Senza “Akira” l’animazione giapponese non avrebbe avuto lo stesso successo nel mondo
A 35 anni dall'uscita rimane l'anime più influente e di culto, che preparò l'Occidente a tutti quelli che vennero dopo
di Gabriele Niola
Nel 1989 arrivò nelle sale cinematografiche europee e nordamericane Akira, il lungometraggio animato di Katsuhiro Otomo uscito in Giappone l’anno prima. Era la prima volta che un anime, cioè un film d’animazione giapponese, veniva distribuito senza tagli nelle sale, come un film tradizionale o come quelli d’animazione americani ed europei. Fino a quel momento la circolazione dell’animazione giapponese era stata limitata alle serie televisive, che in alcuni paesi come Germania, Spagna e Italia avevano trovato spazio nelle reti commerciali e pubbliche. L’importazione di lungometraggi era più rara e comunque non pensata per i cinema.
L’uscita e il successo di Akira consentirono all’animazione per la televisione giapponese di diffondersi negli anni successivi in buona parte del mondo occidentale, con crescente importanza e influenza. Uno dei tanti motivi per cui, ancora oggi, è considerato fondamentale per lo sviluppo degli anime, tanto che viene ciclicamente riproposto nei cinema: la prossima, per i 35 anni, il 14 e 15 marzo (prima in lingua originale e poi doppiato). Queste distribuzioni minori e celebrative, peraltro, sono andate sempre bene.
Nel 1989 l’unico caso di rilievo di film giapponese arrivato in un grande paese occidentale era stato quello di Nausicaä della Valle del vento in America. Era uno dei primi film diretti da Hayao Miyazaki, già considerato una figura importante per aver realizzato il fumetto da cui il film era tratto e già autore di film e serie animate. Nausicaä della Valle del vento fu una produzione imponente e di eccezionale successo in Giappone, che tuttavia venne molto modificata per l’uscita americana. Tagli di almeno 20 minuti cambiarono parte della trama, marginalizzando alcuni dei temi più adulti e cruciali così che il film fosse più adatto ai bambini. Anche il marketing aveva stravolto immagini e temi a partire da un nuovo titolo: Warriors Of The Wind.
Akira invece fu distribuito esattamente nella versione originale, come un film adulto, il doppiaggio fu curato come nei prodotti di fascia alta e la confezione creata intorno al film fu la stessa riservata alle importazioni prestigiose. Ancora oggi è l’anime dal successo internazionale più duraturo, insieme ad alcuni dei lavori più noti dello Studio Ghibli di Hayao Miyazaki. All’epoca della sua produzione invece fu la più grande impresa nel campo dell’animazione che il Giappone avesse mai tentato, arrivata all’apice di una forte crescita economica che il paese aveva vissuto lungo tutti gli anni ‘80. L’industria dei cartoni animati giapponesi era stata fin dagli anni ‘70 in costante espansione, principalmente nella sua parte televisiva, ma con il tempo anche i lungometraggi avevano guadagnato da questo successo, passando dai 49 prodotti negli anni ‘70 ai 220 prodotti negli ‘80.
Rosso Akira
Proprio per via di questa espansione del settore, a Katsuhiro Otomo fu chiesto di ideare un adattamento animato di Akira, nonostante avesse una scarsa esperienza nell’animazione avendo diretto fino a quel momento solo un mediometraggio e alcuni episodi di film collettivi, e nonostante la pubblicazione del manga fosse iniziata da poco. A quel punto della sua carriera Otomo aveva pubblicato molte storie brevi su diversi riviste a fumetti, sempre raccontando trame urbane di droga, sesso e violenza, e poi un paio di opere a fumetti più lunghe, a puntate su riviste a fumetti e poi raccolte in volumi: Fireball e Domu. La prima è rimasta incompiuta mentre la seconda si concluse nell’anno in cui iniziò la pubblicazione di Akira (il 1982).
In entrambe queste opere già erano presenti elementi che sarebbero poi stati cruciali in Akira, a partire dai poteri telecinetici. Da questi primi lavori era inoltre già evidente la cura molto particolare e la minuziosità con la quale Otomo pensava e poi realizzava sfondi e personaggi. Questa attenzione al dettaglio fu trasferita nel progetto di adattamento di Akira in un film, talmente ambizioso che per realizzarlo fu creato un “Comitato Akira”, cioè l’unione di sette grandi società di produzione con esperienza nell’intrattenimento (Kodansha, Mainichi Broadcasting System, Bandai, Hakuhodo, Toho, LaserDisc Corporation e Sumitomo Corporation) per stanziare una cifra molto più grande del solito. Il budget fu di circa 700 milioni di yen e con le spese di promozione arrivò a un totale di 1,1 miliardi di yen, quasi 9 milioni di dollari dell’epoca. Dieci volte il budget di Nausicaä della Valle del vento.
