere Erdogan, che lo detiene ininterrottamente da più di vent’anni e che è riuscito a vincere quasi tutte le elezioni a cui ha partecipato.
Il CHP, il partito di Kilicdaroglu, è da tempo il principale partito dell’opposizione turca: fu fondato da Mustafa Kemal Atatürk, il “padre fondatore” della Turchia, ha posizioni di centrosinistra ed è apertamente laico. Nei sondaggi è dato tra il 20 e il 25 per cento dei consensi. Il secondo partito della coalizione è il Buon partito (IYI), di destra nazionalista laica, che ha meno del 15 per cento dei consensi. IYI è guidato da Meral Aksener, una delle poche donne leader nella politica del paese, molto carismatica.
Il 3 marzo Aksener si era ritirata dalla coalizione sostenendo che Kilicdaroglu non fosse un candidato adatto a battere Erdogan, e che sarebbe stato meglio candidare alla presidenza Ekrem Imamoglu (del CHP) o Mansur Yavas (dell’IYI), popolari sindaci di Istanbul e di Ankara, vincitori delle elezioni amministrative del 2019. Secondo i sondaggi, in effetti, sia Imamoglu che Yavas risultano più popolari di Kilicdaroglu, ma nessuno di loro due ha la stessa capacità di tenere unita l’ampia coalizione della Tavola dei Sei.
Dopo tre giorni molto concitati, alla fine Aksener ha deciso di rientrare nella coalizione, quando Kilicdaroglu ha promesso che, se sarà eletto, nominerà Imammoglu e Yavas come suoi vicepresidenti.
Scetticismo
I dubbi di Aksener su Kilicdaroglu sono condivisi da molti analisti. Recep Tayyip Erdogan è il politico più carismatico della Turchia e uno degli oratori più talentuosi della sua generazione. I suoi raduni pubblici, ha scritto di recente l’Economist, hanno l’atmosfera esaltata di concerti rock. Al contrario, Kilicdaroglu ha un modo di fare molto dimesso, è un oratore mediocre e i suoi discorsi sembrano più che altro le lezioni di un bravo professore.
In effetti Kilicdaroglu più che un politico è un burocrate: pur provenendo da una famiglia di origini molto umili, si laureò in Economia in una delle università più prestigiose di Ankara, la capitale turca, e trascorse la gran parte della sua carriera nella burocrazia statale. Soltanto nel 2002, a 54 anni, fu eletto in parlamento e cominciò una graduale scalata dei ranghi del CHP.
Kilicdaroglu divenne capo del CHP e dell’opposizione a Erdogan nel 2010, ma da allora ha ottenuto soprattutto sconfitte elettorali: il suo partito ha mantenuto per lungo tempo consensi stagnanti, e non è mai riuscito a offrire un’alternativa convincente all’attuale presidente.
Un’altra caratteristica che potrebbe rendere Kilicdaroglu un candidato debole sono la sua etnia e religione: è un alevita, cioè appartenente a una minoranza etnica che pratica una versione decisamente secolare dell’islam, e che non condivide alcuni dei riti dell’islam sunnita, quello di gran lunga prevalente in Turchia. Il fatto che Kilicdaroglu appartenga a una minoranza è visto da alcuni come una possibile debolezza, soprattutto nei confronti dell’elettorato sunnita più conservatore.
Kilicdaroglu, inoltre, ha sempre avuto un atteggiamento piuttosto moderato e dimesso nell’opposizione a Erdogan, ed è stato accusato di non essere abbastanza deciso e aggressivo.
Nel 2014 scelse di non candidarsi alla presidenza contro Erdogan e lasciò andare avanti Ekmeleddin Ihsanoglu, un intellettuale di centrodestra che perse anche piuttosto malamente. Nel 2017, dopo l’approvazione di un referendum costituzionale che garantiva a Erdogan poteri eccezionali, fu Kilicdaroglu a convincere i militanti dell’opposizione a non scendere in strada a protestare, per timore che potessero esserci scontri violenti.
Ottimismo
La leadership tutto sommato passiva e dimessa di Kilicdaroglu a capo dell’opposizione si è rivitalizzata proprio nel 2017: in quell’anno il suo vice, Enis Berberoglu, fu condannato a 25 anni di carcere con accuse che con ogni probabilità erano politicamente motivate, nell’ambito di una più ampia ondata di arresti e repressione che aveva fatto seguito al tentato golpe contro Erdogan dell’anno prima.
Quella volta, in maniera abbastanza sorprendente, Kilicdaroglu decise di reagire con forza: condannò con estrema durezza l’arresto di Berberoglu e annunciò che avrebbe fatto una grande marcia di protesta pacifica da Ankara a Istanbul, un tragitto di oltre 450 chilometri che avrebbe percorso a piedi, impiegandoci quasi un mese. La marcia, chiamata “Marcia per la giustizia”, fu estremamente partecipata e Kilicdaroglu seppe attirare migliaia di persone ai comizi che teneva a ogni fermata. In questo modo il suo profilo pubblico migliorò notevolmente.
