Un po’ di canzoni di Lucio Battisti
Che oggi avrebbe compiuto 80 anni: ognuno ha le sue preferite, ma noi vi proponiamo quelle scelte da Luca Sofri per il suo libro Playlist
Di Battisti, che nacque il 5 marzo di 80 anni fa, ognuno ha le sue canzoni preferite. Noi vi proponiamo quelle scelte da Luca Sofri, il peraltro direttore del Post, per il suo libro Playlist.
Lucio Battisti
(1943, Poggio Bustone, Rieti – 1998, Milano)
Lucio Battisti è stato ed è il più grande di tutti nella musica pop italiana: nella musica “leggera”. Le ha provate tutte, e gli sono riuscite tutte. Si potrebbe riempire un juke-box solo con le sue canzoni migliori. Ed era così bravo da averci resi familiari e tollerabili anche versi che sarebbero stati imbarazzanti in bocca a chiunque altro. Adesso non c’è più.
Per una lira
(Lucio Battisti, 1969)
Fu il primo 45 giri del nostro, di grande richiesta nel giro dei collezionisti (fu stampato in poche copie per dargli un contentino quando era ritenuto solo un buon autore per altre voci: i maggiori investimenti vennero spesi, per esempio, nell’esecuzione della stessa canzone da parte dei Ribelli). Ci sono già quelle trovate soul che avrebbe usato spesso negli anni a venire.
I giardini di marzo
(Umanamente uomo: il sogno, 1972)
In fondo all’anima c’è l’immensi, avevo sempre capito io da bambino, ligio agli schemi scolastici soggetto-verbo-complemento (o viceversa, in questo caso). Invece dice “cieli immensi”, come avevate capito benissimo voialtri saputoni.
E penso a te
(Umanamente uomo: il sogno, 1972)
Tra i molti talenti della coppia Mogol-Battisti, c’era una rara passione per la scrittura dei dialoghi. Pensate a “Fiori rosa, fiori di pesco”, a “Innocenti evasioni”, ad “Anche per te”, ad “Ami ancora Elisa” e a “Perché no”. “E penso a te” fu prima un trascurato b-side di Bruno Lauzi, e poi una trascurabile cover di Tanita Tikaram: in mezzo, questa straordinaria canzone d’amore, spiazzata dal leggendario “para-para-parappa-pa”, frutto dell’arrangiamento di Gian Piero Reverberi.
La luce dell’est
(Il mio canto libero, 1972)
Malgrado il titolo evochi il sol dell’avvenire (anche nel “sole rosso acceso”), lei resta al suo posto oltre cortina – con tanto di “colpo di fucile” – e anche questa canzone divenne un indizio a carico delle presunte ispirazioni di destra di Battisti (insieme al “bosco di braccia tese” in “La collina dei ciliegi”).
Vento nel vento
(Il mio canto libero, 1972)
Con quell’inusuale attacco di pianoforte, è una delle canzoni più amate dai fan di Battisti. Il passaggio orchestrale è stato poi ripreso da De Gregori in “La leva calcistica della classe ’68”. Alla prima puntata di ogni anno, certi conduttori radiofonici sono soliti dedicare ai tecnici il verso “e la stagione nuova, dietro al vetro…”.
Il nostro caro angelo
(Il nostro caro angelo, 1973)
Introduzione eccezionale, col giro di chitarra che ha un ritmo paragonabile solo a quello di “Bittersweet” degli Everything but the Girl. Non si è mai chiarito se l’angelo del titolo alludesse anche al neonato Luca Battisti.
Abbracciala abbracciali abbracciati
(Anima latina, 1974)
Una di quelle matasse fantastiche di suoni che si inventava Battisti. Mentre il testo suscita della solidarietà nei confronti delle sue amanti: doveva essere uno che si fermava spesso a chiacchierare, sul più bello.
