Perché Greta Thunberg protesta contro le centrali eoliche norvegesi
Gli interventi per migliorare le prospettive del clima a volte entrano in conflitto con i diritti delle popolazioni native
di Kelsey Ables e Rick Noack - The Washington Post
Quando questa settimana l’attivista svedese per il clima Greta Thunberg e altri manifestanti hanno protestato davanti a diverse sedi ministeriali del governo norvegese, non stavano contestando la costruzione di nuove raffinerie di petrolio o l’introduzione incentivi fiscali per le compagnie di idrocarburi, bensì le centrali eoliche, abitualmente ritenute invece uno strumento per combattere il cambiamento climatico.
Le due centrali eoliche in questione si trovano su un terreno nel centro della Norvegia che tradizionalmente viene usato dalla popolazione indigena sami per allevare le mandrie di renne, preziosi animali che per lungo tempo le hanno dato cibo, vestiti e lavoro. Malgrado le turbine riforniscano le ambizioni ecologiste della Norvegia offrendo energia a migliaia di case, lo fanno a un costo che gli attivisti giudicano essere troppo alto; sconvolgendo la quotidianità dei sami e spaventando gli animali dai quali dipendono per la propria sussistenza. Gli attivisti che difendono la comunità sami norvegese hanno chiesto per mesi che le turbine venissero demolite, accusando la Norvegia di “mettere il profitto al di sopra dei diritti delle popolazioni indigene”.
L’attenzione internazionale sulla vicenda è iniziata mercoledì, quando, secondo quanto dichiarato dalla polizia di Oslo, Thunberg è stata rimossa dagli agenti due volte dopo aver bloccato l’ingresso del ministero delle Finanze e più tardi quello del ministero del Clima e dell’Ambiente, insieme ad altri manifestanti. Secondo un post condiviso su Instagram da Thunberg, la polizia aveva già allontanato con la forza i dimostranti lunedì mattina presto.
I manifestanti si appellano a una decisione della Corte Suprema norvegese, che ha stabilito nel 2021 che le centrali eoliche violassero i diritti culturali degli allevatori sami. Ciò nonostante queste infrastrutture, che fanno parte di un progetto che vale più di 1 miliardo di euro, hanno sempre continuato a funzionare.
Il ministro dell’Energia ha diffuso mercoledì una dichiarazione secondo cui la decisione della Corte Suprema non ha stabilito cosa ne debba essere dei due parchi eolici. «Dal momento che le turbine sono funzionanti, la prima cosa che dobbiamo fare è indagare se ci siano soluzioni possibili affinché possano funzionare accanto agli allevamenti di renne», ha detto la sottosegretaria Elisabeth Saether, citando la necessità di una “base sufficiente” di informazioni per prendere una decisione.
Le centrali eoliche consistono di 151 turbine, che sono diventate operative nel 2019 e nel 2020. L’azienda statale Statkraft, che possiede parte delle centrali eoliche, ha riconosciuto in una dichiarazione mercoledì che «la situazione attuale sta costringendo gli allevatori a spostarsi nel territorio a sud di Fosen», aggiungendo che «le popolazioni sami dovrebbero poter mantenere le loro consuetudini». Ma la società ha detto di non voler “anticipare l’esito” delle valutazioni prima di decidere come agire. Un sindaco norvegese ha detto alla televisione pubblica NRK che le centrali eoliche forniscono posti di lavoro ed energie rinnovabili, e di sperare che venga raggiunto un accordo.
Secondo l’organizzazione per i diritti umani International Work Group for Indigenous Affairs la popolazione sami comprende tra i 50 e i 100 mila individui, 65 mila dei quali in Norvegia. Le Nazioni Unite hanno documentato come i paesi nordici abbiano a lungo represso la loro lingua e le loro abitudini, per quanto i più recenti governi norvegesi abbiano cominciato a proteggerne la cultura.
La battaglia contro le centrali eoliche sottolinea le difficoltà, da quando le nazioni si stanno impegnando per ridurre le emissioni di anidride carbonica, affrontate da coloro che hanno le proprie terre, risorse e vite culturali coinvolte nelle soluzioni ai problemi climatici. Secondo alcuni rapporti, la situazione affrontata dai sami somiglia a quella affrontata dagli abitanti dei villaggi del sud della Thailandia che hanno visto una nuova centrale a biomasse interrompere i loro rifornimenti d’acqua. Anche in Messico è stata impedita la costruzione di quella che sarebbe stata la più grande centrale eolica dell’America Latina, sul territorio indigeno dello stato di Oaxaca.
I diritti delle popolazioni indigene devono “andare per mano” con l’impegno per il clima, ha detto Thunberg all’agenzia Reuters. Le decisioni «non possono avvenire a spese di alcune persone. In quel caso non ci sarebbe giustizia climatica».
Secondo un rapporto del 2022 del Business and Human Rights Resource Center britannico il numero di denunce di violazioni dei diritti conseguenti a progetti di energia rinnovabile è aumentato negli ultimi anni, e le accuse più serie e frequenti sono quelle relative al mancato rispetto dei diritti dei terreni degli indigeni. Il gruppo di ricerca indipendente Climate Action Tracker giudica gli impegni norvegesi “quasi sufficienti”, aggiungendo che le loro norme “non sono ancora abbastanza adeguate” per fermare l’aumento della temperatura terrestre a 1,5 °C dall’era preindustriale.
L’energia eolica, che ha generato circa l’8,5% dell’elettricità del paese nel 2020, è ritenuta una risorsa fondamentale.
© 2023, The Washington Post
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(traduzione di Emilia Sogni)