Sulle case occupate di Roma governo e comune hanno idee diverse
Il ministro dell'Interno Piantedosi vuole procedere con una serie di sgomberi, mentre la giunta pensa a come aiutare gli inquilini
di Angelo Mastrandrea
Dietro il cancello d’ingresso del civico 913 di via Prenestina, che attraversa la zona orientale di Roma, svetta una torre con una meridiana dove i numeri da uno a dieci sono stati rimpiazzati dalla scritta revolution, “rivoluzione”. La meridiana è stata realizzata da Rub Kandy, un artista romano, ed è il simbolo del Metropoliz, un ex salumificio della nota azienda Fiorucci che duecento persone provenienti da dodici nazioni di tre continenti diversi – Africa, Europa e America Latina – hanno occupato il 27 marzo del 2009 e che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha messo al primo posto in una lista di 27 edifici occupati da sgomberare a Roma.
L’elenco è stato aggiornato in una riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica il 3 febbraio 2023, al quale hanno partecipato il prefetto Bruno Frattasi, il capo della polizia Lamberto Giannini, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, gli assessori alle Politiche sulla sicurezza Monica Lucarelli, alle Politiche sociali Barbara Funari e alle Politiche abitative Tobia Zevi, i vertici della procura della repubblica di Roma e rappresentanti della Regione Lazio e dell’Ater, l’azienda territoriale per l’edilizia residenziale. La regione è proprietaria attraverso l’Ater di due terzi delle 75mila case popolari di Roma e il comune del rimanente terzo, e una delle questioni discusse alla riunione riguardava gli sfratti di chi occupa un appartamento in un palazzo di edilizia popolare senza averne titolo.
L’altra riguardava le occupazioni di interi edifici, al 90 per cento di proprietà di società immobiliari o di enti previdenziali. In quella occasione il ministro Piantedosi ha chiesto di accelerare gli sgomberi, seguendo una lista e un programma che lui stesso aveva delineato ad aprile 2022, quando era prefetto di Roma.
Piantedosi è un sostenitore di un approccio duro nei confronti di chi occupa appartamenti e palazzi. Già da capo di gabinetto del ministro dell’Interno Matteo Salvini, il primo settembre del 2018 aveva firmato una circolare in cui esortava i prefetti ad “attendere agli sgomberi con la dovuta tempestività” perché “l’occupazione abusiva non lede i soli interessi della parte proprietaria, ma lede anche il generale interesse dei consociati alla convivenza ordinata e pacifica e assume un’inequivoca valenza eversiva”.
Da prefetto aveva però dovuto fare i conti con la crisi abitativa nella capitale e, a dispetto delle intenzioni, quando ha lasciato il suo incarico per andare al governo con Giorgia Meloni la situazione era identica a quella che aveva trovato al suo arrivo, ad agosto del 2020. In tutta Roma si stimano 7 mila appartamenti occupati, soprattutto in palazzi degli enti previdenziali e in case popolari, ma pure in piccoli edifici come la ex Casa del fascio lungo la via Portuense, un piccolo edificio razionalista del 1939 occupato da quattro famiglie. Ci sono poi altri 92 edifici di grandi dimensioni occupati, al 90 per cento di proprietà di società immobiliari o degli enti. Non esiste un censimento degli occupanti di case a Roma, ma sono stimati in circa 12 mila. Se fossero cacciati senza una soluzione alternativa, almeno una parte probabilmente andrebbe ad aggiungersi ai 20mila senzatetto che dormono per strada o in alloggi di fortuna.
Il 20 febbraio i primi sgomberi hanno riguardato una decina di appartamenti dell’Ater occupati da esponenti di alcuni clan malavitosi nel quartiere di San Basilio, nella periferia orientale. In una conferenza stampa convocata al ministero dopo l’operazione di polizia, Piantedosi ha detto che «verrà assicurato ogni sostegno agli occupanti che versano in condizioni di effettiva fragilità, ma il bisogno abitativo non può giustificare nessuna occupazione». Lo stesso giorno, in una diretta sui social la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto che «ora questo governo va alla guerra contro le occupazioni abusive».
La lista compilata ad aprile del 2022 comprendeva 29 edifici, che nella riunione del 3 febbraio sono stati ridotti a 27 perché in due casi il comune ha trasferito gli occupanti in case popolari. Si tratta dell’ex clinica Villa Fiorita, nel quartiere popolare di Primavalle, occupata da 70 famiglie, e di un palazzo dell’ex Inpdai (Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali) in viale delle Provincie, vicino all’università La Sapienza, abitato da 150 persone, metà delle quali minori. I due edifici si trovavano al secondo e al terzo posto della lista, subito dopo il Metropoliz, dove gli abitanti si preparano a festeggiare i quattordici anni di occupazione.