Dopo la “Marcia per la giustizia” a Kilicdaroglu fu dato il nomignolo di Gandhi: sia per una lieve somiglianza fisica, sia per il suo atteggiamento sempre molto pacato, sia soprattutto perché anche Gandhi, nel 1930, aveva fatto una ben più famosa marcia pacifica per l’indipendenza dell’India. Da allora Kilicdaroglu è diventato celebre per queste manifestazioni di dissenso pacifico, simboliche ma molto efficaci dal punto di vista del consenso pubblico.
L’anno scorso, per protestare contro l’eccezionale aumento dei prezzi dell’energia elettrica, Kilicdaroglu ha smesso di pagare le bollette di casa sua e ha trascorso un’intera settimana senza elettricità, lavorando al buio illuminato solo dalla luce di una lampada portatile (dopo una settimana ha ricominciato a pagare, e la luce è tornata).
La casa di Kilicdaroglu è un altro elemento notevole della sua immagine pubblica: lui e la moglie vivono in un appartamento estremamente modesto ad Ankara, arredato senza nessun lusso e anzi con una certa frugalità. Negli scorsi mesi Kilicdaroglu ha cominciato a pubblicare su Facebook alcuni video a tema politico per i suoi sostenitori, filmandoli dal tavolo della sua cucina. Moltissime persone hanno notato dall’inquadratura che la cucina della casa di Kilicdaroglu è eccezionalmente modesta, con mobili vecchi di qualche decennio e tutti i segni di una vita normale e senza lussi, con le pentole sui fornelli e il detersivo per lavare i piatti lasciato aperto.
Erdogan, durante il suo mandato, si è invece fatto costruire un palazzo presidenziale estremamente sfarzoso, che ha oltre mille stanze.
Un altro elemento a favore di Kilicdaroglu è il fatto che è unanimemente considerato una persona onesta, e questo giudizio è condiviso sia dai suoi alleati sia dai suoi oppositori. All’inizio della sua carriera politica Kilicdaroglu divenne celebre per grosse azioni anticorruzione contro aziende e funzionari pubblici, e ancora adesso una delle sue promesse più convincenti è quella di ridurre la corruzione in Turchia.
Kilicdaroglu, inoltre, ha dimostrato negli ultimi anni che l’opposizione da lui guidata è in grado di battere Erdogan: in particolare hanno generato molto entusiasmo nel 2019 la vittoria dell’opposizione alle elezioni comunali di Ankara e Istanbul, le due principali città della Turchia, anche grazie a due candidati sindaco molto carismatici (Erdogan chiese poi che le elezioni fossero ripetute, e le ha perse una seconda volta).
Difficoltà
Attualmente i sondaggi danno Kilicdaroglu piuttosto avanti, a circa 10 punti percentuali di distanza da Erdogan, ma per la “Tavola dei Sei” sarà comunque complicato battere Erdogan.
È vero che il presidente turco è piuttosto indebolito e che le elezioni di maggio saranno le più combattute da un paio di decenni: l’inflazione in Turchia è altissima, tra il 50 e l’85 per cento a seconda dei mesi, e questo sta danneggiando seriamente la classe media turca. Erdogan è stato molto criticato per la gestione del terribile terremoto che ha colpito la Turchia a febbraio, facendo almeno 50 mila morti. La sua gestione del potere sempre più autoritaria sta creando problemi crescenti sia in Turchia sia all’estero.
Al tempo stesso il partito di Erdogan, l’AKP, rimane il primo del paese, con oltre il 30 per cento dei consensi (il CHP di Kilicdaroglu è tra il 20 e il 25 per cento). Erdogan è abilissimo nelle campagne elettorali e instancabile nei comizi politici e ha già dimostrato di essere pronto a usare il potere dello stato a suo favore: negli ultimi mesi ha fatto approvare una riforma delle pensioni estremamente generosa e ha alzato più volte il salario minimo, nel tentativo piuttosto evidente di ingraziarsi l’elettorato. Il governo inoltre controlla la gran parte dei media tramite imprenditori amici, che possono garantire una copertura favorevole.
La coalizione di opposizione, inoltre, potrebbe essere penalizzata dalla decisione di escludere dalla “Tavola dei Sei” uno dei più grandi partiti di opposizione, il Partito Democratico dei Popoli (HDP), che è di sinistra e filo curdo. L’HDP sta agevolmente sopra il 10 per cento dei consensi, ma la sua vicinanza ai movimenti autonomisti della popolazione curda (che vive a sud-est della Turchia) lo rende un alleato scomodo per la “Tavola dei Sei”, che comprende anche partiti nazionalisti che non vedono di buon occhio i curdi e le loro istanze. Per questo l’HDP parteciperà alle elezioni da solo, e se dovesse presentare un proprio candidato rischierebbe di togliere voti a Kilicdaroglu.