Ad alzare così tanto i costi fu la durata del film di poco superiore alle due ore, ben più dei canonici 90 minuti dell’animazione dell’epoca (o anche meno nel caso degli anime), unita alla minuzia del dettaglio e all’ambizione del risultato tecnico. Il desiderio di Otomo fu di creare un film animato che fosse da un lato a livello qualitativo degli standard più alti dell’epoca (cioè quelli fissati da Disney), dall’altro anche superiore per fluidità dei movimenti e spettacolarità delle scene.
Guardando Akira è possibile notare come quasi tutto sia costantemente animato, in certi casi con un dettaglio che non era comune all’epoca e non lo è nemmeno oggi. A differenza del solito gli sfondi raramente sono fermi, i personaggi secondari non compiono movimenti elementari e ripetuti ma tutti i dettagli dell’immagine, specialmente nelle scene d’azione, si muovono, cosa che richiede ancora più lavoro. Come del resto lo richiese la scelta più importante di tutte, quella di animare le parti con maggiore movimento (quelle d’azione) a 24 disegni al secondo invece dei consueti 12 dell’animazione giapponese. In molti punti quindi ci sono stati più disegni intermedi per secondo, ragione per la quale Akira è ancora oggi uno dei film d’animazione più complessi e sofisticati dal punto di vista strettamente tecnico. In tutto il film vengono impiegate 327 diverse sfumature di colore, un numero ben superiore alla media, cinquanta delle quali create apposta per il film tra cui il Rosso Akira, quello della giacca e della moto del protagonista Kaneda, che è diventato uno standard.
Nella creazione del braccio robotico ogni elemento si muove in maniera indipendente collegandosi agli altri mentre il mantello sventola
Nel 1988 l’industria dell’animazione giapponese esisteva da più di 30 anni, ed era arrivata al punto in cui una nuova generazione aveva imparato l’arte dai grandi maestri e voleva cambiarla, superare i confini nazionali e sperimentare sia con contenuti più audaci, violenti o sessualmente espliciti, sia con produzioni più imponenti. Quella degli anime era diventata quindi un’industria sperimentale e proprio questa inclinazione a produrre storie sperimentando sia contenuti che modalità narrative diverse e originali era ciò che ne alimentava il successo, identificandola come un ambito di innovazione.
In Akira ad esempio fu impiegata anche la computer grafica, che negli anni ‘80 veniva sperimentata solo da alcuni cartoni della Disney in alcune scene specifiche. La computer grafica in Akira è usata per la visualizzazione della “energia psichica” dei personaggi, ma fu anche impiegata per calcolare con maggiore precisione rispetto al solito i complessi movimenti di grandi oggetti come ponti o palazzi nelle imponenti e frequenti scene di distruzione, oppure per adeguare la parallasse (il meccanismo per il quale uno sfondo lontano deve muoversi di poco quando il punto di vista e i personaggi in primo piano si spostano).
Più in generale, per anni l’animazione era stata pensata di volta in volta per pubblici molto specifici: dagli anni ‘80, invece, sempre di più i film e le serie animate giapponesi cominciavano a non avere un solo pubblico come obiettivo, e quindi a poter essere apprezzate da tutti.
L’immagine in primo piano e gli sfondi sono entrambi in movimento sia autonomo che coordinato per adeguare la prospettiva allo spostamento del punto di vista all’indietro
Tuttavia nonostante il grande sforzo produttivo e l’indubbio successo, il film di Akira è anche noto per la scarsa comprensibilità della trama. È un problema dovuto in larga parte al fatto che la produzione iniziò subito dopo la pubblicazione dei primi numeri del manga. La scrittura del film e del fumetto quindi andarono avanti di pari passo, divergendo anche molto per via delle differenti durate (breve quella del film, lunga anni quella del fumetto) ma poi finendo nella stessa maniera nonostante la pubblicazione del manga sia terminata due anni dopo l’uscita del film, nel 1990. Lo stesso Otomo ha spesso definito l’idea di iniziare un film su una storia ancora in corso «la peggiore possibile».
