Chi è il nuovo primo ministro della Cina
Li Qiang è stato nominato soprattutto per la sua fedeltà a Xi Jinping, e questo pone un problema di meritocrazia
di Guido Alberto Casanova
A Pechino, la capitale della Cina, si sono appena concluse le “due sessioni”, l’appuntamento legislativo annuale in cui vengono presentate formalmente alcune delle decisioni più importanti della vita politica cinese. Quest’anno però, oltre ai comuni lavori di carattere legislativo delle due sessioni, i delegati avevano anche il compito di rinnovare le nomine del governo cinese. Dopo dieci anni di mandato il segretario generale del partito Xi Jinping ha ottenuto per la prima volta un terzo mandato da presidente della repubblica, mentre il secondo in carica all’interno del partito Li Qiang è stato eletto come nuovo primo ministro del Consiglio di Stato, l’organo esecutivo incaricato di governare la Cina: è la carica che comunemente viene definita “premier cinese”, che tradizionalmente affianca il presidente e si occupa della gestione dell’economia.
Ma da quando Xi Jinping è al potere, la carica di primo ministro è stata in gran parte svuotata dei suoi poteri, e non è ancora chiaro che ruolo avrà Li Qiang, che è uno stretto alleato di Xi, all’interno del sistema cinese.
Le due sessioni
Per “due sessioni” si intendono le plenarie dei due organi legislativi più importanti della Repubblica Popolare Cinese, che normalmente sono convocate una volta l’anno durante il mese di marzo. Questi due organi sono l’Assemblea nazionale del popolo, il parlamento del paese dominato dai membri del Partito comunista, e la Conferenza politica consultiva del popolo cinese, un organo che affianca il parlamento e nel quale invece trovano più spazio le altre formazioni politiche cinesi (cioè partiti politici dipendenti dal Partito comunista che hanno il ruolo di declinare alcune espressioni della società cinese senza mai mettere in dubbio la supremazia comunista), così come i rappresentanti delle organizzazioni e della società civile.
Riguardo alle nomine non ci sono state grosse sorprese rispetto a quanto rivelato lo scorso ottobre al ventesimo congresso del Partito comunista cinese, dove di fatto sono stati decisi gli incarichi che poi nei giorni scorsi sono stati confermati dal voto dei delegati dell’Assemblea. Xi è stato riconfermato alla guida della Repubblica Popolare Cinese mentre il suo alleato Li Qiang sarà incaricato di condurre l’attività governativa. Xi è stato confermato con il voto unanime dell’Assemblea, mentre Li ha ricevuto 2.936 voti a favore, 3 contrari e 8 astensioni.
Li Qiang
L’ascesa a nuovo primo ministro di un politico come Li Qiang è un fatto insolito per la politica cinese. Fino allo scorso ottobre, Li era una figura di primo piano nella politica a livello locale: era stato governatore e poi segretario di partito in due province costiere molto industrializzate della Cina, prima di diventare segretario del partito a Shanghai nel 2017. Questi incarichi però hanno tenuto Li per gran parte della propria carriera lontano dalla capitale, dove si decide la politica a livello nazionale. Li infatti non ha mai avuto incarichi di governo a Pechino né tanto meno la carica di vice primo ministro, un ruolo che fino a ora in Cina era stato una tappa essenziale della carriera politica di chiunque fosse diventato primo ministro negli ultimi 35 anni.
Se Li Qiang è stato in grado di saltare le tappe abituali per diventare primo ministro è perché Xi Jinping ha voluto avere una persona a lui fedele in questa carica importante.
Durante la sua esperienza amministrativa Li si è costruito l’immagine di politico attento alle questioni tecnologiche e amichevole verso gli imprenditori. Nel 2019 Shanghai ha inaugurato lo STAR Market, ossia una borsa valori che permette alle società tecnologiche di raccogliere più agevolmente i capitali necessari per il proprio sviluppo. Non è quindi un caso se durante la prima conferenza stampa tenutasi lunedì il nuovo primo ministro abbia cercato di rassicurare il settore privato.
Sul suo conto però pesa la gestione disastrosa del lockdown di Shanghai, che durante la primavera del 2022 ha obbligato milioni di residenti della città a restare chiusi in casa per quasi due mesi, e ha provocato grosse e inedite proteste in città, che si sono poi estese al resto del paese.
La fedeltà a Xi Jinping
La domanda ora è quale sia l’autonomia di manovra del nuovo primo ministro, che deve la propria promozione quasi esclusivamente a Xi Jinping. Privo di una base di potere personale, Li infatti appartiene al cosiddetto “Nuovo Esercito del Zhijiang” e cioè quella che è definita in gergo giornalistico come la fazione interna al Partito comunista in cui militano le persone più fedeli a Xi Jinping. Li Qiang, di fatto, deve la sua carriera interamente a Xi Jinping, che l’ha scelto come primo ministro proprio per la sua fedeltà.
Secondo molti analisti, i margini di manovra per Li saranno molto ristretti. Come dice Beatrice Gallelli, ricercatrice dell’Università Ca’ Foscari e del centro studi Istituto affari internazionali (IAI), il prossimo primo ministro probabilmente sarà una figura di basso profilo rispetto al presidente. «Con Li Qiang si assisterà a una continuazione della prassi comunicativa incentrata su Xi Jinping come visto fino ad adesso», dice Gallelli. «Se il suo predecessore in alcuni comunicati aveva fatto intuire di avere alcune visioni non allineate con Xi Jinping, per Li Qiang questo non sarà il caso».
Fonti interne cinesi però, attraverso rivelazioni ai media stranieri, stanno provando a renderlo una figura di una certa autorevolezza. Qualche giorno fa Reuters scriveva che l’abbandono della strategia “zero Covid” sarebbe infatti da attribuire proprio a Li Qiang, che avrebbe fatto pressione per velocizzare la riapertura del paese dopo le draconiane misure di contenimento del virus.
Li rimane però un fondamentale problema di immagine per la dirigenza cinese. Con la nomina di un suo stretto collaboratore a scapito di altri candidati considerati più competenti, Xi si espone alle critiche di chi ritiene che sotto la sua autorità il modello cinese abbia perso quel principio meritocratico che ne aveva determinato il successo economico. «È chiaro che [la nomina di] Li Qiang pone una sfida», dice Gallelli, poiché il sistema politico della Cina «è stato largamente celebrato dalle autorità cinesi come un sistema basato sulla meritocrazia e capace di creare più stabilità e prosperità rispetto a una democrazia elettorale».