Il video di Sea-Watch sui mancati soccorsi dopo il naufragio al largo della Libia
L'ong ha pubblicato alcune registrazioni che dimostrerebbero la scelta deliberata della Guardia costiera di non intervenire
L’ong tedesca Sea-Watch ha pubblicato un video in cui ricostruisce come si sono sviluppati gli eventi che tra sabato e domenica avevano portato al naufragio di una barca con a bordo 47 persone migranti al largo della Libia. Secondo Sea-Watch, i ritardi nei soccorsi avrebbero contribuito a causare il naufragio dell’imbarcazione e la morte di 30 delle persone che erano a bordo: dalla ricostruzione dell’ong risulta decisiva per i ritardi la negligenza della Guardia costiera italiana, che era stata avvertita molto tempo prima del pericolo e che secondo Sea-Watch avrebbe deciso deliberatamente di non intervenire in modo tempestivo.
La ricostruzione di Sea-Watch si basa sulle informazioni fornite da Alarm Phone, il call center della ong Watch the Med che segnala le emergenze in mare, e sulle registrazioni fatte dalla stessa Sea-Watch durante le conversazioni avute con le autorità libiche e italiane nel tentativo di coordinare le operazioni di soccorso. Le immagini dall’alto della barca e delle navi sono invece state riprese da Seabird, l’aereo da ricognizione che sorvola il mar Mediterraneo per conto di Sea-Watch.
Mentre le autorità si rimbalzano le responsabilità, a solo 2 settimane dalla strage di Cutro, 30 persone annegano nel Mediterraneo. La nostra ricostruzione con gli audio delle comunicazioni tra #Seabird, i mercantili vicini al barchino, i centri di coordinamento libico e italiano pic.twitter.com/CL3TrOobTZ
— Sea-Watch Italy (@SeaWatchItaly) March 13, 2023
Alarm Phone aveva lanciato il primo allarme alle autorità italiane per il soccorso del barcone in pericolo all’1:28 (ora italiana) di sabato 11 marzo: in quel momento si trovava nella zona SAR della Libia. Le zone SAR sono aree di mare in cui gli stati costieri si impegnano a mantenere attivo un servizio di “ricerca e salvataggio”, in inglese search and rescue (da cui la sigla SAR). La Libia ne ha uno dal 2018, messo in piedi e finanziato soprattutto dall’Italia: ma ancora oggi è un paese dove si combatte una guerra civile, e la Guardia costiera che dovrebbe sovrintendere alla zona SAR è in realtà una milizia armata che ha come obiettivo primario quello di riportare in Libia le imbarcazioni di migranti. Ormai da anni opera senza rispettare nessuno standard nella gestione di operazioni di soccorso.
Per queste ragioni Alarm Phone è solita inviare le proprie segnalazioni non solo alle autorità libiche, ma anche a quelle maltesi e al Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo italiano, che fa capo alla Guardia costiera: nella speranza, in sostanza, che a intervenire non siano le autorità libiche (che comunque vanno avvertite per rispetto delle norme marittime) ma quelle italiane o maltesi.
– Leggi anche: I soccorsi in mare dei migranti, spiegati bene
Seabird invece aveva avvistato il barcone alle 9:32 di sabato mattina, quindi otto ore dopo Alarm Phone, e aveva fatto una chiamata d’emergenza per il soccorso. Nel video si sente il contenuto di questa chiamata di emergenza: «Una barca di legno grigia con circa 50 persone a bordo, stazionaria e in onde alte. Le persone si stanno sbracciando in segno di pericolo. È richiesta assistenza immediata».
Alla chiamata aveva risposto poco dopo la nave mercantile BASILIS L, che una volta arrivata sul posto però non aveva avviato nessuna operazione di soccorso. Alle 10:31 di sabato mattina Seabird aveva richiamato BASILIS L per chiedere informazioni su come intendesse procedere: BASILIS L aveva detto di essere in contatto con il Centro di coordinamento della Guardia costiera italiana (nelle registrazioni viene chiamato con la sigla inglese, «MRCC Rome»): ogni operazione SAR, infatti, va concordata con un Centro di coordinamento marittimo. «Ci hanno detto di seguire le istruzioni della Guardia costiera libica», aveva detto a quel punto l’equipaggio di BASILIS L.
La Guardia costiera libica a sua volta aveva detto a BASILIS L di raggiungere l’imbarcazione in difficoltà, e poi richiamarla una volta arrivati a destinazione. A quel punto l’equipaggio di terra di Sea-Watch aveva cercato di fare da tramite per facilitare le operazioni, contattando il Centro di coordinamento del soccorso marittimo a Tripoli, la capitale (nelle registrazioni viene chiamato con la sigla «JRCC»): dal centro avevano detto di conoscere la situazione e di aver informato le autorità di Bengasi, la città libica più vicina a dove si trovava l’imbarcazione in pericolo. Stando alle loro dichiarazioni, però, a Bengasi non avevano motovedette a disposizione per le operazioni di soccorso. Non è chiaro in quali operazioni fossero impegnate: la Guardia costiera libica parla molto raramente con i giornalisti europei e le sue ricostruzioni comunque non vengono ritenute particolarmente affidabili.
Dopo il sostanziale rifiuto di soccorso da parte della Libia, alle 16:06 di sabato Sea-Watch aveva quindi chiamato il Centro di coordinamento della Guardia costiera italiana, spiegando che dalla Libia non sarebbero arrivate motovedette per il soccorso. La persona di Sea-Watch al telefono con le autorità italiane dice: «Volevo chiedere chi è responsabile ora per questo caso, visto che JRCC Libia non è in grado di rispondere a questa emergenza, in quanto non hanno alcun potere o autorità a Bengasi».
Dall’altra parte si sente come risposta: «Ok, grazie per l’informazione. Arrivederci», e nient’altro. La barca si sarebbe ribaltata alcune ore dopo, domenica mattina, dopo aver trascorso tutta la notte in condizioni di pericolo: per questo Sea-Watch accusa le autorità italiane di avere una responsabilità nel naufragio e nella morte delle 30 persone che erano a bordo dell’imbarcazione. Anche Alarm Phone aveva accusato le autorità italiane di aver «ritardato deliberatamente i soccorsi» alle persone migranti, «lasciandole morire».
La Guardia costiera italiana ha fatto sapere in una nota di aver dato istruzioni a tre navi mercantili nell’area di osservare lo stato dell’imbarcazione in difficoltà e di aver inviato al contempo altre navi verso l’area, ma non ha specificato se lo avesse fatto nel momento in cui era stata avvertita da Sea-Watch del mancato intervento della Guardia costiera libica.
Nella stessa nota la Guardia costiera ha anche spiegato che l’imbarcazione si era capovolta domenica mattina durante le operazioni di soccorso, mentre alcune delle altre persone venivano portate in Italia a bordo di una nave mercantile. Le accuse alle autorità italiane e alla Guardia costiera però non riguardano tanto il soccorso in sé, quanto i grossi ritardi con cui sono avvenute, visto che le segnalazioni di emergenza erano iniziate almeno 24 ore prima.