Macron sta rischiando grosso
Con ogni probabilità la decisione di approvare la contestata riforma delle pensioni senza voto parlamentare lo renderà ancora più debole e isolato politicamente
La contestata riforma delle pensioni proposta dal governo francese è stata approvata senza problemi al Senato, dove la maggioranza che sostiene il governo è più solida, e in seguito adottata anche dall’altra camera del parlamento, l’Assemblea Nazionale: ma non attraverso un voto. Il governo infatti non è riuscito a garantirsi preventivamente i voti necessari per farla passare e ha dunque attivato l’articolo 49.3 della Costituzione, una procedura legislativa che permette di forzare l’approvazione di un testo senza passare dal voto dei deputati. Scegliendo questa strada, il governo si è esposto al rischio di una grave crisi politica. Ma anche il presidente Emmanuel Macron, che con ogni probabilità ne uscirà ulteriormente debole e isolato politicamente, e dovrà gestire nuove agitazioni sociali.
Fino all’ultimo momento, e dopo aver rinunciato a raggiungere un compromesso trasversale sulla riforma delle pensioni tra le varie forze politiche, Macron e la prima ministra Élisabeth Borne avevano cercato di mettere insieme un numero di voti sufficienti per farla approvare in aula. Fin da subito era chiaro però che la riforma, che prevede l’innalzamento dell’età minima per la pensione da 62 a 64 anni e che ha provocato una serie di grandi manifestazioni e scioperi da gennaio fino a oggi, non sarebbe mai stata sostenuta dall’alleanza di sinistra NUPES (formata da Verdi, Comunisti, Socialisti e La France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon) né dal partito di estrema destra di Marine Le Pen.
Alla fine, però, i voti non sono arrivati nemmeno dai Repubblicani, il principale partito del centrodestra che in passato si era dimostrato favorevole all’innalzamento dell’età pensionabile, tanto che Mélenchon ha parlato di un «tracollo della minoranza presidenziale», riferendosi alla coalizione che sostiene Macron, che non raggiunge da sola la metà dei deputati e che ha bisogno dell’appoggio esterno dei Repubblicani.
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Da quando alle elezioni legislative del 2022 la coalizione di Emmanuel Macron aveva perso la maggioranza assoluta in parlamento, il governo aveva fatto spesso ricorso all’articolo 49.3, ma mai per una riforma così importante o al centro di un dibattito pubblico tanto movimentato. Un editoriale di Le Monde pubblicato oggi si intitola: “Sulle pensioni, un 49.3 di troppo”. Dice che se ora il paese sarà attraversato da una rinnovata agitazione sociale o sprofonderà nell’immobilità, «l’esecutivo non potrà che prendersela con se stesso». Il ricorso al 49.3 è stato infatti criticato non solo per le strade, dove si continua a protestare, non solo dai sindacati e dai partiti all’opposizione, ma anche in modo unanime dalla stampa francese e internazionale.
Ora i deputati avranno 24 ore di tempo per presentare una mozione di censura – l’equivalente francese di una mozione di sfiducia – al governo. Se dovesse ottenere la maggioranza (almeno 289 voti su 577), la riforma verrebbe accantonata, il governo di Borne cadrebbe e probabilmente (anche se non automaticamente) questo costringerebbe Macron a sciogliere il parlamento e a indire nuove elezioni legislative, a meno di un anno dalle ultime.
Una mozione di censura sarà presentata dal partito di Le Pen, che ha anche già annunciato che i suoi deputati voteranno le mozioni di censura presentate da altri partiti. A sua volta, La France Insoumise ha fatto sapere che presenterà una “mozione di censura interpartitica”. Dal punto di vista dei numeri, le opposizioni potrebbero riuscire ad arrivare all’approvazione di una di queste mozioni. Da un punto di vista politico, però, sono molto frammentate e potrebbe dunque essere complicato per qualsiasi gruppo sostenere la mozione di un altro. Inoltre, di fronte all’ipotesi di nuove elezioni, i Repubblicani hanno detto di non essere d’accordo. Almeno tecnicamente, l’attuale governo potrebbe dunque sopravvivere.
Anche se questo dovesse accadere, le cose non saranno comunque semplici. I leader sindacali minacciano nuovi scioperi e proteste. La spazzatura non raccolta continuerà ad accumularsi per le strade di Parigi, come successo in queste settimane per lo sciopero dei netturbini. Migliaia di manifestanti si sono già radunati in piazza e i sondaggi dicono da tempo che la maggior parte dei francesi è fermamente contraria all’innalzamento dell’età pensionabile. Nel breve periodo, sarà quindi difficile riportare l’ordine nel paese.
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Molte e molti deputati hanno già chiesto le dimissioni di Borne, indipendentemente dall’esito delle mozioni di censura che verranno presentate. Su di lei sta infatti ricadendo la responsabilità di aver fatto ricorso, in queste circostanze, al 49.3. Diversi giornali spiegano però come Borne, fin dalla presentazione della proposta di legge, abbia cercato di convincere Macron a seguire la propria linea politica: negoziare con gli altri partiti, ritardare la presentazione della riforma ai primi di gennaio nella speranza di trovare nuovi alleati, ricercare un consenso trasversale accogliendo alcune modifiche al progetto di legge avanzate da altre forze politiche. Questo percorso è stato un fallimento e Borne si è dovuta arrendere, scrive Le Monde, alla linea più dura imposta nelle ultime ore da Macron: fare ricorso al 49.3.
Nonostante le conseguenze più immediate di questa scelta ricadranno probabilmente su Borne, i commentatori e i giornali e non solo francesi sono concordi nell’attribuire la responsabilità politica di quanto accaduto a Macron. Il suo governo discute della riforma del sistema pensionistico dal 2019, e già allora c’erano state grosse e partecipate proteste. E la nuova riforma delle pensioni era stata al centro della sua campagna presidenziale per il secondo mandato.
Nei primi cinque anni della sua presidenza, Macron era stato molto criticato per quella che i suoi avversari politici e i giornali avevano definito “verticalità”, cioè la mancanza di un confronto e di un dialogo con le altre parti politiche e con la cosiddetta “società civile”. Durante la campagna elettorale per il secondo mandato, Macron aveva dichiarato invece di voler avviare un «nuovo metodo», per «ridare vita alla democrazia» e coinvolgere di più, nelle future decisioni sul paese, politici e cittadini, sindacati e associazioni. «I francesi sono stanchi delle riforme che arrivano dall’alto» aveva detto nel giugno del 2022. Questa maggiore “orizzontalità” e collegialità nel processo decisionale avrebbe quindi dovuto diventare un tratto distintivo del suo secondo mandato.
Le cose sembrano essere andate molto diversamente. A meno di un anno dalla sua elezione, Macron ha di fatto imposto la sua riforma delle pensioni: contro la maggioranza dei francesi e, non riuscendo a trovare una maggioranza nemmeno all’Assemblea, ricorrendo al 49.3: strumento legale, ma secondo molti in questo caso non legittimo.
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In questo modo Macron ha creato anche all’interno della stessa maggioranza presidenziale spaccature e tensioni. Il contesto politico in cui si muoveva era di fatto già incerto: quello cioè di un’Assemblea Nazionale a maggioranza relativa in cui, ora ancor di più, Macron faticherà a portare avanti il proprio programma, essendo sempre più isolato e non avendo alleati affidabili con i quali costruire dei compromessi e stabilizzare il suo secondo mandato.