Il risultato è che la trama del film adatta la prima metà del primo dei sei volumi che compongono il fumetto e poi a questa attacca direttamente la conclusione, cioè l’ultima parte dell’ultimo volume, che all’epoca della scrittura del film non era stata ancora ideata. Otomo ha spiegato di aver dovuto prima pensare il finale e poi procedere a ritroso per capire come arrivarci. Il resto della trama che sta tra quell’inizio e quel finale è suggerita o spiegata a parole in brevi momenti di dialogo che non sono molto chiari.
Il successo di Akira e la sua capacità di influenzare molto di quello che è venuto dopo, incluso il cinema dal vero, non vengono quindi dalla trama ma dalla sua capacità di creare un immaginario potente e adatto alla propria epoca. Inoltre Akira fu per una grande parte del pubblico occidentale un’introduzione a una dimensione diversa di narrazione, fondata più sull’intuizione e sulle sensazioni che sulla logica degli eventi o sullo sviluppo dei personaggi.
La trama è quella di un gruppo di ragazzi di Neo Tokyo del 2019, città devastata anni prima da un’esplosione che ne ha distrutto ampie porzioni, lasciando che l’espansione urbana avvenisse altrove, nella nuova Tokyo per l’appunto. I protagonisti sono parte di gang criminali che si battono tra loro con violenza e crudeltà nell’indifferenza delle forze dell’ordine.
Durante uno degli scontri i protagonisti entrano in contatto con un bambino in fuga dai militari che manifesta poteri psichici. Nel caos dello scontro uno dei ragazzi, Tetsuo, viene rapito dal governo e sottoposto a esperimenti che ne risvegliano le capacità telecinetiche rendendolo potentissimo e, in teoria, un’arma. La sua natura ribelle, unita alle grandi frustrazioni da cui è animato, lo rendono però ingestibile. Fuggito dalla clinica e in preda ai dolori, Tetsuo non avendo più accesso ai medicinali che lenivano i dolori assume droghe sintetiche illegali per tenere a bada i poteri e prendere il comando delle gang, mettendosi contro l’ex amico Kaneda. Esaurite le droghe il corpo di Tetsuo non è più in grado di contenere il potere e la carne comincia a cedere. L’unica speranza di evitare il disastro è risvegliare Akira, uno dei molti bambini precedentemente sottoposti ai medesimi esperimenti, responsabile della grande esplosione che devastò Tokyo e smembrato fisicamente dallo stesso governo per imprigionarlo.
Dentro alla storia ci sono influenze da altre produzioni giapponesi, principalmente dalle storie di Hayao Miyazaki e da Super Robot 28 (il precursore delle storie di robottoni giapponesi, da cui vengono tutti i nomi dei personaggi e l’idea che un’arma potente sviluppata in segreto dai militari sia in mano a un ragazzo). Ma anche molta fantascienza occidentale per ammissione dello stesso Otomo, da Guerre stellari (che a sua volta deve molto ai film giapponesi degli anni ‘50 e ‘60 di Akira Kurosawa) a Blade Runner, uscito solo sei anni prima, di cui rilanciava e potenziava l’estetica urbana futura, fino alle opere del fumettista francese Moebius. Fu proprio un collaboratore di Moebius, il poeta, cineasta e scrittore Alejandro Jodorowsky, stando a Otomo, la persona a suggerirgli come finire la storia nel fumetto. In seguito Jodorowsky ha detto di non ricordare quella conversazione.
A differenziare Akira dalla gran parte dell’animazione giapponese che arrivava in occidente in quegli anni era anche la sua forte connotazione sociopolitica. Lo scenario della Tokyo futura è molto prominente, è attraversato da ribellioni e una forte corruzione che è all’origine dei disastri della trama. Le istituzioni sono dipinte come assenti, caotiche e inadeguate, la società come prevaricatrice e il governo come pronto a sacrificare bambini per i propri fini, con la copertura dei giochi olimpici. Il nichilismo di fondo e la sfiducia nell’autorità rese il film un’esperienza molto diversa rispetto a quelle cui il pubblico occidentale era abituato. Anche il disegno dei personaggi non era quello che ci si poteva aspettare dall’animazione giapponese visto come rifiutava quella che all’epoca era la sua convenzione più abituale, cioè gli occhi grandi.
