I giganteschi profitti di Saudi Aramco in un anno
La società petrolifera dell'Arabia Saudita solo nel 2022 ha guadagnato 161 miliardi di dollari, un record per un'azienda quotata in borsa
Saudi Aramco, una delle più grandi società petrolifere al mondo controllata dal governo dell’Arabia Saudita, ha prodotto profitti per 161 miliardi di dollari nel 2022, il più alto guadagno annuale mai realizzato da un’azienda quotata in borsa. Il risultato ha superato le aspettative di vari analisti e deriva in buona parte dei prezzi più alti di gas e petrolio dopo l’inizio della guerra in Ucraina, con le sanzioni economiche nei confronti della Russia. La società ha fatto ancora meglio rispetto alle altre grandi multinazionali petrolifere, che nell’ultimo anno si sono distinte per gli enormi ricavi prodotti con la vendita degli idrocarburi, con grandi polemiche per l’eccezionalità dei loro profitti e gli effetti sull’ambiente delle loro attività.
Nel 2022 i ricavi di Saudi Aramco sono aumentati del 46,5 per cento rispetto al 2021, quando le attività economiche iniziavano a riprendersi dopo il primo difficile anno di pandemia da coronavirus. Lo scorso anno la società ha prodotto 11,5 milioni di barili di petrolio al giorno e ha l’obiettivo di arrivare a 13 milioni entro il 2027. Per questo motivo Saudi Aramco ha progetti da 55 miliardi di dollari per estendere le proprie capacità estrattive e di gestione di petrolio e gas. La società ha inoltre annunciato dividendi per 19,5 miliardi di dollari, che finiranno quasi interamente nelle casse dell’Arabia Saudita, considerato che il governo possiede la quasi totalità delle azioni.
Nei mesi scorsi il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, aveva criticato l’Arabia Saudita per «ciò che hanno fatto» in termini di gestione dell’offerta e dei prezzi del petrolio, ventilando la possibilità di qualche conseguenza. I due paesi hanno tradizionalmente buoni rapporti e non è chiaro quali potrebbero essere queste conseguenze. Nel frattempo il governo saudita ha segnato un ulteriore avvicinamento alla Cina, che ha mediato un nuovo accordo diplomatico del paese con l’Iran.
Il denaro derivante dalla vendita degli idrocarburi servirà, tra le altre cose, a finanziare Riyadh Air, una nuova compagnia aerea annunciata domenica dal principe Mohammad bin Salman Al Sa’ud, figlio dell’attuale re Salman. Non ci sono ancora molti dettagli, ma secondo alcune fonti il fondo di investimento saudita che la controlla dovrebbe acquistare nuovi aerei per un valore di 35 miliardi di dollari. Nei programmi, Riyadh Air offrirà voli verso un centinaio di destinazioni entro il 2030. Alcuni fondi potrebbero essere inoltre impiegati per il costosissimo progetto “The Line”, una città costruita lungo una “linea” di 170 chilometri, larga 200 metri e alta 500.
Come era avvenuto per gli annunci sui profitti di aziende petrolifere come ExxonMobil, Shell, BP, Chevron e TotalEnergies, la notizia degli altissimi guadagni di Saudi Aramco ha fatto sollevare critiche e dubbi sugli impegni per ridurre l’impiego di combustibili fossili, tra le cause principali dal riscaldamento globale. Il governo dell’Arabia Saudita sostiene da tempo di voler raggiungere entro il 2060 emissioni nette zero, la condizione in cui per ogni tonnellata di CO2 o di un altro gas serra che si diffonde nell’atmosfera se ne rimuove altrettanta. Non è però chiaro come possa essere raggiunto l’obiettivo, specialmente alla luce dei nuovi grandi investimenti legati al petrolio che farà Saudi Aramco.
Oltre agli aspetti ambientali, la contrapposizione tra l’enorme successo delle società petrolifere e le difficoltà dei consumatori ha suscitato nell’ultimo anno sentimenti ambivalenti: da una parte ci sono società private che vendono legittimamente una materia prima il cui prezzo aumenta per ragioni varie e non sempre dipendenti dal loro volere, traendone un profitto; dall’altra ci sono i consumatori che subiscono questi rincari su vari fronti, quando vanno a fare rifornimento ma anche quando comprano prodotti a prezzi superiori perché sono aumentati i costi di trasporto, che si sono riversati sul prezzo dei beni di consumo.
Associazioni e gruppi di attivisti chiedono che i profitti di alcune delle aziende più grandi al mondo siano utilizzati per sostenere la transizione energetica, investendo in sistemi per produrre energia in modo più sostenibile. Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, ha definito «scioccante» la quantità di denaro guadagnata in un anno da Saudi Aramco «attraverso la vendita di combustibili fossili, la principale causa della crisi climatica».