Due mondi
(Anima latina, 1974)
Grande invenzione musicale, cantata con Mara Cubeddu (già dei Flora, fauna e cemento e dei Daniel Sentacruz Ensemble, quelli di “Soleado”), che non è che se la cavi benissimo, ma alla fine il tutto funziona e ha un gran ritmo. Uno dei primi pezzi modernamente ballabili di Battisti: in coda al disco Anima latina ce n’era anche una ripresa lenta, da un minuto.
La compagnia
(La batteria, il contrabbasso, eccetera, 1976)
Una rarità: non è una canzone di Battisti, né scritta da lui né scritta per lui. Mogol l’aveva data a Marisa Sannia nel 1969. Poi è diventata di Battisti, che aveva un debole per il soul ancora nel 1976 e che qui si scatena in un falsetto memorabile.
Ami ancora Elisa
(Io tu noi tutti, 1977)
“Adesso son tranquillo, come un’anatra sul lago”. Chi è questa Elisa? Si era parlato di Francesca (ma non era lei), si era voluto Anna. Ma Elisa? E comunque, quando uno insiste così tanto per convincerti che non ama più Elisa, qualche dubbio ti viene.
Ho un anno di più
(Io tu noi tutti, 1977)
Prima o poi tutti si sono sentiti così, invecchiati, serenamente disincantati, e con qualche rimpianto sentimentale. Di solito succede nel giorno del compleanno. L’importante è avere un amico che non vi restituisca le chiavi della macchina né il telefonino fino a che non vi è passata la sbronza.
Neanche un minuto di non amore
(Io tu noi tutti, 1977)
Ci sono i cultori dei vari periodi di Battisti, che discutono all’infinito su quale sia stato il più eccelso. Qui si pensa che il disco che si chiamò Io tu noi tutti sia quello con più grandi canzoni di tutta la sua carriera. Questa è un racconto stupendo di pochi minuti di incomprensione sentimentale, paura e sollievo a sfondo automobilistico (sfondo più diffusamente trattato in “Sì, viaggiare”, nello stesso disco).
Questione di cellule
(Io tu noi tutti, 1977)
Nella longeva partita tra codardi sostenitori dell’alibi genetico o dell’ineluttabilità del fato e sfrontati individualisti che si illudono di forgiare il proprio destino, Battisti stava coi secondi: “e no, e no, non è questione di cellule, ma della scelta che si fa, la mia è di non vivere a metà”.
Amarsi un po’
(Io tu noi tutti, 1977)
“Però volersi bene no, partecipare, è difficile, quasi come volare”. Ancora sulla maturità sentimentale. Fu il 45 giri più venduto del 1977 (aveva sul retro “Sì, viaggiare”).
Con il nastro rosa
(Una giornata uggiosa, 1980)
Forse solo Nanni Moretti ha impiantato nella cultura popolare italiana altrettante espressioni divenute quotidiane. Di Battisti se ne potrebbero citare decine, ma “lo scopriremo solo vivendo”, celebrata dalla Gialappa’s, la usano ormai anche i bambini delle elementari quando gli chiedi se hanno fatto i compiti.
Fatti un pianto
(Don Giovanni, 1986)
Era l’inizio della fertile nuova vita a cui Battisti venne restituito dopo il cambio in panchina: fuori Mogol, segue momentaneo e dimenticabile interregno della signora Battisti, e poi dentro Pasquale Panella, poeta e ardito affastellatore di parole. Qui il suo repertorio di calembours è ben esposto, assieme all’invito liberatorio del titolo. Ed è un gran pezzo da ballare.
Vendo casa
(Le avventure di Lucio Battisti e Mogol, 2004)
“Un panino, una birra, e poi…” Era stata scritta per i Dik Dik che la cantarono nel 1971. La coeva registrazione acustica di Battisti è stata pubblicata molti anni più tardi. La tematica del trasloco e soprattutto dell’operazione immobiliare sarebbe stata affrontata più tardi anche da Ivano Fossati in “E di nuovo cambio casa” (“vendo casa per un motore, la soluzione è la migliore”).