Poco usuale per il pubblico occidentale era anche la tendenza giapponese alle storie apocalittiche. Il precedente più noto in materia di rielaborazione dei cataclismi subiti dal Giappone e della paura atomica era stato Godzilla ma Akira, oltre alle molte esplosioni devastanti, proponeva anche la storia di due protagonisti orfani, un prodotto delle distruzioni di massa vissute dal paese, che erano diventati poi promotori a loro volta del caos e della violenza.
Nonostante non si parli di questioni politiche dalle immagini nel film è sempre chiaro che quell’umanità terribile è il prodotto di quella società alla deriva, e non viceversa. Era qualcosa con cui la popolazione giapponese aveva avuto a che fare per decenni in seguito alla Seconda guerra mondiale, per il pubblico occidentale invece un dettaglio in più sovrapposto a quello che in quegli anni era diventato lo scenario distopico per eccellenza, cioè la città futura disumanizzata di Blade Runner nella quale ogni essere umano è solo e la risorsa più preziosa e ricercata è il contatto umano.
In Akira c’è un’esplosione molto simile a quella nucleare già nella prima scena, e poi ripetute distruzioni avvengono lungo tutta la storia, mescolando riferimenti alle atomiche con quelli agli tsunami (da sempre una delle paure maggiori per il Giappone, paese sismico). Nel finale poi un’esplosione più grande distrugge ogni cosa perché tutto possa ricominciare da capo con un ordine nuovo.
Non ci sono stati altri anime che abbiano avuto un impatto paragonabile a quello di Akira. Non solo a livello economico ma anche di ambizioni, considerazione intellettuale e diffusione internazionale. A seguito dell’uscita del film in sala e poi della sua ancora più importante uscita nel mercato domestico, prima in VHS poi in Laser Disc, il successo di Akira consentì a molti altri anime di arrivare in Occidente, almeno nei paesi che non avevano ancora iniziato ad importare i cartoni per la televisione.
In America una casa di distribuzione home video, Manga Entertainment, fu creata in seguito a quel successo per acquisire e gestire Akira e tutto il resto delle importazioni animate giapponesi, finendo per cofinanziare un altro grande successo di fantascienza animata nipponica uscito sei anni dopo, Ghost in the Shell di Mamoru Oshii, tratto dall’omonimo manga di Masamune Shirow, e poi importare i titoli più importanti a seguire, tra cui i Pokemon, Dragon Ball o Neon Genesis Evangelion.
Un remake americano del film è da tempo in preparazione. Da quando nel 2002 la Warner Bros acquisì i diritti per un adattamento del film a produzione hollywoodiana in live action, cioè con attori in carne e ossa, diversi attori, registi e sceneggiatori sono stati coinvolti nel progetto fino ad ora senza successo. L’ultimo in ordine di tempo è stato Taika Waititi che avrebbe dovuto iniziare le riprese nel 2021, salvo poi passare ad altri film per una nuova interruzione della produzione. Nonostante esista quindi una sceneggiatura approvata, ad oggi la produzione è di nuovo ferma. Inoltre c’è accordo intorno al fatto che le nuove consapevolezze in materia di corretta rappresentazione delle etnie maturate nel cinema americano impedirebbero un film con protagonisti bianchi, per evitare le polemiche di cui fu oggetto il film tratto da Ghost in the Shell nel 2017 con Scarlett Johansson nel ruolo protagonista.
Una delle scene più note di “Akira” a confronto con “Nope” di Jordan Peele
A prescindere dal remake, tuttavia, nei decenni passati dalla sua uscita Akira si è rivelato sempre più influente, specialmente da quando la generazione che è cresciuta con quel film è arrivata a scrivere e dirigere. Elementi della storia di Akira, come alcune delle sue invenzioni visive più note, si trovano in molti film non solo giapponesi. Tra gli esempi più recenti, Jordan Peele ha citato l’immagine della motocicletta di Kaneda in Nope e nel 2012 Chronicle, un film scritto da Max Landis e diretto da Josh Trank, aveva proposto una storia estremamente simile a quella di Akira in un’altra veste. Katsuhiro Otomo in seguito a quel clamoroso successo ha continuato a disegnare, scrivere e dirigere film senza però riuscire a creare qualcosa di paragonabile. Ad oggi Akira ha incassato tra le diverse uscite in sala e home video circa 80 milioni di dollari.