Il 27 marzo del 2009 Sara Linda Bautista Arotinto, una donna arrivata dal Perù che gli occupanti chiamano l’«alcaldesa», la sindaca, fu una delle prime a entrare nell’edificio abbandonato. «Era stato distrutto da un incendio e cadeva a pezzi, poco a poco l’abbiamo rimesso a posto con le nostre mani», ricorda. In quattordici anni gli occupanti lo hanno trasformato in una sorta di borgata autogestita, delimitata dalle mura dello stabilimento che la separa dal quartiere di Tor Sapienza. Arotinto non vorrebbe andar via, neppure se le fosse assegnata una casa popolare. «Qui ci conosciamo tutti e ci aiutiamo a vicenda, è più sicuro anche per i miei tre figli, che rischierebbero di crescere per strada e di finire nelle mani della criminalità», dice. Sono cresciuti nei 20 mila metri quadrati del Metropoliz: Vittorio, il più grande, aveva appena nove mesi il giorno dell’occupazione e ora sogna «di avere un giorno i soldi per comprare questo posto e regalarlo a tutti quelli che ci abitano».
Da quattordici anni la borgata autogestita oscilla tra il riconoscimento e lo sgombero. Gli occupanti sono stati denunciati per furto di elettricità. La società Ca.Sa. Srl del gruppo Salini Impregilo, che nel 2003 acquistò lo stabilimento diroccato per 6,85 milioni di euro, nel 2018 ha ottenuto dal tribunale un risarcimento di 27,9 milioni di euro dallo Stato e dal comune di Roma. Il giudice li ha ritenuti colpevoli di non aver sgomberato l’immobile e di non averlo riconsegnato ai proprietari, che avevano presentato un progetto per costruirci palazzine residenziali impegnandosi a riservarne una parte a famiglie in stato di disagio abitativo.
«Non abbiamo accettato le proposte dei proprietari e non abbiamo chiesto soldi a nessuno perché volevamo rimanere liberi» dice Paolo Di Vetta, un attivista dei Blocchi precari metropolitani, un movimento di lotta per la casa che nel 2009 organizzò l’occupazione. Gli occupanti hanno accettato solo le donazioni di opere d’arte. Nei padiglioni dove i maiali erano macellati e veniva insaccata la carne dal 2011 a oggi trecento artisti da tutto il mondo hanno dato vita a un’esposizione permanente che conta seicento opere. L’hanno denominato MAAM (Museo dell’Altro e dell’Altrove) e l’ideatore Giorgio De Finis lo definisce una «barricata artistica» costruita a protezione degli occupanti. L’artista Michelangelo Pistoletto nel 2015 portò qui la sua Venere degli stracci, una statua che riproduce la Venere con mela dello scultore danese Bertel Thorvaldsen, affiancata da una montagna di stracci per simboleggiare il disordine della vita moderna, invitando gli abitanti del Metropoliz a completarla con i loro abiti; lo street artist Lucamaleonte ha ridipinto le mura e altre opere sono state installate nelle casette basse tirate su con mattoni e cartongesso dove prima c’erano uffici o la mensa.
Ogni sabato gli occupanti aprono le porte ai visitatori, organizzando visite guidate anche in inglese. Accademici da molti paesi diversi sono venuti a studiare questo singolare caso di museo abitato e gli occupanti hanno avviato collaborazioni con alcune università. Il comune di Roma lo ha indicato tra le mete turistiche da visitare, ha approvato la candidatura a patrimonio immateriale dell’umanità Unesco e ora vuole acquistarlo. «È l’unico strumento che abbiamo, visto che non possiamo opporci alla richiesta di sgombero», dice l’assessore al Patrimonio e alle Politiche abitative Tobia Zevi, del Partito Democratico.
Nel nuovo Piano casa messo a punto dal suo assessorato, il Metropoliz è indicato tra i beni che il comune acquisterà, insieme a un altro edificio inserito nella lista di Piantedosi. Si tratta di un palazzo di otto piani dell’ex Inpdap (Istituto nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica) in via di Santa Croce in Gerusalemme, a poca distanza dalla piazza di San Giovanni in Laterano, occupato nel 2013 dagli attivisti di Action, un altro movimento di lotta per la casa, e denominato Spin Time. Al suo interno vivono 300 persone di 24 nazionalità diverse.
Negli spazi comuni gli occupanti hanno creato un coworking, una sala di registrazione, un’area giochi per i bambini e un auditorium. C’è anche la redazione di un giornale che si chiama Scomodo.
