Perché è saltato il divieto europeo sulle auto a benzina e diesel
La Germania ha approfittato del cambio di governo in Italia per respingere una norma su cui aveva già molti dubbi
Venerdì i governi europei riuniti nel Consiglio dell’Unione Europea hanno rinviato l’approvazione definitiva del divieto alla vendita di nuovi veicoli a benzina e diesel dal 2035. La norma era stata proposta per spingere il mercato delle auto europeo verso veicoli meno inquinanti ed è un pezzo molto importante dell’ambizioso piano dell’Unione Europea contro il cambiamento climatico, il cosiddetto Green Deal. Il rinvio della sua approvazione è una delle prime conseguenze dirette a livello europeo di una serie di posizioni adottate dal nuovo governo italiano, guidato da Giorgia Meloni.
La decisione ha sorpreso diversi commentatori, oltre a funzionari, diplomatici e politici che lavorano nelle istituzioni. Il compromesso era già stato approvato dal Parlamento Europeo, aveva ricevuto l’avallo della Commissione Europea e una prima approvazione informale anche dal Consiglio. È molto raro che una norma europea si interrompa a quest’ultimo passaggio dell’iter legislativo, cioè l’approvazione definitiva da parte del Consiglio: è considerato una formalità a tal punto che nel gergo viene soprannominato rubber stamp, come i timbri che si mettono meccanicamente negli uffici postali.
I governi europei e gli europarlamentari favorevoli temono che l’opposizione dei paesi contrari – fra cui soprattutto Germania e Italia, fra i principali paesi produttori di automobili in Europa – sarà molto difficile da superare. I funzionari della Commissione e del Consiglio sono preoccupati soprattutto dal modo in cui è arrivata la decisione: all’ultimo momento, quando tutti gli altri paesi pensavano di avere concluso i negoziati, rimangiandosi una parola data soltanto pochi mesi prima. «C’è il timore che altri paesi inizino ad usare la stessa tattica», ha spiegato un diplomatico europeo a Politico, cioè chiedere concessioni nell’ultima fase del processo legislativo facendo leva sul fatto che tutte le altre questioni sono state risolte.
Il divieto alla vendita di nuovi veicoli a benzina e diesel era stato approvato a metà febbraio dal Parlamento Europeo, e la votazione finale doveva avvenire durante una riunione del Consiglio dell’Unione Europea programmata per martedì 7 marzo. Nelle riunioni che hanno preceduto quella del 7 marzo, però, i diplomatici del Consiglio si erano accorti che la norma non sarebbe passata, se messa effettivamente ai voti.
Gran parte dei lavori del Consiglio funziona a maggioranza qualificata: significa che per essere approvata in via definitiva una norma deve ricevere l’approvazione di almeno 15 paesi su 27, che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione dell’Unione. Esistono delle regole anche su come si può mettere il veto e impedire l’approvazione della norma: serve l’opposizione di almeno quattro governi che rappresentino almeno il 35 per cento della popolazione europea. Germania e Italia rappresentavano insieme il 31,9 per cento: a loro si sono aggiunte Bulgaria e Polonia, portando il totale al 41,8 per cento.
Nei mesi e nelle votazioni informali precedenti a quella del 7 marzo la Germania si era spesso astenuta sul divieto alla vendita di veicoli a benzina e diesel dal 2035. Il governo tedesco aveva chiesto a Commissione e Parlamento di includere nella norma una clausola speciale per gli e-fuel, ossia particolari combustibili non derivanti da fonti fossili ma prodotti con tecnologie alimentate con fonti rinnovabili. Gli e-fuel potrebbero permettere di continuare a usare i motori tradizionali riducendo le emissioni inquinanti: il carbonio all’interno del combustibile è ottenuto infatti dalla CO2 presente nell’aria. La Germania aveva chiesto di includere la possibilità che se nei prossimi dieci anni la tecnologia su e-fuel, oggi ancora piuttosto primitiva, si fosse evoluta, il termine del 2035 potesse essere posticipato.
La Commissione si era impegnata genericamente ad approfondire la questione degli e-fuel, e la Germania si era di fatto accontentata: anche perché con le sole Polonia e Bulgaria non avevano i numeri per bloccare l’approvazione della norma. Tutto è cambiato con l’arrivo del governo Meloni, il più vicino alle sensibilità delle grandi industrie italiane fra i governi italiani degli ultimi anni.
Il Sole 24 Ore ha notato che dopo una prima approvazione informale data nelle sue prime settimane di vita, sulla scia delle posizioni del governo precedente di Mario Draghi, il 28 febbraio il governo Meloni ha cambiato idea e annunciato un voto contrario alla norma. Da quel momento il governo tedesco ha percepito l’opportunità di formare una minoranza necessaria a bloccare la norma, spinta soprattutto dalla vicinanza del partito più a destra della coalizione di governo, i liberali di FDP, con l’industria tedesca delle auto. Nei giorni successivi il governo tedesco ha fatto sapere di non avere visto passi concreti da parte della Commissione sugli e-fuel e annunciato un voto contrario.
«Berlino sta cercando di incolpare la Commissione Europea», ha detto un diplomatico europeo al Financial Times. Come è emerso da diversi articoli sulle discussioni interne al governo tedesco, il divieto per le auto a benzina e diesel era sempre stato un tema piuttosto divisivo fra FDP e i partiti alla sua sinistra, cioè i Socialdemocratici e i Verdi. Verso la fine del 2022 però l’FDP aveva perso il negoziato interno, e a metà febbraio la Germania aveva approvato informalmente la norma. Quando l’Italia ha cambiato idea, l’FDP ha chiesto al governo tedesco di riconsiderare l’approvazione della norma, dato che esisteva la possibilità di bloccarla. E la sua linea, alla fine, è passata.
Il fatto che Germania e Italia si trovino d’accordo su un certo tema è piuttosto raro. L’incontro di qualche settimana fa fra Meloni e il cancelliere tedesco Olaf Scholz non era andato benissimo, e i rispettivi governi la pensano in maniera molto diversa sulla riforma degli aiuti di stato (la Germania è favorevole, l’Italia è contraria), sull’immigrazione, sulla necessità di un nuovo piano simile al Next Generation EU, il fondo di emergenza approvato dall’Unione Europea nel 2021 per contrastare la crisi economica innescata dalla pandemia (l’Italia è favorevole, la Germania è contraria).
Per come sono fatte le regole interne dell’Unione Europea, comunque, un’opposizione netta di Italia e Germania è molto difficile da superare: insieme i due paesi rappresentano poco meno di un terzo della popolazione europea, oltre a disporre di un corpo diplomatico e di funzionari molto influente all’interno delle istituzioni. Il fatto che non sia stata fissata una data per un nuovo voto sul divieto fa pensare che i funzionari del Consiglio prevedano settimane, se non mesi, di nuove trattative.
Un’altra preoccupazione poi è che il ripensamento dell’ultimo minuto da parte della Germania legittimerà in futuro altri stati a fare lo stesso, peggiorando il clima e la fiducia reciproca all’interno del Consiglio in una fase molto delicata della legislatura europea. Fra poco più di un anno verrà rinnovato il Parlamento Europeo e di conseguenza la Commissione Europea, e in questi mesi si stanno concludendo diversi processi legislativi i cui lavori sono in corso da anni. «I governi populisti di destra come quello italiano, polacco o ungherese potrebbero copiarci e prendere in ostaggio certe norme», ha detto a Politico l’europarlamentare tedesco Rasmus Andresen, dei Verdi.