Il film che ha sbancato agli Oscar non è un classico film da Oscar
“Everything Everywhere All at Once” è un film stranissimo, di quelli che un tempo non sarebbero piaciuti all'Academy
Nel mondo del cinema esiste un termine preciso per il genere di film che sembra essere stato fatto apposta per vincere un premio Oscar: Oscar bait, che vuol dire più o meno “trappola per Oscar”. Le “trappole per Oscar” sono normalmente film drammatici ma non controversi, spesso ambientati in un periodo storico lontano e tragico, con attori famosissimi e budget enormi per la scenografia e i costumi, che fanno il proprio debutto durante grossi e prestigiosi festival internazionali. Escono di solito negli ultimi mesi dell’anno, per assicurarsi di essere ricordati dai membri dell’Academy che votano per le nomination e i vincitori. Fino a qualche anno fa, inoltre, erano fatti per piacere a una giuria storicamente composta in larga parte da uomini bianchi e facoltosi sopra i sessant’anni.
Everything Everywhere All at Once, il film diretto da Daniel Kwan e Daniel Scheinert (i “Daniels”) che ha sbancato nella 95esima edizione dei premi Oscar, vincendo sette premi nelle categorie miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale, miglior montaggio, miglior attrice, miglior attore non protagonista e miglior attrice non protagonista, non è praticamente niente di tutto questo.
Everything Everywhere All at Once è un film stranissimo e difficile da definire, che appartiene al genere della fantascienza ma contemporaneamente è anche una commedia e un film d’azione: tutti generi che l’Academy ha a lungo trascurato nella scelta del miglior film. A dirigerlo e scriverlo sono stati due registi al secondo film con un budget sostanzioso ma non straordinario: 14 milioni. Era stato presentato nel marzo del 2022 al festival texano South by Southwest, dove raramente vengono proiettati film che poi finiscono candidati agli Oscar.
Appena uscito nei cinema non aveva avuto particolare successo ma grazie soprattutto al passaparola Everything Everywhere All at Once è arrivato alla fine di luglio a 100 milioni di incassi. È stato il primo film della casa di produzione indipendente A24 a raggiungere questo risultato economico. In Italia è uscito a ottobre e poi di nuovo a febbraio, dopo le varie vittorie ai Golden Globes.
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La protagonista del film, Evelyn Juan Wang, è una donna cinese di mezz’età che gestisce una lavanderia negli Stati Uniti, dove è immigrata quando si è sposata, e che deve affrontare la crisi del proprio matrimonio, la distanza crescente con la figlia adolescente e lesbica, il rapporto col padre, e il fatto di non riuscire a pagare le tasse. La trama però prende presto una piega surreale quando Evelyn scopre di poter sperimentare contemporaneamente le vite e le abilità delle sue identità che abitano in universi paralleli nati dalle infinite possibili scelte che possono cambiare il corso di una vita. E di essere l’unica a poter combattere Jobu Tupaki, un nemico potentissimo che minaccia di distruggere l’universo.
Everything Everywhere All at Once contiene riferimenti pop e diverse sequenze demenziali che non tutti hanno apprezzato: c’è un universo parallelo in cui le persone hanno lunghe dita con forma e consistenza di wurstel (che infilano nelle bocche degli altri come in una specie di pratica erotica), ci sono dialoghi commoventi tra sassi, un universo nato dall’errore di pronuncia del titolo di un film d’animazione, uomini che saltano e atterrano di sedere su grossi sex toys anali. La cattiva della storia è un’adolescente nichilista che ha creato un bagel – un pane a forma di ciambella molto diffuso negli Stati Uniti – farcito di tutto ciò di cui è composto l’universo.
Per tutti questi motivi, a lungo non si è parlato di Everything Everywhere All at Once come di un film che poteva realisticamente ambire a vincere l’Oscar per il miglior film.
Secondo la giornalista Alissa Wilkinson, che ne ha scritto su Vox, questo non è il primo film a suggerire che «l’era dei vincitori del miglior film facilmente prevedibili potrebbe davvero essere finita» e cita altri vincitori degli ultimi anni come Moonlight (a sua volta prodotto da A24), La forma dell’acqua e CODA, «che hanno sfidato le nostre idee preconcette sui film che possono vincere gli Oscar. Ciò è certamente dovuto, in parte, all’allargamento della giuria, che sta cambiando la composizione demografica dell’Academy, diversificandone i gusti».
Negli ultimi anni infatti, dopo molte critiche sulla scarsa inclusività emersa dall’assegnazione degli Oscar, l’Academy si è sforzata di invitare nuovi membri con maggiore considerazione per le minoranze di genere e razziali: i membri che ogni anno votano i film candidati e vincitori sono ora quasi 10mila e questo allargamento sta evidentemente avendo qualche effetto.
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Everything Everywhere All at Once ha però anche una serie di elementi che da sempre rispondono ai gusti dell’Academy: è una storia di rimpianti, ansia, depressione e scontri generazionali. E ha un finale che fa piangere. Qualche giorno prima della cerimonia, quando era ormai molto probabile che avrebbe vinto l’Oscar come miglior film, il giornalista Alex Abad-Santos ha fatto notare che «EEAAO ha abbastanza cose che piacciono all’Academy – una storia sull’America, una protagonista apprezzata troppo poco, una grande interpretazione di Jamie Lee Curtis – da poter effettivamente vincere».
Sul New Yorker, il giornalista esperto di Hollywood Michael Schulman ha ipotizzato invece che il film sia particolarmente piaciuto all’Academy perché, in un momento in cui «gli unici film che le persone vanno a vedere al cinema sono franchise tentacolari che parlano di supereroi», da Batman agli Avengers, la giuria è stata colpita dal fatto che Everything Everywhere All at Once abbia entusiasmato tante persone con una storia completamente originale.
All’entusiasmo del pubblico – che ha parlato del film per mesi online – si è aggiunta la simpatia che in qualche modo è riuscito a suscitare il cast, composto da attori riconoscibili ma considerati per un motivo o per l’altro degli “outsider” di Hollywood. Michelle Yeoh, che interpreta la protagonista, ha alle spalle una lunga serie di film d’azione, l’attore Ke Huy Quan, che fa il marito, è stato relegato a parti minori per tutta la carriera adulta dopo una brillante carriera da attore bambino, e Jamie Lee Curtis, che fa un’ispettrice delle tasse, è diventata celebre con grossi ruoli in film horror storicamente snobbati dal circuito dei premi cinematografici. Tutti e tre, domenica sera hanno vinto l’Oscar per la loro interpretazione.
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