Quando al palazzo fu staccata la corrente elettrica per 300mila euro di bollette non pagate, il 14 maggio del 2019, papa Francesco mandò Konrad Krajewski, un cardinale che ha il ruolo di elemosiniere, cioè il compito di distribuire la carità ai poveri, a togliere i sigilli al contatore per ridare l’elettricità agli occupanti. Il 16 giugno 2021 al suo interno si svolse il primo dibattito tra i sette candidati alle primarie del centrosinistra al comune di Roma, tra i quali c’era pure Zevi.
L’assessore ha affisso a una parete del suo ufficio un cronoprogramma informale per affrontare l’emergenza casa: prevede di concluderlo entro il 2026. «Per tanti anni a Roma le politiche abitative sono state dimenticate, ora proviamo a rimettere un po’ di ordine», dice. Le 32 pagine del piano delineano una strategia basata su tre proposte: un welfare abitativo leggero, cioè un primo sostegno economico con aiuti a pagare l’affitto, le caparre e i traslochi in caso di sfratto, l’acquisto di nuove case popolari e progetti di rigenerazione urbana. «Vogliamo aiutare le persone a rimanere nelle loro case, non cacciarle», spiega Zevi.
Il governo Meloni non ha però rifinanziato il Fondo morosità incolpevole, istituito nel 2013 dal governo Letta per sostenere le persone in temporanea difficoltà economica, costringendo il comune ad attingere ai fondi degli anni precedenti, non assegnati dalla precedente amministrazione guidata da Virginia Raggi del Movimento 5 Stelle: 40 milioni di euro dal 2019 al 2021. A questi sono stati aggiunti i 15 milioni del 2022. Per l’acquisto di nuove case popolari il comune ha stanziato 220 milioni di euro per quest’anno e in totale 500 milioni entro il 2026.
Con questi soldi ha comprato 120 appartamenti dell’INPS in diverse zone della città ed è in trattativa con l’ENASARCO (Ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio) per l’acquisto di altre abitazioni. L’assessorato ha aperto alcuni sportelli per l’emergenza casa ai quali i cittadini possono rivolgersi e ha accelerato le procedure per l’assegnazione delle case popolari. Nel 2022 sono state sistemate 350 famiglie – 200 occupanti di altri stabili da sgomberare e 150 inserite nella graduatoria di chi ha fatto la domanda per l’assegnazione – e per quest’anno «l’obiettivo è arrivare a 500», spiega il direttore del Dipartimento patrimonio e politiche abitative Tommaso Antonucci. «Stiamo assegnando in media una ventina di appartamenti alla settimana», dice. È in corso inoltre la digitalizzazione dell’intero archivio catastale dal 1600 a oggi e un censimento del patrimonio comunale, che secondo le prime stime ammonta a 76mila beni.
Spin Time e Metropoliz rientrano invece tra i progetti di rigenerazione urbana. A questi va aggiunto il Santa Maria della Pietà, nella zona nord-ovest di Roma, che con 3mila posti letto in 37 padiglioni e un’estensione di 270 mila metri quadrati è stato il più grande ospedale psichiatrico d’Europa. Fu chiuso nel 2000 e da tempo associazioni e cittadini chiedevano che fosse riqualificato. La struttura è di proprietà della Regione Lazio e dell’ASL Roma 1, mentre il parco che la circonda appartiene alla Città metropolitana.
Il progetto è stato inserito nel cosiddetto Piano integrato urbano e finanziato con 70 milioni del PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza finanziato dall’Unione europea per rilanciare l’economia dopo la pandemia. Prevede la costruzione di una biblioteca nel padiglione 31, che ha ospitato un centro sociale sgomberato il 25 febbraio del 2021, l’Ex Lavanderia, un centro diurno e un ambulatorio per persone con problemi cognitivi, una struttura per disabili, alloggi per persone che sono state sfrattate e per donne vittime di violenze, un centro di educazione ambientale, una scuola di cucina e un coworking con uno spazio dedicato alle start up. Nel padiglione 25, dove nel 1975 venne organizzato un singolare esperimento di autogestione da parte di un gruppo di infermieri che volevano applicare le teorie di Franco Basaglia – il medico che rivoluzionò la psichiatria italiana e che ha dato il nome alla legge che chiuse i manicomi – nascerà un centro per minori. Lo stesso padiglione è al numero 17 della lista di Piantedosi degli edifici da sgomberare.
Spostandosi più a sud, nel quartiere Ostiense a ridosso del fiume Tevere, c’è l’ex Direzione dei magazzini del commissariato in via del Porto Fluviale. La caserma dismessa, di proprietà dell’Agenzia del demanio, fu occupata nel 2003 dal Coordinamento di lotta per la casa, ospita attualmente 150 persone ed è al numero 23 della lista degli sgomberi del governo. Il 20 ottobre del 2022 l’assemblea capitolina ha però approvato una delibera che decide l’acquisto e la riqualificazione, con la realizzazione di alloggi che saranno assegnati “attraverso un bando speciale con priorità per le famiglie che abitano l’immobile in possesso dei requisiti e al piano terra in servizi per il quartiere”. I soldi per comprarla e sistemarla, 11 milioni di euro in totale, sono presi dal PNRR.
