Quando a Milano morì Davide Cesare, detto “Dax”

Fu assassinato con 13 coltellate da un simpatizzante fascista, in una notte segnata da violenze e scontri con le forze dell'ordine

Un murale dedicato a Dax, a Milano
(ANSA / MATTEO BAZZI)
Un murale dedicato a Dax, a Milano (ANSA / MATTEO BAZZI)

Il 16 marzo 2003, vent’anni fa, Davide Cesare, conosciuto come Dax, fu aggredito a Milano da tre simpatizzanti di estrema destra e assassinato con 13 coltellate. Dax era militante del centro sociale O.R.So. (Officine della resistenza sociale) di via Gola e l’aggressione avvenne tra via Brioschi e via Zamenhof, nella zona sud della città, alle 23:30. Insieme a lui furono aggrediti altri tre ragazzi: Alex Alesi, Fabio Zambetta e Davide Brescancin. Alesi venne ferito in maniera grave da otto coltellate, Zambetta da due coltellate alla spalla e alla schiena. Nella notte vennero feriti molti altri militanti di sinistra, ma anche poliziotti e carabinieri, in seguito a una serie di cariche delle forze dell’ordine avvenute fuori e dentro l’ospedale San Paolo, dove erano stati portati i feriti e dove Dax era stato dichiarato morto.

La polizia in un primo momento disse che era dovuta intervenire perché i compagni del ragazzo ucciso volevano portare via la salma. Quando venne ucciso, Dax aveva 26 anni. Era di Rozzano, in provincia di Milano, e aveva una figlia di sei anni. Lavorava come operaio e camionista ed era militante del centro sociale di via Gola.

Davide Cesare (ALABISO / ANSA / PAL)

Ad aggredire i militanti di sinistra furono Giorgio Morbi, 53 anni, insieme ai suoi figli Federico, 29 anni, e Mattia, 17. Dax venne accoltellato dal figlio più grande, Federico. I tre non appartenevano a nessun gruppo politico ma avevano notoriamente simpatie fasciste. Nel corso della perquisizione a casa loro, non lontano dal luogo dell’aggressione, furono trovati alcuni oggetti celebrativi del fascismo, tra cui busti di Benito Mussolini.

Cinque giorni prima dell’aggressione Federico Morbi era uscito con il proprio cane, diretto a un parco poco distante. Il cane era un rottweiler chiamato Rommel, dal nome di un celebre generale della Germania nazista, comandante dell’Afrikakorps in Nordafrica e poi responsabile della difesa del Vallo Atlantico. Passando in via Zamenhof, Morbi aveva richiamato il cane e qualcuno, sentendo il nome, gli aveva urlato «Nazista!». Dopo pochi minuti venne aggredito, come denunciò lui il giorno dopo alla polizia, da una decina di ragazzi con calci e pugni.

La sera del 16 marzo Federico e Mattia Morbi, seguiti dal padre con al guinzaglio il rottweiler, uscirono di casa e incrociarono i quattro militanti di sinistra: Dax, Alesi, Zambetta e Brescancin. Secondo il racconto dei militanti dell’O.R.So, Giorgio Morbi e i due figli li aggredirono subito a colpi di coltello. Durante il processo il figlio più grande, Federico, lesse una dichiarazione in cui sostenne che le cose andarono diversamente: disse di non aver mai avuto simpatie politiche e che lui e la sua famiglia quella sera erano stati aggrediti.

In ogni caso a essere colpiti furono i quattro militanti, il processo stabilì che Dax venne colpito da Federico Morbi con 13 coltellate: sei alla schiena, sei al torace e una, quella mortale, alla gola. Dopo le coltellate, i tre aggressori si allontanarono. Dax e gli altri due feriti furono portati all’ospedale San Paolo. Qui arrivarono i compagni e gli amici degli aggrediti, ma intanto erano state avvertite le forze dell’ordine e quindi fuori dall’ospedale trovarono schierati una cinquantina di poliziotti e carabinieri.

Il questore di Milano, Vincenzo Boncoraglio, il giorno dopo sostenne che le forze dell’ordine erano intervenute perché i ragazzi volevano portare via la salma di Dax. Polizia e carabinieri caricarono più volte, secondo le testimonianze di medici e infermieri del San Paolo anche inseguendo i militanti di sinistra nei corridoi dell’ospedale. Un video, portato al processo, mostrò un poliziotto e un carabiniere picchiare un ragazzo a terra.

Le indagini su ciò che avvenne quella notte portarono poi alla denuncia di quattro militanti e di tre membri delle forze dell’ordine: il poliziotto e il carabiniere del video e un altro carabiniere che fu trovato con una mazza da baseball. In primo grado due militanti vennero condannati a un anno e otto mesi di reclusione mentre altri due furono assolti. Due esponenti delle forze dell’ordine furono assolti mentre un altro carabiniere fu condannato a sette mesi di reclusione. In appello venne assolto anche il terzo carabiniere mentre le condanne ai due militanti vennero confermate.

Nella sentenza di primo grado i giudici scrissero che le azioni dei compagni di Dax «producevano una reazione da una parte inefficace, dall’altra eccessivamente dura da parte delle forze dell’ordine, culminata nell’inseguimento all’interno del pronto soccorso di alcuni ragazzi che ivi si erano rifugiati e in indiscriminati comportamenti violenti (manganellate, calci e via esemplificando) non giustificati né da un’attuale opposizione dei singoli, né dalla necessità di compiere un atto di ufficio, ma di natura puramente intimidatoria e ritorsiva».

Giorgio, Federico e Mattia Morbi vennero arrestati la mattina del 17 marzo: furono individuati grazie al nome del cane che in zona era molto noto. Il processo si svolse nel maggio 2004, la famiglia di Dax fu rappresentata dagli avvocati Giuliano Pisapia, che sarebbe poi diventato sindaco di Milano, e Mirko Mazzali. Federico Morbi, riconosciuto come autore materiale dell’omicidio, venne condannato a 16 anni e otto mesi di reclusione; il padre fu condannato a tre anni e quattro mesi per il tentato omicidio di un altro dei militanti; per Mattia Morbi, il fratello minorenne, venne deciso l’affidamento in prova in comunità per un periodo di tre anni. Alla madre di Dax vennero riconosciuti 150mila euro di risarcimento, per la compagna e la figlia di Dax vennero decisi 100mila euro a testa.

Il centro sociale O.R.So di via Gola venne sgomberato e chiuso nel 2006.
Sabato 18 marzo, per l’anniversario della morte di Dax, è previsto un corteo che partirà alle 14:30 da piazzale Loreto a Milano. Quel giorno verranno ricordati anche gli omicidi di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, detto Iaio, entrambi assassinati a colpi di pistola il 18 marzo 1978 in via Mancinelli, vicino a dove allora si trovava il centro sociale Leoncavallo. Avevano 18 anni. Le indagini per quell’omicidio, chiuse e riaperte negli anni, non hanno mai portato a un rinvio a giudizio. Furono indagati tre fascisti romani: Massimo Carminati, Mario Corsi e Claudio Bracci. La giudice per l’udienza preliminare Clementina Forleo, accogliendo la richiesta di archiviazione, scrisse:

Pur in presenza dei significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva ed in particolare degli attuali indagati, appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite appunto indiziario di questi elementi, e ciò soprattutto per la natura de relato delle pur rilevanti dichiarazioni.