Un’attivista polacca è stata condannata per aver aiutato una donna ad abortire
È un tentativo da parte del governo di destra di intimidire i movimenti femministi in un paese dove l'aborto è, di fatto, vietato
Justyna Wydrzyńska, attivista di un movimento polacco che si occupa di dare informazioni e assistenza alle donne che vogliono abortire in un paese dove è praticamente impossibile farlo, è stata condannata da un tribunale di Varsavia a dieci mesi di lavori di pubblica utilità per aver aiutato una donna a interrompere una gravidanza indesiderata. Wydrzyńska, scrivono diversi giornali e organizzazioni per i diritti, potrebbe essere la prima attivista in Europa a essere condannata per aver aiutato qualcuna ad accedere all’aborto.
Dall’inizio del 2021 in Polonia è entrata in vigore una contestatissima norma che vieta l’aborto anche in caso di malformazione del feto e che, nei fatti, sancisce il divieto quasi totale di abortire nel paese. Per dare l’idea: nel 2019 1.074 dei 1.100 aborti eseguiti in Polonia erano stati a causa di malformazioni del feto. La legge era stata presentata dal governo guidato dal partito di destra Diritto e Giustizia (PiS), che è molto vicino alle gerarchie cattoliche, e dopo una sentenza della Corte costituzionale che modificava una legge sull’interruzione di gravidanza che era già una delle più restrittive d’Europa.
La nuova legge era stata duramente contestata dalle enormi manifestazioni e proteste che si erano tenute sia in Polonia che nel resto del mondo, che per un certo periodo erano anche riuscite ad ostacolarne l’approvazione.
Nel codice penale polacco l’aiuto all’aborto, il reato di cui era accusata Wydrzyńska, è criminalizzato, mentre una donna che assume da sola delle pillole abortive ottenute con mezzi propri non può essere perseguita. Ed è proprio sfruttando questo passaggio che le attiviste sostengono il diritto all’autodeterminazione delle donne polacche inviando loro delle pillole abortive. Justyna Wydrzyńska è tra le fondatrici del gruppo Kobiety w Sieci, primo forum online polacco su cui trovare informazioni senza pregiudizi sull’aborto. Fa parte della rete Abortion without borders, un insieme di associazioni e collettivi che collaborano per aiutare le donne polacche a ottenere consigli, dando anche sostegno e accesso, attraverso internet, a un aborto sicuro nel paese o all’estero.
Nel 2020, Wydrzyńska aveva aiutato una donna vittima di violenza a interrompere una gravidanza indesiderata, inviandole delle pillole abortive. Il partner della donna, che le aveva precedentemente proibito di andare in Germania per interrompere la gravidanza, aveva requisito le pillole e aveva chiamato la polizia. La donna coinvolta aveva infine avuto un aborto spontaneo.
Il processo di Wydrzyńska è durato undici mesi. Durante le udienze, fuori dal tribunale di Varsavia e anche in altre città si sono svolte manifestazioni e presidi con uno striscione che diceva “Jak Justyna” (“io sono Justyna”). Wydrzyńska è stata sostenuta dai movimenti femministi, da centinaia di migliaia di persone che hanno firmato una petizione per la procura, da organizzazioni come Amnesty International o Human Rights Watch. Sul suo caso sono poi intervenuti i parlamenti di alcuni stati europei, come quello belga, decine di deputate e deputati del Parlamento europeo e, tra gli altri, anche la Fondazione internazionale di Ginecologia e Ostetricia. Poco prima della lettura della sentenza Wydrzyńska ha tenuto un lungo discorso:
«Qui, in quest’aula, stiamo parlando di diritti umani fondamentali, come il diritto all’autodeterminazione. (…) Questo processo non si sarebbe mai dovuto svolgere. (…) Eppure sono qui, Vostro Onore, seduta sul banco degli imputati. E quest’ultimo anno è stato molto difficile per me, per la mia famiglia e per chi mi è vicino.