Altri 100 milioni di euro, sempre del Piano nazionale di ripresa e resilienza, sono stati destinati alla riqualificazione delle cosiddette torri di Tor Bella Monaca, un quartiere della periferia est oltre il Grande Raccordo Anulare, l’autostrada che circonda ad anello la città. Si tratta di ventuno palazzi di quindici piani destinati ad alloggi popolari e divenuti un simbolo del degrado urbano e della ghettizzazione delle fasce più povere della popolazione. Saranno eliminati i cortili, le barriere e gli anfratti che, secondo il rapporto Mafie nel Lazio della regione, sono delle “piazze di spaccio chiuse”, promuovendo invece l’apertura di servizi e attività commerciali.
Al comune di Roma stanno valutando anche altri acquisti di edifici occupati. Ai primi posti c’è un palazzo occupato in via Lucio Calpurnio Bibulo 13, nel quartiere popolare del Quadraro, nella zona sud-est della città. L’edificio si trova al numero tre della lista di Piantedosi e dovrebbe essere sgomberato subito dopo un altro stabile occupato in via del Policlinico, vicino all’università La Sapienza, nel quale vive un centinaio di persone. Eliana Pierantoni ci è arrivata da bambina, nel 1969. I suoi genitori presero un appartamento in affitto e lei non si è mai spostata. Ha continuato a pagare le mensilità ai proprietari fino al 2018, nonostante fosse già considerata un’occupante, “perché mio padre non avrebbe sopportato l’idea di non pagare”, poi ha smesso.
Antonietta Fiamminghi è invece arrivata il 24 ottobre del 2005 in uno dei 46 appartamenti abbandonati da tempo che l’allora presidente del Municipio X Sandro Medici, un ex giornalista del Manifesto eletto come indipendente di sinistra, aveva requisito per far fronte all’emergenza abitativa come prima di lui aveva fatto, alla metà degli anni Cinquanta, solo il sindaco di Firenze Giorgio La Pira. «Avevamo fatto domanda per una casa popolare, ma era tutto pieno, non sapevamo dove andare», ricorda.
Da allora i vecchi affittuari e i nuovi assegnatari degli appartamenti requisiti hanno vissuto continui passaggi di proprietà, hanno dovuto affrontare spese impreviste, si sono organizzati per autogestire il palazzo e ogni volta che la loro vicenda pareva risolversi positivamente in realtà peggiorava. Nel 2007 il palazzo fu venduto dalla società immobiliare Trea a un’altra, l’Araba Fenice, che aveva lo stesso amministratore. Nel 2010 fu acquistato dalla Dierreci Costruzioni, che finì in un filone dell’inchiesta per il fallimento della banca Tercas. Nel 2014 la società fallì e il palazzo fu messo all’asta.
Nel frattempo i condomini avevano dovuto rateizzare un debito di 100mila euro con la società comunale Acea per bollette dell’acqua non pagate.
Nel 2017, proprio quando si stava concludendo l’acquisto da parte del comune, al curatore fallimentare arrivò un’offerta di 13 milioni di euro da parte di un’altra società, la Loanka srl, controllata dalla Hera holding spa. Il sindacato degli inquilini Asia USB, che segue la vicenda dai tempi della requisizione, presentò una denuncia alla procura della Repubblica sulle modalità della vendita, attraverso un’offerta fuori asta considerata “irrituale”. La compagnia immobiliare sul suo sito web parla in maniera esplicita di “sgombero di un fabbricato occupato abusivamente” e di una sua “successiva riqualificazione”. Nel frattempo gli inquilini hanno costituito un’associazione che gestisce le spese del palazzo, si alternano fra loro nelle pulizie delle parti comuni e nel servizio di portierato, e mantengono il palazzo in ottime condizioni. Per il sindacalista dell’Asia USB Agostino Zelli si tratta di “un condominio modello”.
Al settimo posto della lista di Piantedosi c’è pure la sede della formazione politica di estrema destra CasaPound, al civico 8 di via Napoleone III, nel quartiere multietnico dell’Esquilino. Nei sei piani del palazzo costruito in stile razionalista, occupato il 26 dicembre 2003 e di proprietà dell’Agenzia del demanio, vivono venti famiglie. A dicembre del 2022 il governo ha però dato parere contrario a un ordine del giorno presentato da Angelo Bonelli dell’Alleanza Verdi e Sinistra durante la conversione in legge alla Camera dei deputati del decreto-legge contro i rave party. Il testo chiedeva di “dare rapida attuazione” allo sgombero dell’edificio occupato da CasaPound a Roma.