Sento di essere innocente. Quello che ho ascoltato qui in questa stanza, i dettagli della situazione di Ania (come viene chiamata la donna a cui Wydrzyńska ha inviato le pillole, ndr) mi hanno solo convinta che le mie azioni erano giuste. Mi ha fatto capire che dovevo fidarmi del mio intuito e correre il rischio di aiutare chi ne ha bisogno. Vorrei che nessuna donna si trovasse mai da sola in queste situazioni difficili, senza sostegno, con la famiglia che agisce contro di lei. Credo che aiutare un’altra persona che chiede sostegno mentre lotta per la propria libertà sia un nostro dovere. È ciò che ci rende umani. E non lo tradirò, non me ne vergognerò né crederò mai che si tratti di un crimine.
(…) Vostro Onore, viviamo in un paese che non rispetta le donne. La legge anti-aborto non è solo crudele; è fittizia. La legge non impedisce alle persone con gravidanze indesiderate di interromperle. Questa non è una mia opinione, questo è ciò che mostrano tutte le ricerche sull’aborto, in tutto il mondo. (…) Una donna che non vuole essere incinta pensa in modo pragmatico; come accedere all’aborto, quanto costerà, se se lo può permettere. E avrà quell’aborto, indipendentemente dalla legge e indipendentemente da quanto sarà sicuro il metodo che userà.
(…) Non voglio che nessuna passi da sola attraverso una pericolosa pratica di aborto non sicuro, quando è possibile farlo in sicurezza e senza stigmi. Non voglio che nessuna di noi sia costretta ad abbandonare il proprio diritto alla libertà e all’autodeterminazione.
(…) Siamo qui per decidere della mia colpa. Non sono colpevole e lo dirò ad alta voce: la colpa è dello Stato, per aver abbandonato Ania (…) e milioni di donne in tutto il paese.
Al tribunale, chiedo l’assoluzione».
L’entità della pena a cui è stata condannata Wydrzyńska è stata accolta, in parte, con sollievo, perché l’articolo 152 del codice penale polacco, quello che punisce il reato di “aiuto all’aborto”, prevede fino a tre anni di carcere, che era tra l’altro la richiesta del pubblico ministero. Dopo la condanna, davanti alle telecamere, Wydrzyńska ha ribadito di non sentirsi colpevole e ha detto che lei e i collettivi femministi non si fermeranno: continueranno a rispondere a ogni richiesta di aiuto. L’attivista ha anche aggiunto di non accettare il verdetto e che presenterà ricorso.
I movimenti femministi hanno spiegato che il processo a Wydrzyńska è stato un tentativo di intimidazione nei confronti di tutte le donne e di tutte le persone «che si aiutano a vicenda per interrompere delle gravidanze che non vogliono». E hanno anche interpretato la sentenza piuttosto clemente contro Wydrzyńska dicendo che il prossimo autunno nel paese ci saranno le elezioni.
Da quando, nel 2015, alla guida della Polonia è arrivato il partito di estrema destra Diritto e Giustizia, lo stato di diritto ha cominciato via via a essere messo in discussione. Sul potere giudiziario, in particolare sui giudici, è ad esempio progressivamente aumentata l’influenza del potere esecutivo e di quello legislativo, causando un indebolimento netto dell’indipendenza della magistratura polacca. In questo caso, per le femministe, quest’influenza ha giocato in qualche modo a favore di Wydrzyńska. Natalia Broniarczyk, attivista di Abortion without borders, ha spiegato che le imminenti elezioni hanno «senza dubbio contribuito a far pendere la bilancia verso una pena più clemente. Il massimo della pena sarebbe stato un suicidio, dato che il 70 per cento della popolazione sostiene l’accesso all’aborto».
La scorsa settimana il parlamento aveva respinto in prima lettura un disegno di legge che prevedeva la criminalizzazione di chi forniva informazioni sulle possibilità di aborto in Polonia e all’estero: questa votazione, così come la sentenza su Wydrzyńska, servirà, secondo i movimenti femministi, a rimettere al centro della discussione pubblica la questione dell’aborto.